Il “miracolo” dell’amore alla Chiesa
Una “Eucaristia” è sempre nella sua natura intrinseca una celebrazione di ringraziamento a Dio nostro Padre, da cui viene ogni bene. E non è solo una parola, è una “azione” di grazie. Il sacrificio del Signore Gesù è misteriosamente posto nelle nostre mani per diventare anche nostro: nostra donazione, nostro atto di affetto, nostro canto di riconoscenza, nostra consacrazione in Cristo di tutta la vita.
E’ un’azione di grazie che la Chiesa non si stanca mai di rinnovare, perché la Sposa del Signore non finisce mai di essere la quotidiana destinataria dell’amore divino e delle sue inesauribili attenzioni. Perciò l’Eucaristia si impreziosisce ogni giorno di una gratitudine nuova, di un nuovo motivo di lodare il Creatore dell’universo.
Oggi siamo particolarmente felici perché per la prima volta possiamo ricordare liturgicamente la morte di un maestro di vita, che ci è sempre stato caro, qual è Monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer, non con una preghiera di suffragio, ma con una esaltazione gioiosa della potenza di Dio e con una pubblica richiesta di intercessione del Beato per noi.
Benedetto il Signore che a ogni epoca sa suscitare gli eroi della fede, i testimoni del mondo invisibile e vero, gli apostoli della perenne novità evangelica; e in questo modo misericordiosamente dispiega la sua energia di salvezza e rianima la nostra speranza!
Benedetta la Chiesa, sua sposa, che non smarrisce mai la sua fecondità e in ogni tempo si dimostra davvero la “madre dei Santi”!
Benedetti i nostri giorni, cui è stata riservata la fortuna di vedere collocato sugli altari uno dei più grandi e decisivi protagonisti della vita ecclesiale di questo secolo!
Non è pensabile – io crederei – che dei cuori autenticamente cristiani non percepiscano la grazia di questo evento e non si sentano pervadere di soprannaturale letizia. No solo i più diretti discepoli di Monsignor Escrivá ma tutti coloro che prendono sul serio la fede cattolica – nella sua irriducibile identità, in tutte le sue valenze e le sue implicazioni – hanno oggi ragioni adeguate di essere in festa.
Molto si è detto e si è scritto in questi tempi sul nuovo beato, e io non posso pretendere di aggiungere niente di originale a questa multiforme ripresentazione della sua vita, del suo messaggio, della sua figura di sacerdote. Mi limiterò a richiamare con semplicità alcuni tratti che di lui più mi hanno personalmente colpito.
Quando mi accosto ai suoi pensieri, ciò che si fa subito evidente ai miei occhi è il suo modo di contemplare tutta la realtà nella luce della sua inalienabile origine divina. Davanti al mondo – si capisce, il mondo inteso non come forza e aggregazione maligna di opposizione alla volontà salvifica del Padre, ma come l’insieme esistente delle cose e degli uomini nella loro natura – Monsignor Escrivá è uno che non si dimentica mai che tutto è nato e nasce dall’azione creatrice di Dio. Per quanto può apparire stravolto e contaminato, il mondo nella verità del suo essere è sempreil risultato dell’onnipotenza amorosa che l’ha ricavato dal nulla. Perciò va amato, perciò va guardato senza pessimismi, perciò va avvalorato nella sua bontà sostanziale che non si estingue mai neanche sotto i colpi della prevaricazione e gli stravolgimenti della menzogna.
“Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”: le prime parole della nostra professione di fede sono anche quelle che costituiscono la base irrinunciabile, l’avvio obbligato di ogni visione davvero cristiana. E si può dire che in ogni esortazione, in ogni consiglio, in ogni direttiva il nuovo beato – esplicitamente o implicitamente – ci richiama proprio a questa preliminare certezza.
Allo stesso modo, davanti alle creature umane – anche a quelle che sembrano remotissime da ogni superiore illuminazione – Monsignor Escrivá è uno che non si dimentica mai che tutti i figli di Adamo sono redenti dal sacrificio del Figlio di Dio e tutti perciò sono chiamati a un destino di partecipazione alla vita, alla gioia, alla gloria della Trinità augustissima.
Si capisce allora come egli a ogni uomo – quale che sia la sua professione, la sua cultura, la sua condizione sociale – proponga con tanta insistenza e con tanta passione l’ideale della santità come possibile, doveroso, gratificante per tutti senza eccezioni. E lo proponga come raggiungibile sulla strada esistenziale concreta nella quale ciascuno è stato provvidenzialmente collocato: nella maniera effettiva di esercitare bene il nostro mestiere di uomini c’è il segreto per arrivare, con l’aiuto di Dio, al pieno possesso della ricchezza di grazia.
Potremmo dire che, sotto questo profilo, la parola che più di ogni altra esprime l’orientamento apostolico e pastorale del Beato è quella che san Paolo amava collocare nell’indirizzo delle sue lettere: “ai santi” o, che è lo stesso, “ai chiamati alla santità” (cfr. Rm 1,7; 1 Cor 1,2; 2 Cor1,1; Ef 1,1; Fil 1,11; Col 1,2). Nessuno, quale che sia la sua situazione di fatto, va giudicato immeritevole di questo appellativo, se lo si intende come una proposta di vita.
Ciò che spiega poi nel Beato lo slancio e la straordinaria capacità di donarsi per la santificazione dei fratelli è l’amore per il Signore Gesù, che egli percepisce come il Salvatore, il Maestro, l’amico vivo, reale, vicino. Non è un personaggio letterario, uno di quelli di cui si discorre nei libri antichi e moderni; non è una figura tra le molte di cui ci parlano i testi di storia; è l’interlocutore delle nostre conversazioni più calde e più decisive; è il principio e il destinatario della più emozionante relazione affettiva; è colui che ci coinvolge in un rapporto interpersonale che segna e determina il nostro vivere. Non si può essere cristiani e pensare a Cristo come a qualcosa di lontano, di mitico, di inafferrabile. Per questo, il beato Josemaría consigliava con la sua consueta praticità: “Devi perdere la paura di chiamare il Signore con il suo nome – Gesù – e di dirgli che lo ami”.
Ma ciò che più mi tocca nel profondo dell’anima e mi trova consenziente, in Monsignor Escrivá, è il suo senso della Chiesa, della sua soprannaturale bellezza, della sua maternità nei nostri confronti. Credo sia il caso di lasciare a lui la parola su questo argomento.
“Se amiamo la Chiesa, non sorgerà dentro di noi l’interesse morboso di presentare come colpe della Madre le miserie di alcuni suoi figli. La Chiesa, Sposa di Cristo, non ha alcun motivo di intonare alcun mea culpa. Noi invece sì: Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”.
Questo è il vero “meaculpismo”, quello personale e non quello che infierisce contro la Chiesa…
“Il mistero della santità della Chiesa – questa luce originaria, che può essere eclissata dalle ombre della bassezza umana – respinge perfino il più piccolo pensiero di sospetto o di dubbio sulla bellezza di nostra Madre. E non si può tollerare senza proteste che altri la insultino. Non cerchiamo nella Chiesa i lati vulnerabili alla critica, come fanno taluni che non dimostrano né fede né amore. Non concepisco che si possa vivere un affetto autentico per la propria madre, e al tempo stesso che si parli di lei con glaciale distacco.
“Nostra Madre è santa, perchè è nata pura e continuerà a essere senza macchia per l’eternità. Se qualche volta non riusciamo a intravedere la bellezza del suo volto, siamo noi a doverci pulire gli occhi…
“Tu sei santa, Chiesa, Madre mia, perchè ti ha fondato il Figlio di Dio, che è santo; sei santa, perchè così ha voluto il Padre, fonte di ogni santità; sei santa perchè ti assiste lo Spirito Santo, che abita nell’anima dei fedeli, per riunire i figli del Padre, che abiteranno nella Chiesa del cielo, la Gerusalemme eterna”.
Il mio ardentissimo desiderio è che tutti i fedeli bolognesi, soprattutto i catechisti e i sacerdoti che insegnano su mio mandato, imparino a parlare così della Chiesa. E mi auguro che imparino a parlare così della Sposa di Cristo, in Italia e nel mondo, tutti coloro che si dicono teologi, tutti i religiosi, tutti i laici pastoralmente impegnati, tutti i redattori delle riviste che si presentano come cattoliche.
Mi rendo conto che questo sarebbe un grande miracolo. Ma è un miracolo che oggi, potendo contare sull’appoggio in cielo del Beato Josemaría, abbiamo qualche speranza in più di poter ottenere.
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