«San Escrivá, maestro di speranza quotidiana»
Di quel 6 ottobre si ricorda il mezzo milione di pellegrini in piazza San Pietro e, ovunque tutt’attorno, una folla composita come lo sono le donne e gli uomini in tutto il mondo, variegata per provenienze, età, professioni, condizione sociale, livello d’istruzione… Un manuale di quotidianità aperto sotto il cielo di Roma. Dieci anni esatti sono passati da quando Roma si svegliò con questa folla «normale» arrivata da ogni parte del mondo per la canonizzazione di monsignor Josemaría Escrivá, il sacerdote spagnolo pioniere della santità dei laici in mezzo al mondo, fondatore nel 1928 dell’Opus Dei, morto nel 1975 e beatificato 17 anni dopo. Il suo secondo successore alla guida di quella che per decisione di Giovanni Paolo II è una prelatura personale dal 1982, il vescovo Javier Echevarría, spagnolo anch’egli, spiega ad Avvenire il senso e l’eredità di quella giornata.
Eccellenza, dieci anni fa la Chiesa riconosceva la santità del fondatore dell’Opus Dei al cospetto di centinaia di migliaia di persone a Roma. Cosa ricorda di quella giornata, e che messaggio giunse da un evento di quelle proporzioni?
Di quella giornata ricordo il clima di gratitudine a Dio e di festa, con tanti fedeli devoti e sorridenti. Il messaggio incoraggiante che ci ha trasmesso la canonizzazione di san Josemaría Escrivá è una iniezione di speranza: «cercare quotidianamente la conversione personale». Lo spirito di san Josemaría non è solo una promessa, ma un cammino concreto ed efficace per vivere il Vangelo e per raggiungere la santità. I suoi insegnamenti devono dare frutti di virtù, di donazione a Dio e agli altri. Chiedo al Signore che lo imprima profondamente nei nostri cuori e ci aiuti a metterlo in pratica.
Cosa dice alla Chiesa oggi la figura di san Josemaría Escrivá?
Il fatto che la sua canonizzazione abbia avuto luogo agli albori del nuovo secolo appare significativo. Se il secolo scorso è stato testimone della “riscoperta” della chiamata universale alla santità, il XXI secolo deve caratterizzarsi per una più effettiva ed estesa realizzazione di tale insegnamento. Ecco una delle grandi sfide che lo Spirito lancia agli uomini e alle donne del nostro tempo. Il messaggio di san Josemaría risuona oggi con speciale forza: “La santità non è cosa per privilegiati”, diceva. Il Signore chiama tutti, di ogni condizione, professione o mestiere, dovunque si trovino. La vita normale, ordinaria, può essere mezzo di santità, tutte le strade della terra possono essere occasione di un incontro con Cristo. È una vera e decisiva risposta alla secolarizzazione.
La canonizzazione dei fondatori è sempre un momento di passaggio, una sorta di ingresso nella piena maturità per le istituzioni cui essi hanno dato vita. In questi dieci anni cosa è cambiato nell’Opus Dei? In cosa sta «maturando» una realtà in fondo ancora giovane per i tempi della Chiesa?
La Prelatura dell’Opus Dei, come piccola parte della Chiesa, esiste per cooperare alla universale missione ecclesiale e seguire la strada indicata dai suoi pastori. Nei dieci anni trascorsi dalla canonizzazione di san Josemaría, i fedeli dell’Opus Dei, così come le tante persone che ne frequentano le attività formative, hanno continuato nel loro impegno personale nel diffondere la ricerca della santità nella vita ordinaria. In particolare lavorano con slancio per mostrare che la santità non è confinata in un ideale, per così dire, «spiritualista», bensì porta con sé frutti tangibili di giustizia e di pace, così come Benedetto XVI ci sta ricordando costantemente nel suo magistero. Numerose sono le attività di servizio sociale sorte in questi dieci anni in tutto il mondo per iniziativa di persone dell’Opera insieme ad altri: per esempio la Scuola di lingue «Irtysh» ad Almaty, in Kazakistan, il Centro di cure palliative «Laguna» a Madrid, la nuova sede dell’Università Campus bio-medico a Roma, l’Associazione Harambee International che ha realizzato progetti educativi in molti Paesi dell’Africa… Tutte queste iniziative sono prima di tutto indirizzate ad aiutare ogni persona che vi partecipa ad avvicinarsi a Dio.
La crisi mondiale – etica ancor prima che economica, come ha ricordato più volte il Papa – cosa chiede oggi ai cristiani laici impegnati nelle realtà temporali, cui principalmente si rivolge il messaggio di san Josemaría?
I cristiani, come tutti gli uomini, sanno che talvolta la vita può presentare situazioni critiche, sfide spesso molto difficili da affrontare. La crisi tocca nel profondo ciò che sta più a cuore all’uomo: la stabilità della famiglia, il lavoro, le relazioni sociali, la tranquillità economica. Per chi vive da figlio di Dio, tuttavia, c’è la sicurezza di avere in Cielo un Padre buono. È da questa speranza che occorre ripartire, da una speranza che ha le sue radici nella fede e nel rapporto personale con Gesù. I cristiani sono chiamati a riscoprire, e a far riscoprire, ciò che è essenziale: saper prendere sulle proprie spalle e in prima persona le sorti degli altri, per contribuire a ricostruire le famiglie, dare un senso non egoistico al lavoro, coltivando buone relazioni sociali con tutti.
Recentemente sono state riconosciute le virtù eroiche del suo predecessore alla guida dell’Opus Dei, monsignor Álvaro Del Portillo, primo passaggio verso la beatificazione. Cosa vuol dire per lei essere successore di due figure di questa statura?
Questa notizia ci ha riempito di gioia. Come primo successore di san Josemaría, monsignor Álvaro Del Portillo ha fornito un grande esempio di fedeltà e di gioia. Egli fu anzitutto un uomo fedele, cioè uomo di fede: fede in Dio, fede nella Chiesa, fede nell’origine soprannaturale dell’Opus Dei e, quindi, fede nel carattere divino dell’impresa a cui era stato chiamato dal Signore a collaborare; così come san Josemaría ha fatto per tutta la sua vita. Avere due predecessori di tale statura mi spinge a seguire il loro esempio e a rivolgermi costantemente alla loro intercessione, ben conoscendo i miei limiti.
Cinquant’anni fa il Concilio: quale fu il contributo di Escrivá ai lavori dell’assemblea e ai suoi frutti? E cosa va recuperato oggi del Vaticano II?
Benedetto XVI ha definito questo Concilio «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX». San Josemaría non partecipò personalmente ai lavori conciliari, ma seguì con grande attenzione questo importante momento della storia della Chiesa: rimase, d’accordo con Giovanni XXIII, in contatto con i padri e i periti conciliari, ai quali, con totale spirito di servizio, poté trasmettere la sua vasta esperienza pastorale. Sono trascorsi cinquant’anni da quando il Concilio proclamò la chiamata universale alla santità e all’apostolato, che san Josemaría – come è riportato nel decreto della Congregazione delle cause dei santi per la sua beatificazione – aveva contribuito a risvegliare alcuni decenni prima, e resta ancora molta strada da fare affinché questa verità giunga ad illuminare e a guidare i passi quotidiani di tutti i cristiani.
Cosa propone oggi l’Opus Dei alle persone che vengono in contatto con i suoi apostolati, e in particolare ai giovani?
A tutti coloro che si avvicinano all’Opus Dei si offre una proposta molto chiara: il proposito di amare di più Dio, di identificarsi pienamente con Cristo, di corrispondere generosamente all’azione dello Spirito Santo, il tutto nella quotidianità della vita ordinaria, della famiglia, del lavoro. Ai giovani si chiede soprattutto di sentire la responsabilità dell’epoca che è stata affidata loro, perché sono il futuro della società. Il Santo Padre non si stanca di incoraggiarli in ogni occasione a non aver paura di dare la vita per qualcosa di grande. Lo scorso giugno a Milano assicurava che «ogni età è matura per Cristo!», si può essere santi anche con pochi anni di vita alle spalle. E la santità è la via normale del cristiano, non solo per qualcuno ma per tutti.
Quale sarà il contributo dell’Opus Dei all’Anno della fede?
Tutti i cristiani sono chiamati a una profonda e più radicale conversione che possa illuminare tutti gli strati della società. Con la fede si spalancano le porte sbarrate, si aprono orizzonti che sembravano chiusi. Attorno a noi, nell’ambito professionale, sociale o familiare che frequentiamo, scopriremo tante persone a cui forse nessuno ha mai parlato di Dio e della felicità eterna alla quale aspirano tutte le creature. Malgrado la nostra personale debolezza, dobbiamo svegliare gli uomini e le donne da questo torpore, aprire loro gli occhi con l’eloquenza della nostra vita e l’entusiasmo delle nostre parole e, così, condurle fino a Gesù. Senza dimenticare che noi per primi siamo chiamati ad approfondire sempre la nostra formazione spirituale e umana. Questa è la sfida dell’Anno che sta per cominciare. Si concretizzerà anche in centinaia di iniziative: corsi per riscoprire la propria fede, convegni accademici in alcune università che contano sull’aiuto pastorale della prelatura, momenti di preghiera ed adorazione eucaristica, ecc. Ma soprattutto in un profondo ed esteso apostolato personale.
(a cura di Francesco Ognibene, 06/10/12, Avvenire)
Commenti recenti