L’omelia del card. Biffi per il centenario della nascita di san Josemaría
Josemaría Escrivá de Balaguer è nato a Barbastro nella regione spagnola dell’Aragona il 9 gennaio 1902, verso le dieci, in una fredda sera d’inverno: saranno dunque esattamente cento anni tra qualche ora. Ed è morto il 26 giugno 1975 nel caldo di un’estate romana.
A pochi giorni dalla nascita – il 13 gennaio – è stato battezzato. E da quel momento la grazia di Dio ha iniziato in lui un lungo ed efficace lavoro interiore che anno dopo anno lo porterà a un’eccezionale traguardo di santità; quella santità che ha avuto un primo solenne riconoscimento dal Successore di Pietro il 17 maggio 1992.
Come si vede, la sua avventura umana, cristiana, sacerdotale – un’avventura al tempo stesso lineare e straordinaria – è tutta racchiusa entro il ventesimo secolo. Non è disagevole – a saper leggere gli accadimenti con gli occhi penetranti della fede – vedere in questa mirabile esistenza la risposta misericordiosa di Dio alle pungenti interpellanze di un secolo tra i più travagliati e tragici della storia.
Qual è stata questa “risposta di Dio”? Che cosa di originale e di caratteristico il Beato Josemaría ha insegnato non solo con l’incisività di una parola lucida e convinta, ma anche con la forza di un esempio trascinatore? Qual è il messaggio propriamente suo, che egli ha regalato alla cristianità e all’umanità intera?
Ha insegnato che ogni uomo – in virtù dell’esplicita volontà del Padre – è destinato alla conoscenza della verità salvifica e alla santità; che tutti, senza alcuna esclusione, siamo chiamati ai vertici della perfezione; che ogni concreta situazione, ogni autentico valore terreno, ogni barlume di buona fede, ogni istintivo anèlito alla rettitudine, insomma l’intera condizione umana può e deve diventare invito, impulso, positivo aiuto a incamminarci decisamente verso il raggiungimento della massima ricchezza soprannaturale, e poi della gloria e della gioia senz’ombre e senza fine.
Vien fatto di dire: bella scoperta! Non era forse già stato scritto nel Libro Sacro che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (cfr. 1 Tm 2,4), e che noi siamo stati “scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati” (cfr. Ef 1,4)?
Gesù non aveva già detto a tutti i suoi ascoltatori: “Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5,48)? Non si legge da sempre nelle lettere di san Paolo l’esortazione a una generosa larghezza di spirito nel ritenere utile alla nostra santificazione ogni esperienza anche semplicemente umana: “Tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8)?
Ma appunto qui sta la garanzia dell’autenticità e della provvidenzialità divina di ogni magistero che si offra oggi alla nostra attenzione.
Nel cristianesimo – dopo che con la venuta dell’Unigenito del Padre, culmine e sintesi di ogni “vero”, la Rivelazione di Dio si è conclusa una volta per tutte – i “maestri” che meritano ascolto non sono quelli che dicono cose inaudite e peregrine; sono quelli che con voce nuova, con nuovo vigore, con nuova capacità di convincimento richiamano ai fratelli i contenuti più importanti e più necessari di quell’immutabile patrimonio di verità che la Chiesa custodisce da sempre.
In un secolo dove tutto si era andato complicando – anche entro l’area ecclesiale – sotto l’influsso delle molte e disparate ideologie, nonché delle molte e disparate analisi ed elaborazioni culturali, il Beato Josemaría ha avuto il merito incomparabile della semplificazione (che in realtà si potrebbe meglio appellare della “essenzializzazione”).
Che cosa è venuto a dire? E’ venuto a dire “che la santità non è cosa per privilegiati: che il Signore chiama tutti, che da tutti attende amore: da tutti, dovunque si trovino; da tutti, di ogni condizione, professione o mestiere” (Lettera “24-III-1930, n.2). Ed è stato un sollievo ascoltare una proposta di vita così sublime e così elementare, così attuale e così eterna, così accessibile e così sostanziale.
Egli ha detto anche: “La cosa per noi straordinaria è l’ordinario: l’ordinario fatto con perfezione” (Ibidem, n.12). Abbiamo qui un principio tanto facile quanto rivoluzionario. Ed è un antidoto a uno dei mali tipici della nostra epoca, per la quale ciò che non fa notizia non conta e quasi non esiste; invece è vero il contrario: ciò che davvero conta ed è inestimabile (e perciò deve essere compiuto con estrema cura) è proprio ciò che, essendo quotidiano e normale, come tale non fa alcuna notizia.
In un secolo che è andato sempre più separando il “religioso” dal “vissuto” – e quasi ha messo in alternativa ciò che è sacro e ciò che è profano – il Beato Josemaría ha proposto come valore ineludibile l’unificazione dell’esistente, di tutto l’esistente, in tutti i suoi aspetti sia elevanti sia creaturali.
La vita di preghiera, l’impegno professionale e sociale, la missione apostolica negli ambienti, non sono tra loro divaricabili e non vanno reciprocamente estraniati. L’uomo – e particolarmente il credente – è tanto più “vero” quanto più in lui tutto è connesso e compaginato: il culto, la famiglia, il lavoro, l’attuazione dell’ideale evangelico.
In un secolo che ha conosciuto le grandi massificazioni operate dai vari totalitarismi e ha visto affermarsi gli infiniti subdoli condizionamenti universalmente inflitti dalla cultura dominante, il Beato Josemaría ha elevato un canto chiaro e deciso alla libertà dell’uomo e segnatamente alla libertà del figlio di Dio.
“Dio non ha voluto che tutti fossero uguali né che camminassimo allo stesso modo nell’unico cammino” (Solco 401), egli diceva.
Nelle molteplici strutture storiche contingenti, nelle questioni temporali, nelle variegate possibili scelte che ogni giorno ci si presentano nelle vicissitudini terrene, ognuno deve avvertire la sua piena responsabilità personale; tutto ciò, ovviamente, illuminando la sua libertà della luce superiore del Vangelo e irrobustendola con la sua piena e indefettibile comunione ecclesiale.
Potremmo insinuare che il pensiero di Monsignor Escrivá su questa materia sia bene espresso dalla frase icastica di sant’Ambrogio: “Ubi fides ibi libertas” (Ep. 65,5: “dove c’è la fede lì c’è la libertà); frase che mi è particolarmente cara.
Come si vede, con il genio della essenzializzazione, con l’intuizione della concreta unità del reale e della necessità di superare ogni dissociazione nell’agire umano, con la sua esaltazione della giusta e motivata libertà (oltre che per tanti altri aspetti della sua affascinante personalità e della sua dottrina), Josemaría Escrivá de Balaguer è stato davvero un dono immenso per i nostri tempi e per il nostro incerto e problematico futuro.
E noi – a cento anni dalla nascita di questo uomo di Dio, di questo innamorato figlio della Chiesa, di questo amico dell’uomo – siamo qui a esprimere al Signore della storia e dei cuori la nostra sincera gratitudine.
E siamo qui ad auspicare e a implorare: con la sua intercessione ci aiuti lui a non lasciar cadere mai questa sua grande lezione di vita.
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