“Alla scuola del Cuore di Gesù” (30)
Si può dire che Cammino dal primo testo fino al termine del libro è tutto un fiorire del nome di Gesù, discepolo anche in questo, Escrivá, dell’Apostolo Paolo.
È da Cristo che prende inizio la vita di un vero apostolo che deve purificare il mondo: “Incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore” (Cammino, n. 1). Più avanti ricorda: “Nel regalarti quella “Storia di Gesù”, scrissi come dedica: “Cerca Cristo, trova Cristo, ama Cristo”” (ibidem, n. 382). E in un modo compendioso: “Diceva un’anima d’orazione: nelle intenzioni, Gesù sia il nostro fine; negli affetti, il nostro Amore; nella parola, il nostro argomento; nelle azioni, il nostro modello” (ibidem, n. 271). Il modello nel cammino della sofferenza (su cui torneremo più ampiamente): “Gesù soffre per compiere la Volontà del Padre… E tu, che pure vuoi compiere la Santissima Volontà di Dio, seguendo i passi del Maestro, potrai lamentarti se trovi per compagna di viaggio la sofferenza?” (ibidem, n. 213).
È l’unica via sicura: “Mettiti nelle piaghe di Cristo Crocifisso. – Lì apprenderai a custodire i tuoi sensi, avrai vita interiore, e offrirai continuamente al Padre i dolori del Signore e quelli di Maria, per pagare i tuoi debiti e tutti i debiti degli uomini” (ibidem, n. 288). Secondo l’esortazione dell’Apostolo: “Induimini Dommum Iesum Chrintum, rivestitevi del Signore Nostro Gesù Cristo, diceva San Paolo ai Romani (31). – E’ nel Sacramento della Penitenza che tu e io ci rivestiamo di Gesù Cristo e dei suoi menti” (ibidem, n. 310). Con amorosa confidenza: “Gesù Cristo è tuo amico. – L’Amico. – Con un cuore di carne, come il tuo. – Con gli occhi dallo sguardo amabilissimo, che piansero per Lazzaro… – E così come a Lazzaro, vuoi bene a te” (ibidem, n. 422).
Un’identica e costante presenza del Signore si avverte in Solco e in Forgia: “Perdonare. Perdonare con tutta l’anima e senz’ombra di rancore! Atteggiamento sempre grande e fecondo. – Questo è stato il gesto di Cristo mentre veniva inchiodato alla Croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”, e da lì vennero la tua salvezza e la mia” (Solco, n. 805); “Non mettere il cuore in nulla che sia caduco: imita Cristo, che si fece povero per noi, e non aveva dove posare il capo. – Chiedigli di concederti, in mezzo al mondo, un distacco effettivo, senza attenuanti” (Forgia, n. 523).
Perciò raccomanda una speciale devozione all’umanità di Cristo: “E veramente amabile la Santa Umanità del nostro Dio! – Ti sei “messo” nella Piaga santissima della mano destra del tuo Signore, e mi hai domandato: “Se una sola ferita di Cristo lava, risana, acquieta, fortifica e infiamma e innamora, che mai faranno le cinque Piaghe aperte sul legno della Croce?”” (Cammino, n. 555). “Contempla e vivi la Passione di Cristo, con Lui: offri – con frequenza quotidiana – la tua schiena quando lo flagellano; porgi il tuo capo alla corona di spine. – Nella mia terra dicono: “Amore con amor si paga”” (Forgia, n. 442). E raccomanda la Via Crucis come una devozione “robusta e sostanziosa” (Cammino, n. 556). Di fronte a Gesù non si può rimanere indifferenti: “Gesù: dovunque tu sei passato nessun cuore è rimasto indifferente. – O ti si ama, o ti si odia” (ibidem, n. 687) e così accadrà ad ogni vero apostolo. Rileva perciò la stoltezza dei nemici di Cristo: “Non so perché ti spaventi. – I nemici di Cristo sono sempre stati poco ragionevoli. Dopo la risurrezione di Lazzaro avrebbero dovuto arrendersi e confessare la divinità di Gesù. – Ebbene, no: uccidiamo – dissero – colui che dà la Vita! E oggi, come ieri” (ibidem, n. 694).
Anche le omelie fioriscono a ogni paragrafo della presenza di Cristo. La meta è per tutti la più alta, l’imitazione di Cristo: “Non lasciatevi ingannare tanto facilmente dalla codardia e dalla comodità. Sentite, invece, l’urgenza divina che ciascuno di voi sia un altro Cristo, ipse Christus, lo stesso Cristo” (Amici di Dio, n. 6). È questo il cammino del cristiano al quale Cristo stesso ci ha invitati: “Ripercorri l’esempio di Cristo, dalla culla di Betlemme al trono del Calvario. Considera la sua abnegazione, le sue privazioni: fame, sete, fatica, caldo, sonno, maltrattamenti, incomprensioni, lacrime […]. Gesù ha dato sé stesso, offrendosi in olocausto per amore” (ibidem, nn. 128-129). Viviamo pertanto la ricchezza spirituale del Vangelo: “Ti consiglio, nella tua orazione, di intervenire negli episodi del Vangelo come un personaggio tra gli altri. Cerca anzitutto di raffigurarti la scena o il mistero che ti deve servire per raccoglierti e meditare. Poi applica ad essa la mente, prendendo in considerazione l’uno o l’altro dei lineamenti della vita del Maestro: la tenerezza del suo Cuore, la sua umiltà, la sua purezza, il suo modo di compiere la Volontà del Padre”.
Non basta: “Quindi raccontagli tutto quello che in queste cose ti suole capitare, quello che senti, i fatti della tua vita. E presta attenzione, perché forse Egli vorrà indicarti qualche cosa: è il momento delle mozioni interiori, di renderti conto, di lasciarti convincere” (ibidem, n. 253). Soprattutto del mistero d’amore del Cuore di Gesù. E “l’amore divino fa sì che la seconda Persona della Santissima Trinità, il Verbo Figlio di Dio Padre, prenda la nostra carne, e cioè la nostra condizione umana, eccetto il peccato. E il Verbo, Parola di Dio, e Verbum spirans amorem (32), la parola dalla quale procede l’Amore. L’amore” – insiste – “ci si rivela nell’Incarnazione, nel cammino redentore di Gesù Cristo sulla nostra terra, fino al sacrificio supremo della Croce. E, sulla Croce, si manifesta con un nuovo segno: Uno dei soldati gli colpì il costato con una lancia e subito ne uscì sangue e acqua (Gv 19, 34).
Acqua e sangue di Gesù che ci parlano di una donazione realizzata sino in fondo, sino al consummatum est (Gv 19, 30): tutto è compiuto, per amore” (È Gesù che passa, n. 162). E reagisce perciò vivacemente a una supposta “crisi” postconciliare della devozione al Sacro Cuore di Gesù: “Tale crisi non esiste; la vera devozione è stata ed è tuttora (33) un atteggiamento vivo, pieno di senso umano e di valore soprannaturale. I suoi frutti sono, ieri come oggi, frutti saporosi di conversione e di donazione […], di penetrazione amorosa dei misteri della Redenzione” (ibidem, n. 163). Anzi: “la pienezza di Dio ci viene rivelata e ci viene data in Cristo, nell’amore di Cristo, nel Cuore di Cristo. Perché è il Cuore di Colui nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (ibidem, n. 163).
Parlare del cuore di un uomo è parlare della qualità di tutta la sua persona, e “quando la Sacra Scrittura parla del cuore, non intende un sentimento passeggero che porta all’emozione o alle lacrime. Parla del cuore – come testimonia lo stesso Gesù – per riferirsi alla persona che si rivolge tutta, anima e corpo, a ciò che considera il suo bene” (ibidem, n.
164).
Ecco allora, continua con precisione teologica, “che, considerando il Cuore di Gesù, scopriamo la certezza dell’amore di Dio e la verità del suo donarsi a noi. Nel raccomandare la devozione al Sacro Cuore, non facciamo che raccomandare di orientare integralmente noi stessi, con tutto il nostro essere – la nostra anima, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, le nostre fatiche e le nostre gioie – a Gesù tutto intero” (ibidem).
Allora la “vera devozione al Cuore di Gesù consiste in questo: conoscere Dio e conoscere noi stessi, guardare a Gesù e ricorrere a Lui che ci esorta, ci istruisce, ci guida. In questa devozione” – osserva con profondità – “non si dà altra superficialità che quella dell’uomo che, non essendo interamente umano [corsivo nostro], non riesce a cogliere la realtà del Dio incarnato” (ibidem). Ecco: “Gesù crocifisso, con il cuore trafitto dall’amore per gli uomini, è una risposta eloquente […] alla domanda sul valore delle cose e delle persone” (ibidem, n. 165).
Il Cuore di Gesù è un cuore umano che si commuove e si affretta ad alleviare le sofferenze altrui come ha fatto con la vedova di Nain quando, preso da compassione, le si avvicina e dice: “Non piangere”, e così davanti alla tomba di Lazzaro, riportando queste creature alla vita e restituendole all’affetto dei loro cari: anche noi “nella festa odierna dobbiamo chiedere al Signore di concederci un cuore buono, capace di commuoversi per il dolore delle creature, capace di comprendere che, per lenire le pene che accompagnano e non poche volte angustiano gli animi su questa terra, il vero balsamo è l’amore, la carità” (ibidem, n. 167).
E, dopo aver ricordato le maledizioni di Cristo, nell’ultimo giudizio, contro coloro che hanno trascurato le opere di misericordia, ha un’osservazione per i problemi concreti del terzo mondo: “Un uomo o una società che non reagiscano davanti alle tribolazioni e alle ingiustizie, e che non cerchino di alleviarle, non sono un uomo o una società all’altezza dell’amore del Cuore di Cristo” (ibidem). I cristiani devono perciò “lottare in questa guerra di pace contro il male, l’ingiustizia, il peccato, proclamando che l’attuale condizione umana non è quella definitiva e che l’amore di Dio manifestato nel Cuore di Cristo otterrà il glorioso trionfo spirituale degli uomini (ibidem, n. 168).
E bisogna ricordare che dal Cuore aperto di Cristo sulla Croce sono sgorgati i Sacramenti attraverso i quali Dio opera in noi e ci fa partecipi della forza redentiva di Cristo; e in particolare il sacramento dell’Eucaristia, la nostra Messa che rinnova in modo incruento il sacrificio del Calvario. E sappiamo così, come dice il titolo dell’omelia, che il Cuore di Gesù è la pace dei cristiani. “Perché, ricordiamolo ancora una volta, l’amore di Gesù per gli uomini è un aspetto insondabile del mistero divino, dell’amore del Figlio per il Padre e lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, il vincolo d’amore tra il Padre e il Figlio, trova nel Verbo un cuore umano […]. Sappiamo che è così; sappiamo che l’Amore, dal seno della Trinità, si effonde su tutti gli uomini per mezzo dell’Amore del Cuore di Gesù” (ibidem, n. 169).
La conclusione: “Un cristiano che vive unito al Cuore di Gesù non può avere che questa meta: la pace nella società, la pace nella Chiesa, la pace nella propria anima, la pace di Dio che sarà perfetta quando verrà a noi il suo Regno” (ibidem, n. 170). Ogni cristiano, nel suo posto nel mondo, è un operaio per l’avvento del Regno futuro che invochiamo nel Pater.
Note
(30) Cfr l’omelia del 17 giugno 1966, festa del Sacro Cuore.
(31) Rm 13, 14.
(32) L’autore cita san Tommaso: Summa theologica, I, q. 43, a. 5, che cita sant’Agostino: De Trinitate, IX, 10.
(33) L’autore scrive nel 1966.
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