Con la semplicità e l’abbandono dei bambini
Escrivá dedica ben due capitoli deliziosi di Cammino alla “via dell’infanzia spirituale” (nn. 852 ss.), ch’egli considera indispensabile per ogni cristiano che deve aspirare alla santità. Si tratta di essere bambino davanti a Dio: “e, per esserlo, uomo molto virile in tutto il resto” (n. 858). Per questo “l’infanzia spirituale non è semplicioneria spirituale, né mollezza: è cammino saggio e vigoroso che, per la sua difficile facilità [sic], l’anima deve intraprendere e continuare portata per mano da Dio” (n. 855).
Escrivá, che tiene certamente presente il celebre capitolo della Storia di un’anima di santa Teresa di Lisieux, sulla via dell’abbandono di amore, ne mette in chiaro con tratti forti le caratteristiche ardue e attraenti a un tempo, e questo al di sopra di ogni facile sentimentalismo e con cristiano realismo: “Sii piccolo, molto piccolo. – Non avere più di due anni di età, tre al massimo. – Perché i bambini più grandicelli sono dei furbacchioni che cercano già d’ingannare i loro genitori con inverosimili bugie. Hanno infatti la malizia, il fomes del peccato […]. Hanno perduto la semplicità, e la semplicità è indispensabile per essere piccoli davanti a Dio” (n. 868). Occorre perciò lavorare sodo: “L’infanzia spirituale esige la sottomissione dell’intelletto, più difficile della sottomissione della volontà. – Per assoggettare l’intelletto è necessario, oltre alla grazia di Dio, un continuo esercizio della volontà a dire no, come dice no alla carne, una volta e un’altra e sempre.
E si verifica, di conseguenza, il paradosso (11) per cui chi segue “il piccolo cammino d’infanzia” deve, per farsi bambino, irrobustire e virilizzare la volontà” (n. 856). Ma tenendo presente che il modello è lì: “Essere piccolo: le grandi audacie sono sempre dei bambini. (12) – Chi chiede… la luna? – Chi non si ferma davanti ai pericoli per realizzare il suo desiderio?”. Così nell’ordine della grazia: “”Mettete” in un bambino “così” molta grazia di Dio, il desiderio di fare la sua Volontà (di Dio), molto amore per Gesù, tutta la scienza umana che le sue capacità gli permettono di acquistare… e avrete il ritratto del carattere degli apostoli d’oggi, così come senza dubbio li vuole Dio” (n. 857).
Bambini nella gioia: “Se sarete bambini, non avrete dispiaceri: i bambini dimenticano subito i loro guai per tornare ai giochi abituali. – Pertanto, abbandonandovi, non avrete di che preoccuparvi, giacché riposerete nel Padre” (n. 864; corsivo nostro). Bambino perciò anche nella tribolazione: “Se Gesù ti manda eventi che la gente qualifica cattivi, rallegrati in cuor tuo, perché Egli ti dà sempre quello che conviene e dunque è l’ora bella di amare la Croce” (n. 873).
Anche Solco e Forgia abbondano di riferimenti al “cammino d’infanzia spirituale”. Per esempio: “Sei ringiovanito! Effettivamente, noti che il rapporto con Dio ti ha riportato in poco tempo all’epoca semplice e felice della giovinezza, persino alla sicurezza e alla gioia – senza infantilismi – dell’infanzia spirituale… Ti guardi attorno, e ti accorgi che agli altri succede lo stesso: passano gli anni dal loro incontro con il Signore e, con la maturità, si rafforzano una giovinezza e un’allegria indelebili: non sono giovanili: sono giovani e allegri! Questa realtà della vita interiore attrae, conferma e conquista le anime. Rendine grazie ogni giorno “ad Deum qui laetificat iuventutem” – al Dio che colma di gioia la tua giovinezza” (Solco, n. 79. Cfr anche nn. 145, 270, 473,474, ecc.).
E da Forgia: “Bambino buono: gli innamorati, su questa terra, come baciano i fiori, la lettera, il ricordo di chi amano!… – E tu, potrai forse dimenticarti che lo hai sempre accanto… Lui!? – Ti dimenticherai… che lo puoi mangiare?” (n. 305; cfr anche nn. 300, 329, 345-354, ecc.)
L’autore intesse su questo tema dell’infanzia spirituale (13) tutta una gamma di variazioni geniali e profonde che vanno al cuore del programma di santità lungo tutto il suo cammino dagli inizi fino alla consumazione. Queste decine di pagine sono fra le più gustose e profonde della spiritualità moderna e si sente che l’autore sta scavando nella sua anima, nella sua ascensione spirituale, e cita ovviamente Mt 18,3 col commento: “Questo antico e sempre attuale itinerario interiore d’infanzia, non è fragile sentimentalismo […], bensì la vera maturità soprannaturale, che ci porta a scoprire sempre meglio le meraviglie dell’amore divino, a riconoscere la nostra piccolezza e a identificare del tutto la nostra volontà con la volontà di Dio” (È Gesù che passa, n. 135).
Farsi bambini allora è il compendio della santità, come dice di lì a poco (commentando ancora Mt 18, 3), poiché “significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza, riconoscere che, per imparare a camminare e perseverare nel cammino, da soli non possiamo nulla, ma abbiamo bisogno della grazia, del potere di Dio nostro Padre. Essere piccoli significa abbandonarsi come sanno abbandonarsi i bambini, credere come credono i bambini, pregare come pregano i bambini” (ibidem,n. 143).
Più diffuso e vario è lo stile di Amici di Dio, dove si legge la serena allusione autobiografica: “Siate molto bambini! Quanto più piccoli, tanto meglio. Ve lo dice l’esperienza di questo sacerdote, che ha dovuto rialzarsi molte volte nel corso di questi trentasei anni – mi sembrano tanto brevi e tanto lunghi! – vissuti cercando di compiere un’esplicita Volontà di Dio. Una cosa mi ha sempre aiutato: essere rimasto bambino, continuare a rifugiarmi nel grembo di mia Madre e nel Cuore di Cristo, mio Signore” (ibidem, n. 147). E prima, quasi rivelando il segreto della sua vita interiore: “Quando avevo ventisei anni e compresi in tutta la sua profondità il dovere di servire il Signore nell’Opus Dei, chiesi a Dio, con tutta l’anima, ottant’anni di gravità. Chiedevo più anni al mio Dio – con ingenuità da principiante, in modo infantile” (ibidem, n. 54) (14).
E confessa perciò con candore: “Cerchiamo di vivere contenti. Io sono contento. Non dovrei esserlo se guardo la mia vita […]. Eppure sono contento perché vedo che il Signore mi cerca ancora una volta, che il Signore continua a essere mio Padre” (È Gesù che passa, n. 66). La radice è quella che conosciamo: la filiazione divina mediante la grazia che inserisce la nostra vita nell’abisso di gioia ch’è la partecipazione alla vita intima della SS. Trinità.
Note
(10) Per il tema del “santo abbandono” soprattutto nelle controversie sul quietismo, in contrasto con l’attivismo d’ispirazione pelagiana, cfr le indicazioni fondamentali in: Enciclopedia Cattolica, I, ss. v. “Abbandono” di A. M. LANZ, coll. 21-24. Da integrare con J.-P. DE CAUSSADE, L’abbandono alla divina Provvidenza, Milano 1953 e V. LEHODEY, Le saint Abandon, Firenze 1945 . Anche questo autore mette tra i “frutti” del santo abbandono la semplicità e la libertà; cfr pp. 519 ss.
(11) Più ancora, osserviamo noi, che in altri paradossi del Vangelo.
(12) L’autore la chiama anche “facciatosta” nel senso di “franchezza” (nn. 387-391). 1’espressione ritorna ancora (lievemente diversa nella traduzione italiana, che riporta “sfacciataggine”) nell’omelia su Cristo Re: “Ci concede di nutrire verso di Lui una pietà da figlio e anche, oserei dire, la sfacciataggine del figlio che sa di avere un Padre che non gli rifiuterà nulla” (È Gesù che passa, n. 185).
(13) È certo che conosceva la Storia di un’anima della piccola santa di Lisieux.
(14) Anche la scena del bambino, nel porto di Valenza, che si mette ad… aiutare i pescatori a tirare le reti! (cfr Amici di Dio, n. 14).
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