Con libertà e responsabilità personale
E anch’essa la conseguenza della filiazione divina del cristiano e la radice o mezzo, che dir si voglia, del suo lavoro di apostolato nel mondo: certamente è uno dei temi più cari a Escrivá (7) ed è quasi la bandiera dell’Opus Dei, il punto socialmente più delicato e insieme più importante della sua fisionomia spirituale.
Si tratta del principio della libertà personale che hanno i laici per prendere, alla luce dei principi enunciati dal Magistero della Chiesa, le decisioni concrete, teoriche o pratiche, che ciascuno reputi in coscienza più opportune e confacenti alle proprie convinzioni e inclinazioni; per esempio per quanto riguarda le diverse opinioni filosofiche, di scienza economica o di politica; oppure per quanto riguarda le correnti artistiche o culturali o i problemi concreti della loro vita professionale e sociale, ecc. Affermare il contrario, sarebbe un ricadere “in un “clericalismo” sorpassato e deplorevole”: si deve invece far posto a “un autentico pluralismo [corsivo nostro] di criteri e di opinioni, anche fra i cattolici, nell’ambito di ciò che il Signore ha lasciato alla libera discussione degli uomini” (Colloqui, n. 12).
Si tratta del punto chiave per capire l’azione dell’Opus Dei nella società e nella Chiesa: “Persone formate ad una concezione militaristica dell’apostolato e della vita spirituale, saranno portate a interpretare il lavoro libero e personale dei cristiani come un’azione di gruppo” (ibidem, n. 38). Tutto l’opposto nell’Opus Dei. Perciò egli parla della spontaneità apostolica della persona, della sua libera e responsabile iniziativa, sotto la guida dello Spirito, che è il giusto e necessario pluralismo nel senso della apertura in forma di una “disorganizzazione organizzata” (cfr ibidem, n. 19). Ancora: “Dall’inizio dell’Opera, e non solo dopo il Concilio, abbiamo cercato di vivere un cattolicesimo aperto, che difenda la legittima libertà delle coscienze” (8). Si vedano in proposito le dichiarazioni del fondatore dell’Opus Dei sull’atteggiamento dei cattolici riguardo al problema razziale in Usa e al progetto della libertà religiosa in Spagna.
È nello spirito di quest’apertura che “l’Opus Dei è la prima istituzione cattolica che, fin dal 1950, con l’autorizzazione della santa Sede, ammette come Cooperatori i non cattolici e i non cristiani, senza alcuna discriminazione, con amore per tutti” (ibidem, n. 29).
È bene insistere perché si tratta di un principio non solo capitale ma insolito e per questo Escrivá lo riprende in tutte le interviste: nell’Opus Dei i membri “difendono sempre la libertà personale […]. Ma l’Opera non propone nessuna strada determinata, né di tipo economico, né politico, né culturale. In questi campi, ogni membro ha piena libertà di pensare e di agire come meglio crede. In tutte le cose temporali i membri dell’Opera sono completamente liberi: […] non dà loro nessuna direttiva su come svolgere il proprio lavoro” (ibidem, nn. 48 ss.). Ciascuno agisce a titolo esclusivamente personale con piena autonomia e con assoluta libertà.
Perciò “il lavoro di direzione nell’Opus Dei è sempre collegiale, mai personale […] affidato ad una commissione composta in maggioranza di laici di diverse professioni e presieduta dal Consigliere dell’Opus Dei per quel Paese” (ibidem, n. 53). E insiste nel dichiarare che lo spirito dell’Opus Dei “è uno spirito di libertà, di amore per la libertà personale di tutti gli uomini. E siccome quest’amore per la libertà è sincero e non è solo un enunciato teorico, noi amiamo anche la conseguenza necessaria della libertà, cioè il pluralismo.
Nell’Opus Dei, il pluralismo è voluto e amato” (corsivo dell’autore; ibidem, n. 67). La conclusione: “Questo è un punto sul quale nessuno nell’Opus Dei potrà mai permettere la benché minima deviazione, perché ognuno deve difendere non solo la propria libertà personale ma anche il carattere soprannaturale dell’attività a cui si è dedicato. Ritengo perciò che la libertà e la responsabilità personali siano la migliore garanzia degli scopi soprannaturali dell’Opera di Dio” (ibidem, n. 67) (9).
Si tratta quindi di una libertà a livello della piena vita dello spirito: “Sono un grande amico della libertà, e proprio per questo amo tanto la virtù cristiana dell’obbedienza […]. Lo spirito dell’Opus Dei, che da più di trentacinque anni cerco di vivere e di insegnare, mi ha fatto comprendere e amare la libertà personale” (È Gesù che passa, n. 17). Per il cristiano tuttavia, ammonisce Escrivá, la libertà non è autosufficiente: ha bisogno di una bussola, di una guida e questa non può essere che Cristo al quale dobbiamo rivolgerci: “La libertà personale – che difendo e sempre difenderò con tutte le mie
forze – mi induce a chiedere con sicura convinzione, pur cosciente della mia debolezza: che cosa ti aspetti da me, Signore, perché io volontariamente lo compia?” (Amici di Dio, n. 26; sul fondamento biblico di Gv 14, 6 e Gai 4, 31).
E la responsabilità è enorme, infinita: “La libertà acquista il suo autentico significato quando viene esercitata al servizio della verità che redime, quando è spesa alla ricerca dell’Amore infinito di Dio” (ibidem, n. 27). La vera “libertà di coscienza” non è quella di negare Dio, ma l’uomo ha l’obbligo grave di cercarlo e di darsi a Lui e così “per amore alla libertà ci leghiamo”; ma così diventiamo figli e siamo liberi: “Mi piace parlare di avventura della libertà. È così, infatti, che si svolgono la vostra vita e la mia […]. Liberamente, senza costrizione alcuna, scelgo, perché ne ho voglia, Dio. E mi impegno a servire, a trasformare la mia esistenza in dedicazione al prossimo, per amore di Gesù, mio Signore. Questa libertà mi spinge a proclamare che nessuno, su questa terra, potrà separarmi dalla carità di Cristo” (Amici di Dio, n. 35).
Conclude invitando a “riconoscere la dignità di ogni persona, fatta a immagine di Dio, ammirando il dono specialissimo della libertà, grazie al quale siamo padroni dei nostri atti e, con l’aiuto divino, possiamo costruire il nostro destino eterno” (È Gesù che passa, n. 99).
La via più sicura della libertà è allora di affidarla a Dio nello spirito del “santo abbandono” alla mozione dello Spirito Santo, come i bambini con i propri genitori. E confessa, appellandosi ai suoi uditori: “Quanti di voi mi conoscono da più anni, possono essermi testimoni che ho sempre predicato il criterio della libertà personale e della corrispondente responsabilità. Ho cercato e cerco la libertà, per tutta la terra, come Diogene cercava l’uomo. L’amo ogni giorno di più, l’amo al di sopra di tutte le cose terrene: è un tesoro che non apprezzeremo mai abbastanza” (ibidem, n. 184).
Note
(7) Vi ha dedicato ben due omelie: Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà (E Gesù che passa, nn. 67-72) e Libertà dono di Dio (Amici di Dio, nn. 23-38).
(8) L’autore ha l’espressione ardita che “Dio […] ha voluto correre il rischio della nostra libertà” (E Gesù che passa, n. 113; cfr C. FABRO, L’uomo e il rischio di Dio, Roma 1967). Il titolo originale va inteso nel senso diretto di “rischio” nell’espressione di Escrivá (che io allora non conoscevo).
(9) Perciò precisa: “Non è esatto parlare di “libertà di coscienza”, nel senso di considerare moralmente valido che l’uomo respinga Dio […] Difendo invece con tutte le mie forze la libertà delle coscienze, che sta a significare che a nessuno è lecito impedire che la creatura renda il culto a Dio” (Amici di Dio, n. 32).
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