Le omelie – É Gesù che passa
Sono meno note di Cammino, ma rivelano, a mio avviso, aspetti ancor più profondi e importanti della poliedrica personalità di monsignor Escrivá. La sua predicazione fu in prevalenza riservata ai membri dell’Opus Dei e mirava direttamente alla loro formazione spirituale. Le omelie e le meditazioni registrate dalla sua viva voce non avevano quasi bisogno di revisione prima di essere date alle stampe. Era sufficiente qualche limatura formale qua e là e l’aggiunta di opportuni sottotitoli per dividere i punti in cui Escrivà aveva distribuito la materia della sua esposizione.
Più ancora che in Cammino, qui lo sfondo è biblico e liturgico, abbondano le citazioni patristiche e i riferimenti alla teologia di san Tommaso; segno dell’impegno e della serietà della sua preparazione. Escrivá predicò moltissimo durante l’intero arco della sua lunga vita a tutte le categorie di persone: uomini, donne, studenti, professionisti, sacerdoti, professori universitari… e, come san Paolo, ha percorso il mondo intero per invitare le anime a seguire Cristo e a santificarsi. Ho sentito e letto che presso l’archivio dell’Opus Dei esiste un materiale immenso di testi e appunti: documento del suo zelo infaticabile e della dedizione paterna per la sua opera e per i suoi figli e figlie.
È Gesù che passa (14). II volume raccoglie 18 omelie pronunziate fra il 1951 e il 1971 nei tempi forti dell’anno liturgico (Avvento, tempo natalizio, Quaresima, tempo pasquale, feste principali).
Merita un’attenta lettura il complesso dei titoli delle diciotto omelie che prendiamo dall’indice generale, omettendo (a malincuore) i sottotitoli spesso geniali e significativi: si sente una maturità e intensità di contemplazione maggiore che in Cammino (15).
1. La vocazione cristiana (Omelia pronunciata il 2 dicembre 1951, prima domenica di Avvento).
2. Il trionfo di Cristo nell’umiltà (24 dicembre 1963).
3. Il matrimonio vocazione cristiana (Natale 1970).
4. L’Epifania del Signore (6 gennaio 1956).
5. Nella bottega di Giuseppe ( 19 marzo 1963).
6. La conversione dei figli di Dio (2 marzo 1952, prima domenica di Quaresima).
7. Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà (15 marzo 1961, mercoledì della IV settimana di Quaresima).
8. La lotta interiore (4 aprile 1971, Domenica delle Palme).
9. L’Eucaristia, mistero di fede e d’amore (14 aprile 1960, Giovedì Santo).
10. La morte di Cristo, vita del cristiano (15 aprile 1960, Venerdì Santo).
11. Cristo presente nei cristiani (25 marzo 1967, Domenica di Risurrezione).
12. L’Ascensione del Signore in cielo (19 maggio 1966, testa dell’Ascensione).
13. Lo Spirito Santo, il grande sconosciuto (25 maggio 1969, solennità di Pentecoste).
14. A Gesù per Maria (4 maggio 1957).
15. Nella festa del Corpus Domini (28 maggio 1964, solennità del Corpus Domini).
16. Il cuore di Gesù, pace dei cristiani (17 giugno 1966, festa del Sacro Cuore).
17. La Vergine Santa, causa della nostra letizia (15 agosto 1961, solennità dell’Assunzione della Madonna).
18. Cristo Re (22 novembre 1970, festa di Cristo Re).
Sorprende un po’ l’assenza della festa di Tutti i Santi e dell’Immacolata Concezione, ma questi temi ricorrono spesso sia in Cammino sia in Amici di Dio. Anzi, uno degli aspetti più simpatici delle Omelie di Escrivà è che quasi tutte terminano con un pensiero e un saluto alla Madre di Dio.
Il metodo seguito dall’autore è tradizionale e originale a un tempo, aderente al tema centrale del testo liturgico nel suo significato, senza quisquilie filosofico-esegetiche, né sfoggio di erudizione che non sia il richiamo frequente e sobrio all’esperienza dei primi cristiani e all’insegnamento dei Padri. Ma ciò ch’è ancor più importante e caratteristico è l’unzione e la commozione spirituale dello stile, che si svolge con l’esposizione graduale e sempre più approfondita delle linee maestre della sua particolare concezione della perfezione della vita cristiana.
Infatti il contenuto del libro, ovvero il suo filo conduttore, si aggira sul tema teologico fondamentale della “filiazione divina” manifestata nella vita ordinaria di tutti i giorni attraverso i momenti fondamentali della crescita dell’anima, come si dirà più avanti: la vocazione universale alla santità, la santificazione del lavoro ordinario, la dignità della esistenza (vita) secolare, la contemplazione nel mezzo del mondo, l’unità della vita. Il tutto è, di volta in volta, considerato alla luce dei misteri principali della vita di Cristo (cfr in particolare l’omelia Cristo presente nei cristiani, nn. 102 ss.).
Rimandando a più avanti l’accenno ai punti dottrinali dell’indicata tematica, credo utile dare subito qualche saggio dello stile incisivo e personale dell’autore, che rende luminoso tutto ciò che tocca. La descrizione degli Apostoli a riguardo della vocazione non ha peli sulla lingua: “Quei primi apostoli, per i quali ho grande devozione e affetto, se li giudichiamo secondo i criteri umani erano ben poca cosa. Per quanto riguarda la posizione sociale – fatta eccezione di Matteo, che certamente se la cavava bene, ma lasciò tutto quando Gesù glielo chiese – erano pescatori: vivevano alla giornata, faticando di notte per provvedere al loro sostentamento.
Ma la posizione sociale è un dato secondario. Non erano còlti, e neppure molto intelligenti, almeno per ciò che si riferisce alla comprensione delle realtà soprannaturali. Perfino gli esempi e i paragoni più semplici risultavano loro incomprensibili e dovevano ricorrere al Maestro: Domine, edissere nobis parabolam (16), Signore, spiegaci la parabola. Quando Gesù con una metafora allude al lievito dei farisei, credono che li stia rimproverando per non aver comprato del pane (17). Sono poveri e ignoranti. Tuttavia non sono né semplici né schietti. Pur nella loro ristrettezza di vedute, sono ambiziosi. Li troviamo più volte a discutere su chi sarà il maggiore quando Gesù – secondo la loro mentalità – avrà instaurato sulla terra il regno definitivo di Israele. Discutono e si accalorano nel momento sublime in cui Gesù sta per immolarsi per l’umanità: nel raccoglimento del cenacolo (18). Di fede ne hanno poca. Gesù stesso lo afferma (19). Lo hanno visto risuscitare i morti, guarire ogni genere di malattia, moltipllcare il pane e i pesci, placare le tempeste, scacciare i demoni.
Solo Pietro, scelto come capo, sa rispondere con prontezza: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente (20). Tuttavia è una fede che egli interpreta a suo modo, e pertanto si permette di tener testa a Gesù perché non si dia in redenzione per gli uomini. Gesù deve rispondergli: Lungi da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! (21). Pietro – commenta san Giovanni Crisostomo – ragionava umanamente, fino a concludere che tutto ciò – la Passione e la Morte – era indegno di Cristo e riprovevole. Per questo Gesù lo riprende e gli dice: “No, soffrire non è cosa indegna di me; tu giudichi cosi perche ragioni secondo la carne, in modo umano”” (22). Questi uomini di poca fede eccellevano forse nell’amare Gesù? Lo amavano, senza dubbio, almeno a parole. A volte si lasciavano trascinare dall’entusiasmo: Andiamo anche noi a morire con Lui (23).
Però nel momento della prova fuggono tutti, tranne Giovanni che amava veramente, con le opere. Solo questo adolescente, il più giovane degli Apostoli, rimane accanto alla Croce. Gli altri non nutrivano un amore forte come la morte (24). Erano questi i discepoli scelti dal Signore; tali apparivano prima che, ripieni di Spirito Santo, diventassero colonne della Chiesa (25). Sono uomini comuni, con i loro difetti, le loro debolezze, la loro parola più lunga delle opere. E tuttavia Gesù li chiama per farne dei pescatori di uomini (26), i corredentori e amministratori della grazia di Dio” (n. 2).
E di lì a poco una pagina esemplare sulla purezza: “Quando parlo della virtù della purezza, aggiungo solitamente l’aggettivo santa. La purezza cristiana, la santa purezza, non consiste nel vanto di sentirsi “puri”, non contaminati. E anzitutto coscienza di avere i piedi di argilla (27), benché la grazia di Dio ci liberi giorno per giorno dalle insidie del nemico. Considero una deformazione l’insistenza di alcuni nello scrivere o predicare quasi esclusivamente su questo argomento, dimenticando altre virtù di capitale importanza per la vita del cristiano e, più in generale, per la convivenza fra gli uomini. La santa purezza non è l’unica né la principale virtù cristiana: e tuttavia indispensabile per perseverare nello sforzo quotidiano di santificazione, al punto che senza di essa e impossibile dedicarsi all’apostolato. La purezza è conseguenza dell’amore con il quale abbiamo offerto al Signore l’anima e il corpo, le facoltà e i sensi. Non è negazione, ma lieta affermazione” (n. 5).
A questo proposito è delizioso il ritratto del suo patrono san Giuseppe. Dopo aver rilevato la sua condizione di artigiano, commenta: “Non sono d’accordo con il modo tradizionale di raffigurare san Giuseppe come un vecchio, anche se riconosco la buona intenzione di dare risalto alla verginità perpetua di Maria. Io lo immagino giovane, forte, forse con qualche anno più della Madonna, ma nella pienezza dell’età e delle forze fisiche. Per praticare la virtù della castità non c’è bisogno di attendere la vecchiaia o la perdita del vigore. La purezza nasce dall’amore, e non sono un ostacolo per l’amore puro la forza e la gioia della giovinezza. Erano giovani il cuore e il corpo di Giuseppe quando contrasse matrimonio con Maria, quando conobbe il mistero della sua Maternità divina, quando le visse accanto rispettando quell’integrità che Dio affidava al mondo come uno dei segni della sua venuta tra gli uomini. Chi non è capace di capire tale amore vuoi dire che sa ben poco del vero amore e che ignora totalmente il senso cristiano della castità” (n. 40) (28).
Parlando della serietà della vocazione e della conversione, commenta: “Bisogna decidersi. Non si può vivere con quelle due candele che, secondo il detto popolare, ogni uomo tiene accese: una a san Michele e una al demonio. Bisogna spegnere la candela del demonio. Dobbiamo consumare la nostra vita facendola ardere tutta intera al servizio di Dio” (n. 59).
Dopo aver citato Ez 34, 2-4, commenta: “Qualora vi imbattiate in pastori indegni di questo nome – e Dio può permettere questa prova – non scandalizzatevi. Cristo ha promesso alla sua Chiesa un’assistenza infallibile, ma non ha garantito la fedeltà degli uomini che la compongono. Ad essi non mancherà la grazia – abbondante, generosa – se mettono, da parte loro, quel poco che Dio chiede: vigilanza attenta e sforzo per togliere di mezzo, sempre con la grazia di Dio, gli ostacoli alla santità.
Quando manca lotta, anche chi sembra collocato in alto può trovarsi molto in basso agli occhi di Dio. Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda di come hai accolto la parola, osservala e ravvediti (29). Sono esortazioni che l’Apostolo Giovanni rivolge nel primo secolo a chi era a capo della Chiesa nella città di Sardi” (n. 81). Segue la costatazione franca e leale di amore alla Chiesa: “L’eventuale decadimento del senso di responsabilità in alcuni pastori non è quindi un fenomeno legato ai nostri giorni; si manifesta già al tempo degli Apostoli, nello stesso secolo in cui Gesù Cristo Nostro Signore era vissuto sulla terra. Nessuno può ritenersi sicuro se tralascia di combattere contro sé stesso. Nessuno può salvarsi da solo. Nella Chiesa tutti abbiamo bisogno dei mezzi concreti che ci fortificano: l’umiltà, che ci dispone ad accettare l’aiuto e il consiglio; la mortificazione, che prepara il cuore perché vi regni Cristo; lo studio della dottrina sicura di sempre, che ci aiuta a conservare la fede e a propagarla” (n. 81 ).
La zizzania è entrata nella Chiesa e la sta rovinando per colpa nostra: “Noi cristiani, che dovevamo essere vigilanti affinchè le cose buone poste nel mondo dal Creatore crescessero al servizio della verità e del bene, ci siamo addormentati – triste pigrizia questo sonno! – mentre il nemico e tutti coloro che lo servono si davano da fare senza riposo. Ormai vedete come è cresciuta la zizzania, e che semina abbondante ed estesa!” (n. 123). Però conclude che bisogna essere ottimisti di un ottimismo che nasce dalla fede nel potere di Dio; e “Dio non perde battaglie” (cfr ibidem).
Note
(14) Quest’opera (traduzione italiana: Edizioni Ares, Milano 1988), come le seguenti, porta una numerazione continua per temi e punti alla quale ci atterremo nelle citazioni. Mi risulta che il testo delle omelie sia stato registrato e trascritto dalla voce diretta e poi riveduto dall’autore.
(15) L’edizione, come anche nel seguente Amici di Dio, è dotata di un complesso di utili indici: I. Indice dei testi della Sacra Scrittura; II. Padri e Dottori della Chiesa, documenti del Magistero, testi liturgici, ecc.; III. Indice analitico (molto importante e utile, benché non completo); IV. Indice generale. Il testo è diviso e numerato in paragrafi: le referenze vengono fatte, qui e negli altri scritti, col numero del paragrafo.
(16) Mt 13, 36.
(17) Cfr Mt 16,6-7.
(18) Cfr Lc 22, 24-27.
(19) Cfr Mt 14,31; 16,8; 17, 20; 21, 21.
(20) Mt 16, 16.
(21) Mt 16, 23.
(22) San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum homiliae, 54, 4 (PG 58, 537).
(23) Gv 11, 16
(24) Cfr Ct 8, 6
(25) Cfr Gal 2, 9
(26) Cfr Mt 4, 19
(27) Cfr Dn 2, 33
(28) Cfr al n. 55 con un testo raro e assai bello di sant’Agostino su san Giuseppe.
(29) Ap 3, 1-3
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