Il Santo Rosario e la Via Crucis
Alla pietà popolare tradizionale Escrivá ha dedicato due brevi esposizioni: il giovanile Santo Rosario del 1934 e la Via Crucis, opera postuma pubblicata in prima edizione nel 1981.
L’autore non ignora, anzi spesso raccomanda il movimento liturgico del Concilio (lo vedremo nella produzione omiletica): hanno però un particolare significato questi due libretti in cui l’autore si unisce alla pietà popolare delle anime semplici per contemplare e glorificare i quindici misteri della vita della Madre di Dio, con la trepidazione per la nascita di Cristo, i dolori della sua Passione e gli splendori della sua glorificazione.
Il Santo Rosario (6). Parlando delle varie forme di devozione alla Madonna, Escrivá scriveva nel 1959: “Altri vivono quella preghiera meravigliosa che è il santo Rosario, nel quale l’anima non si stanca di ripetere le stesse cose, come non se ne stancano gli innamorati che si amano veramente, e in cui si impara a rivivere i momenti centrali della vita del Signore” (7). Egli resta convinto dell’efficacia di questa devozione mariana: “II rosario recitato tutti assieme” (8). Ogni mistero è presentato in forma contemplativa nel suo centro teologico, non discorsiva e termina spesso con una invocazione affettuosa, con un’esortazione, con un’esclamazione devota.
È un omaggio pio e intelligente a questa che è stata, e speriamo resterà ancora, una delle devozioni più care alla pietà cattolica, che permette anche alla pietà semplice dei fedeli più umili il contatto con le verità fondamentali della nostra fede. Non sorprende allora che fra le pratiche di pietà “che le famiglie cristiane hanno sempre adottato, e che per me sono meravigliose” egli ritorni a raccomandare in particolare il rosario recitato tutti insieme “anche se oggi non manca chi attacca questa solidissima devozione mariana” (9), quella “corona di lodi a Dio e a nostra Madre che è il santo Rosario” (10). E nell’ardente meditazione Madre di Dio, Madre nostra, esclama commosso: “Come crescerebbero in noi le virtù soprannaturali se riuscissimo a frequentare davvero Maria, che è nostra Madre! Non esitiamo a ripeterle lungo la giornata – con il cuore, senza bisogno di parole – piccole preghiere, giaculatorie. La devozione cristiana ha raccolto molte di queste lodi ardenti nelle Litanie che accompagnano il santo Rosario” (11). Escrivá è forse il più grande devoto di Maria e del santo Rosario del nostro tempo avido di chiasso ma arido di preghiera.
Via Crucis (12). È un altro scritto devozionale, edito postumo nel 1981. Ma Escrivá aveva già raccomandato questa devozione in Cammino, n. 556: “La Via Crucis. Questa sì che è una devozione robusta e sostanziosa! Magari ti abituassi a ripassare quei quattordici punti della Passione e della Morte del Signore, tutti i venerdì! – Io ti assicuro che ne ricaveresti forza per tutta la settimana”.
Non resta che rinviare il lettore al testo che passa in rassegna le quattordici stazioni della Via Crucis secondo l’ordine tradizionale (I. Gesù è condannato a morte; II. Gesù è caricato della Croce; ecc.). Precede, nello sviluppo di ogni stazione, una robusta e spesso emozionante meditazione del particolare mistero di dolore presente in quel momento del l’itinerario di Gesù verso il Calvario, che l’edizione propone in caratteri più grandi; seguono i Punti di meditazione (sempre in numero di cinque). L’unica fonte, quasi una presenza continua in filigrana, è il testo del Vangelo e dei Profeti, poiché l’autore intende mostrare il legame di continuità dei due Testamenti che trovano in Cristo, e in particolare nella sua Passione e Morte, la propria sutura spirituale. Nessun disturbo di altre citazioni pie o dotte, e neppure – anche se può sorprendere – aggiunte o indicazioni di preghiere, invocazioni…: soltanto meditazione, perché la contemplazione del mistero di dolore che il Figlio di Dio ha affrontato per noi deve colmare tutta l’anima. Ecco l’edificante essenziale! Ogni commento diventa superfluo, anzi guasterebbe; come nei migliori testi della mistica, anche qui l’unica chiave di lettura è il raccoglimento (13).
Un libro quindi di meditazione singolare, un protrettico per l’uomo d’oggi, che esige l’ascolto essenziale dal fondo dell’anima che cerca, guardando alla Croce, l’itinerario che porta al golfo misterioso dell’amore eterno.
Note
(5) Traduzione italiana: Edizioni Ares, Milano 1987.
(6) Traduzione italiana: Edizioni Ares, Milano 1988.
(7) È Gesù che passa, n. 142.
(8) Colloqui, n. 103.
(9) Ibidem.
(10) Amici di Dio, n. 248.
(11) Amicidii Dio, n. 293. E subito dopo: “Ti consiglio […], se non l’hai ancora fatta, la tua esperienza personale dell’amore materno di Maria. Non basta sapere che Ella è Madre, considerarla tale, e parlare di Lei come tale. È tua Madre, e tu sei suo figlio; ti vuole bene come se tu tossi il suo figlio unico sulla terra. Trattala di conseguenza: raccontale tutto ciò che ti succede, rendile onore, amala”.
(12) Traduzione italiana: Edizioni Ares, Milano 1989.
(13) L’editore ha accompagnato il testo con la riproduzione a colori della commovente Via Crucis di Giandomenico Tiepolo in San Polo a Venezia, che non ha l’uguale nell’arte cristiana: Cristo, dal volto ancora giovanile e atteggiato a suprema dolcezza, attira su di sé lo sguardo di amici e nemici, e a tutti porge un gesto del suo Amore. Forse non si poteva trovare un commento per gli occhi che credono più plastico e intenso: solo la grande Crocifissione del Tintoretto alla Scuola di San Rocco può reggere il confronto. Ma qui la grandiosità e drammaticità della rappresentazione la rende aggressiva, quasi da portare alla disperazione: non così Giandomenico Tiepolo, che compone i gruppi umani attorno a Cristo, di uomini e donne, di piccoli e grandi, di amici e nemici, in atteggiamento di pari attonita sorpresa, anche se con opposti sentimenti.
Così il testo di monsignor Escrivá s’illumina delle tele di Giandomenico Tiepolo del fascino smagliante della vita veneziana del Settecento; e questa a sua volta, e con essa il dramma della vita dell’uomo, mostra come l’arte della fede (che è la fede dell’arte) possa incontrarsi col messaggio di consolazione e d’impegno per la fede di un sacerdote santo. L’arte cristiana, quella che s’illumina della fede come questa del Tiepolo, arriva molto più in là della filosofia, perché guarda a Cristo con gli occhi dell’amore e sa esprimere nella figurazione la trascendenza di una speranza di suprema consolazione che è offerta a ogni uomo: anche all’uomo d’oggi in cammino, assordato dal fragore delle macchine e insidiato dalle trappole della politica atea.
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