Omelia del card. Camillo Ruini
Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. La gloria di Dio si manifesta nella vita e nelle opere dei suoi santi. Ringraziamo Dio per la gloria che dà a Lui la vita santa di Josemaría Escrivá, sacerdote e fondatore dell’Opus Dei. La Chiesa propone a tutta la cattolicità la figura di San Josemaría come guida e modello di vita cristiana, e come intercessore davanti alla Santissima Trinità.
Viviamo l’epoca incerta e affascinante degli inizi di un nuovo millennio, ci sentiamo interpellati dallo Spirito ad essere in questo crocevia della storia i forgiatori di una nuova civiltà cristiana, ben radicata nell’eredità che abbiamo ricevuto, ma non paurosa di intraprendere il futuro con sguardo carico di speranza. Ringraziamo Dio per il Papa che ci guida in questo frangente della storia: le sue parole incoraggianti segnano questi tempi di grandi trasformazioni infondendoci coraggio e iniziativa con l’invito di Gesù che abbiamo appena riascoltato dal Vangelo di Luca: “prendi il largo”!
San Josemaría. Ci abitueremo presto a chiamarlo così, nella preghiera personale e in quella comunitaria e liturgica. Il disegno provvidenziale di Dio ci dona un Santo preparato dallo Spirito per il nuovo millennio che è cominciato. “Queste crisi mondiali sono crisi di Santi.” (Cammino , n. 301) affermava e si è impegnato per primo ad essere adatto a risolvere questa crisi mondiale, santo per diventare esempio e guida per moltitudini di cristiani comuni. Il Papa ci ha indicato la contemplazione del volto di Cristo come strada di santità. E San Josemaría è stato un contemplativo del volto di Cristo.
Docile alle ispirazioni dello Spirito Santo e in assidua meditazione della parola di Dio cercava il volto di Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo. Lo commuoveva intimamente la pazzia d’amore di Dio di diventare uno di noi, di farsi un bambino perché noi ci avvicinassimo a Lui con fiducia. Si soffermava in conversazione intima con Giuseppe e con Maria sua sposa e madre di Dio, per addentrarsi nell’amicizia con Cristo Verbo Incarnato, e attraverso di Lui giungere all’amore del Padre e dello Spirito Santo. Vedeva con chiarezza nel Verbo che prende la nostra umanità la sua volontà di salvezza, l’amore indicibile, la rivelazione “dell’uomo all’uomo” (Gaudium et spes , n. 22). In questa prospettiva amava scorgere nell’umanità del Figlio di Dio tutte le virtù umane: la disponibilità, il lavoro ben fatto, la determinazione, la delicatezza, l’obbedienza, il venirci incontro, l’amore per la libertà, la temperanza, il distacco. L’amabilità dei modi e la correttezza delle virtù sociali, la straordinaria gratitudine.
Nella sua umiltà cercava di imparare da tutti quelli che frequentava queste virtù umane e cristiane, appunto perché voleva farsi imitatore personalmente identificato con tutti gli aspetti della vita del Figlio di Dio. Consigliava: “Frequenta l’umanità Santissima di Gesù… Ed Egli metterà nella tua anima una fame insaziabile, un desiderio ‘spropositato’ di contemplare il suo Volto” (Via Crucis, VI stazione, n. 2). Scrutando la vita nascosta di Gesù, quei trent’anni di quasi totale silenzio evangelico apparivano a lui tanto eloquenti: la pienezza di Dio era venuta ad abitare con totalità la natura umana e il tempo, dunque la nostra vita di ogni giorno può essere piena di Dio. A partire da questa convinzione lo Spirito forgiava in lui una vita interiore solidissima che si intesseva, prendeva spunto e alimento da tutti gli impegni, anche i più piccoli, della vita di ogni giorno, come dalle esigenze grandi della sua missione.
Comprese che l’Eucaristia era un ulteriore passo nell’umiltà dell’annullamento di Dio in favore della nostra salvezza e per amore nostro. Si innamorò fin dalla più giovane età di Gesù Cristo presente nell’Eucaristia e dimostrò questo amore con un accompagnamento continuo fatto di soste e di veglie e di slanci del cuore: fu sempre sua fonte di ispirazione e di forza. Nel segreto del tabernacolo contemplava il suo volto.
Anche il volto di Cristo sofferente ebbe una parte fondamentale nel suo approfondimento del mistero del Verbo Incarnato. Ha avuto il dono di fare l’esperienza di Gesù sulla croce, misterioso e “paradossale intreccio di beatitudine e di dolore” (Giovanni Paolo II, Litt. apost. Novo Millennio Ineunte , n. 27). Scriveva: “Ti voglio felice sulla terra. – Non lo sarai se non perdi quella tua paura del dolore. Perché, mentre “camminiamo”, la felicità consiste proprio nel dolore” (Cammino , n. 217). E ancora: “ L’amore che dà gusto, che rende felice l’anima, si fonda sul dolore” (Forgia , n. 760). In lui la percezione acutissima del dolore di Cristo era saldamente unita all’indefettibile certezza del suo significato di vittoria. Così vede Gesù che sale sulla croce: “Il volto amato di Gesù, che aveva sorriso ai bambini e si era trasfigurato di gloria sul Tabor, ora è come nascosto dal dolore. Ma questo dolore è la nostra purificazione; il sudore e il sangue che offuscano e sfigurano le sue fattezze, sono la nostra pulizia…” ( Via Crucis , VI stazione ). Nel volto morente di Gesù vedeva l’amore sereno e forte. E il gesto del sacerdote eterno che apre le braccia a tutta l’umanità. (cfr. Via Crucis , XII stazione.)
Intravedeva già, seguendo la tradizione giovannea, l’esultanza del volto del risorto. “Cristo vive: Cristo non è un uomo del passato, che visse un tempo e poi se ne andò lasciandoci un ricordo e un esempio meravigliosi. No: Cristo vive” (E’ Gesù che passa , n. 102). Lo contemplava vivo nella sua parola, nella Chiesa, nei sacramenti dove è Cristo che perdona, Cristo che si offre sull’altare. E nella presenza nell’anima del cristiano. “Cristo vive nel cristiano. La fede ci dice che l’uomo, in stato di grazia, è divinizzato” (ibidem, n. 103). Per questo diceva ai suoi figli spirituali: “vi amo tanto perché vedo scorrere nelle vostre vene il sangue del Risorto”. La percezione della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte era così forte da imprimere alla sua vita la connotazione di un ottimismo che nulla fa tramontare e della speranza attiva, anche nelle più grandi prove e sofferenze. “Quando noi cristiani ce la passiamo male è perché non diamo a questa vita tutto il suo significato divino. Dove la mano sente la puntura delle spine, gli occhi scoprono un mazzo di splendide rose, piene di profumo” (Via Crucis , VI stazione, n. 5).
La sua unione con Cristo dà ragione del dinamismo apostolico travolgente che ha informato la sua esistenza. Per questo lo Spirito Santo ci offre con l’esempio e la parola di San Josemaría un sicuro punto di riferimento per l’evangelizzazione. I Vescovi italiani si sono fatti eco del “prendi il largo” che il Papa ha lanciato e si sono rivolti ai fedeli incoraggiandoli a “comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” ( Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del duemila ). Affido queste speranze ed attese all’intercessione di San Josemaría che tanto ha amato questa terra italiana e le sue radici cristiane, e che sempre incitava i cristiani ad andare nella direzione segnalata dai loro Pastori. Molti sono gli aspetti del suo spirito che illuminano le attese dei Vescovi italiani: ne segnalo solo alcuni. Insegnava: “Dobbiamo amare il mondo, il lavoro, le realtà umane. Perché il mondo è buono: il peccato di Adamo ruppe la divina armonia del creato, ma Dio ha inviato suo Figlio unigenito a ristabilire la pace. E così noi, divenuti figli di adozione, possiamo liberare la creazione dal disordine e riconciliare tutte le cose con Dio” (E Gesù che passa , n. 112; cfr. Comunicare il Vangelo … n.51), cercando quel “qualcosa di santo, di divino” (Omelia Amare il mondo appassionatamente ) che è nascosto in ogni realtà creata.
In questo contesto il messaggio di Josemaría al cristiano, cittadino della città terrestre, è di grande incitamento e di speranza. “Questo è il tuo compito di cittadino cristiano: contribuire a far sì che l’amore e la libertà di Cristo presiedano tutte le manifestazioni della vita moderna: la cultura e l’economia, il lavoro e il riposo, la vita di famiglia e la convivenza sociale” (Solco , n. 302).
La grande fiducia nella libertà dell’uomo e nella sua responsabilità davanti a Dio e agli uomini informava il suo lavoro pastorale, come confidava in un’omelia: “ho concepito il mio lavoro di sacerdote e di pastore di anime come un compito volto a porre ciascuno di fronte a tutte le esigenze della sua vita, aiutandolo a scoprire ciò che in concreto Dio gli chiede, senza porre alcun limite a quella santa indipendenza e a quella benedetta responsabilità personale che sono le caratteristiche proprie della coscienza cristiana. Questo spirito e questo modo di agire si basano sul rispetto per la trascendenza della verità rivelata e sull’amore per la libertà della creatura umana. Potrei aggiungere che si basano anche sulla certezza della indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità che Dio non ha voluto precludere” (E’ Gesù che passa , n. 99).
Ben afferrato alla grazia di Dio poteva esclamare con San Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza!”. Consapevole delle sue debolezze umane, confessava con San Pietro: sono peccatore, ma aggiungeva: un peccatore che ama Gesù Cristo. Debolezza umana e forza di Dio: ingredienti indispensabili per i cristiani di sempre, e di oggi in modo particolare.
Oggi che la Chiesa, anche nella nostra terra di antica tradizione cristiana, nota il crescente analfabetismo religioso , specialmente tra i giovani, giova riscoprire l’importanza che il nuovo Santo dava alla formazione intellettuale, alla fede che doveva diventare cultura per essere in grado di dare ragione della speranza che è in noi. Non era un aspetto riservato a pochi, ma a tutti coloro che volessero prendere seriamente la vita cristiana: “Studia. – Studia con impegno. – Se devi essere sale e luce, hai bisogno di scienza, di idoneità. O credi che per la tua pigrizia e indolenza riceverai la scienza infusa?” (Cammino , n. 340; cfr. Comunicare il Vangelo …, nn. 40 e 50).
Così definiva le caratteristiche dell’apostolo moderno: “Per te, che desideri formarti una mentalità cattolica, universale, trascrivo alcune caratteristiche: – ampiezza di orizzonti, e un vigoroso approfondimento, in quello che c’è di perennemente vivo nell’ortodossia cattolica; – anelito retto e sano – mai frivolezza – di rinnovare le dottrine tipiche del pensiero tradizionale, nella filosofia e nell’interpretazione della storia…; – una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del pensiero contemporanei; – un atteggiamento positivo e aperto di fronte all’odierna trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita.” (Solco , n. 428).
San Josemaría, come buon pastore, adeguandosi alle circostanze personali di ciascuno ha condotto innumerevoli cristiani ad assumere con gioia un impegnativo piano di vita spirituale. Egli è stato davvero un maestro di preghiera e un pedagogo della santità (cfr. Novo Millennio Ineunte , nn. 31-34).
Vi sono grandi attese nella gioventù di oggi: San Josemaría griderebbe loro volentieri: “venite con noi appresso all’Amore!” (Cammino , n. 790). Sono giovani desiderosi di bene, ma spesso digiuni di formazione, bisognosi di quella chiarezza pastorale che portava San Josemaría ad insegnare loro che lo studio e il lavoro ben fatto erano la dimostrazione più importante della carità e del servizio, senza escludere la generosità della dedizione alla catechesi e ai poveri, prediletti da Cristo. Lo spirito del nuovo Santo può aiutare tanti giovani a scoprire la bellezza della vocazione cristiana.
Bisogna evangelizzare nuovamente questo nostro mondo, con le sue angosce e le sue miserie, con le sue gioie e i suoi sviluppi; e a tale scopo è necessario ridestare un interesse profondo e coinvolgente verso l’esperienza dell’infinito amore di Dio Padre nei confronti dei suoi figli. E’ nell’ambito di questa esperienza che i cristiani potranno riscoprire la grandezza del sacramento della misericordia e del perdono di Dio, del quale San Josemaría fu apostolo instancabile. Predicava l’accostarsi al sacramento della riconciliazione come fonte di grazia e di forza, ne dischiudeva ai suoi figli e a tanti altri il valore eminentemente positivo, come un cammino di santità. Occorre riconoscere che senza conversione non c’è possibilità di vita cristiana, tanto meno della santità a cui siamo chiamati: Haec est enim voluntas Dei, sanctificatio vestra , questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (1Ts 4,3). O, come ribadisce la seconda lettura della lettera ai Romani: “Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8,17).
San Josemaría dischiuse “orizzonti insospettati di zelo” (Cammino, n. 973; cfr. Comunicare il Vangelo …, n.58 e seg) alla gente comune, che non sospettava né osava sperare di essere destinataria di una chiamata personale di Dio. Dischiuse a tanti la prospettiva, così limpida nei primi cristiani, della testimonianza e della comunicazione del Vangelo negli ambiti stessi della loro vita: in ufficio, in caserma, allo stadio, al mercato, in famiglia, a teatro: ovunque un cittadino onesto si trova, lì il cristiano può essere, grazie alla sua partecipazione alla vita di Dio, Gesù che passa, che sorride e guarisce. Gesù dice a Pietro: “prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc 5,4). Possiamo pensare che Gesù voglia anche dire: chiamo te cristiano ad essere mio apostolo. Poi, agirai nella tua pesca insieme agli altri, unito alla Chiesa. Scriveva in Cammino il giovane don Josemarìa: “Andate, predicate il Vangelo… Io sono con voi…’ lo ha detto Gesù… e lo ha detto a te. ” (Cammino , n. 904).
La vita e le opere di San Josemaría costituiscono per tutto il popolo cristiano una forte spinta a “prendere il largo”, a salpare senza paura, a non temere la notte infruttuosa, a riprendere con fiducia la pesca che Gesù stesso ci indica come missione propria di ogni cristiano. Ascoltiamo ciò che lo Spirito dice alla Chiesa. Tutti noi, e in particolare coloro che vivono lo spirito dell’Opus Dei, siamo chiamati a non disperdere il tesoro della sua vita santa, a farla fruttare per la gloria di Dio e per la felicità degli uomini, per il diffondersi e consolidarsi della Chiesa di Gesù Cristo nel mondo.
Interceda per noi dal cielo San Josemaría Escrivá, insieme a tutti coloro che godono della compagnia inesprimibile della Trinità divina, in particolare quelli che vi sono giunti grazie al suo apostolato e alla sua Opera. Ci assista in questo compito Maria, Madre di Dio e della Chiesa, Sede della Sapienza e Ancella del Signore, Stella dell’evangelizzazione che indica alla Chiesa il suo cammino.
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