Libertà e lavoro
La libertà dei membri dell’Opus Dei si esercita innanzitutto nel lavoro professionale: a partire dalla scelta del mestiere e dei mezzi necessari per realizzarlo nelle migliori condizioni. Essi renderanno conto del loro operato soltanto ai dirigenti della loro impresa lavorativa, agli azionisti delle loro società, agli organismi ufficiali per conto dei quali lavorano, e così via, e non certo, mai, ai dirigenti dell’Opus Dei.
Se l’Opus Dei non ha voce in proposito, è anche chiaro, d’altra parte, che non può nemmeno servirsi del lavoro professionale dei suoi membri per ottenere privilegi o vantaggi: ciò equivarrebbe a rinnegare il carattere meramente spirituale dell’istituzione. Si può anche affermare che tale condotta sarebbe contraria al comportamento che si ha diritto di attendersi da persone oneste, siano o non siano cristiane. Mons, Escrivà l’ha affermato senza esitare: “L’Opus Dei è un’opera apostolica, riguarda solo le anime. La nostra morale non ci consente di agire come una società di mutuo soccorso”.
La sola influenza dell’Opus Dei sul lavoro dei suoi membri consiste nel fatto che la formazione spirituale che ricevono li aiuta a rendersi sempre coscienti delle implicazioni del messaggio evangelico e a sforzarsi per trasferirle nella loro condotta quotidiana.
Ne consegue la sensibilizzazione alle questioni della giustizia sociale, ma lasciando aperto il campo alla diversità delle risposte. Per il fondatore, la “soluzione cattolica” ai vari problemi del mondo non esiste. Tutte le soluzioni saranno cristiane se rispettano la legge naturale e l’insegnamento evangelico. Egli, pertanto, non mette l’accento sulla materialità della soluzione, bensì sullo spirito che deve permearla.
Al tempo stesso, incita vigorosamente ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità, perché non è possibile “rassegnarsi all’ingiustizia individuale e sociale che il cuore umano è capace di perpetrare”. Mons. Escrivà denunciava la situazione deplorevole delle nostre società:
“Sono tanti i secoli della convivenza tra gli uomini, e tanto è ancora l’odio, tante le distruzioni, tanto il fanatismo accumulato in occhi che non vogliono vedere e in cuori che non vogliono amare. Vediamo i beni della terra divisi tra pochi e i beni della cultura chiusi in cenacoli ristretti. Fuori, c’è fame di pane e di dottrina; e le vite umane, che sono sante perché vengono da Dio, sono trattate come cose, come numeri statistici”.
Per fare un esempio, un imprenditore animato da questo spirito si opporrà alla concorrenza sleale, alla frode, al rialzo dei prezzi motivato unicamente da una situazione di monopolio; favorirà l’onestà nelle contrattazioni; sarà par-ticolarmente attento ai problemi umani e alle condizioni di vita dei propri dipendenti; osserverà una vera giustizia con i suoi operai, ecc. A sua volta, un operaio si sforzerà di compiere lealmente il proprio lavoro; e ogni cittadino eserciterà i suoi diritti e compirà i suoi doveri ìn vista del bene degli altri e della nazione.
Questa influenza dello spirito dell’Opus Dei sulla vita sociale è tutt’altro che trascurabile; ma essa si ricollega a quella che i suoi membri esercitano col loro prestigio professionale, nel gradino che occupano nel proprio campo di attività.
Il desiderio di contribuire alla soluzione dei problemi che travagliano il mondo contemporaneo – e l’ideale cristiano può apportare contributi decisivi -, spinge alcuni membri dell’Opus Dei a realizzare, insieme ad altri, iniziative direttamente apostoliche, che hanno anch’esse una grande ripercussione sociale.
In risposta a certe “diffamazioni organizzate”, mons. Escrivà ha ribattuto fermamente che sarebbe assurdo pensare che l’Opus Dei, come tale, possa dedicarsi allo sfruttamento di miniere o alla gestione di una qualunque impresa finanziaria. Per fare un esempio, supponiamo una famiglia numerosa nella quale un figlio è operaio alla Montedison, una figlia impiegata alla Fiat, un terzo dirigente della Banca Commerciale, e così via. Quella modesta famiglia è forse proprietaria di queste grandi società o vi esercita un’azione preponderante? Niente affatto. Nell’Opus Dei succede lo stesso e tale è lo spirito del fondatore.
Egli non ignorava che alcune minoranze faziose non avrebbero mai compreso queste conseguenze pratiche della libertà, e avrebbero preteso “che gliele spiegassimo d’accordo con la loro mentalità, che è esclusivamente politica, estranea a ogni dimensione soprannaturale, attenta unicamente a equilibri di interessi e di pressioni di gruppi. Se non ricevono una spiegazione così, falsa e accomodata ai loro gusti, continuano a pensare che ci siano menzogna, occultamento e piani sinistri”.
I membri dell’Opus Dei respingono tali insinuazioni. Per loro è impensabile volersi servire dell’appartenenza alla Prelatura per fini personali, per vantaggi professionali, per ottenere appoggi, raccomandazioni, o per ascendere nella scala sociale o ancora per imporre agli altri le proprie opinioni. Se qualcuno ci provasse, gli altri membri non lo tollererebbero “e indurrebbero costui a cambiare idea o a lasciare l’Opus Dei.
Questo è un punto sul quale nessuno nell’Opus Dei potrà mai permettere la benché minima deviazione, perché ognuno deve difendere non solo la propria libertà personale, ma anche il carattere soprannaturale dell’attività a cui si è dedicato. Ritengo perciò che la libertà e la responsabilità personali siano la migliore garanzia degli scopi soprannaturali dell’Opera di Dio”.
Se taluni membri dell’Opus Dei ricoprono a volte cariche o funzioni sociali elevate, ciò è dovuto al loro sforzo personale di santificare il lavoro, e mai a pressioni dell’Opus Dei o a favoritismi da parte di altri membri. Ognuno sa di essere pienamente libero, non soltanto nei suoi giudizi, ma anche nella sua stessa attività professionale, nella scelta dei propri collaboratori, nel trattare i propri affari, ecc. E tutti si impegnano a vivere scrupolosamente il dovere morale di conferire i posti e gli impieghi tenendo conto delle persone e della pubblica utilità. È la giustizia stessa a esigerlo.
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