Accuse all’Opus Dei
II rispetto per la libertà, portato alle estreme conseguenze, così come mons. Escrivà lo visse e Io insegnò fin dagli inizi dell’Opus Dei, non è stato sempre compreso e accettato. La mentalità spagnola del secondo quarto di secolo non era ancora preparata, specialmente negli ambienti clericali.
Talune correnti di spiritualità dell’epoca nate da scuole teologiche dagli orientamenti ascetici e apostolici divergenti, avevano creato profonde divisioni tra i laici e avevano favorito una certa tendenza al messianismo e a ciò che mons. Escrivà chiamava “mentalità pseudo-spirituale da partito unico”. Ognuno di questi movimenti tendeva a considerare i propri principi e la propria prassi come gli unici validi, per cui tutti gli altri dovevano obbligatoriamente adottarli. Da questa visuale, per arrivare a considerare pericolose ed eretiche le posizioni altrui non c’era che un passo, e veniva facilmente compiuto.
Si spiegano così le incomprensioni (6) che si manifestarono già a partire dal 1929: il fraintendimento riguardava proprio il messaggio fondamentale dell’Opus Dei, poiché non si concepiva che fosse possibile aspirare alla santità rimanendo nel mondo.
Le calunnie e le persecuzioni delle “persone buone”, che – come diceva, scusandole, il fondatore – “tanto gravemente pretesero di danneggiarci, forse pensando di rendere un servizio a Dio”, si inasprirono nel 1939.
Gli attacchi erano sferrati anche dal confessionale e dal pulpito. Talora apparivano sulla stampa o venivano compiuti con visite a famiglie di membri dell’Opus Dei, le quali cadevano in grande apprensione quando venivano informate che i loro figli “rischiavano l’inferno” perché “erano indotti a credere” che potevano essere santi in mezzo al mondo. Alcuni studenti vennero inviati nei centri dell’Opus Dei per spiare e denunciare le eresie e le deviazioni che si riteneva vi si praticassero.
Una volta, Cammino venne bruciato in pubblico in una scuola di religiose a Barcellona, la città il cui governatore aveva dato ordine di arrestare mons. Escrivà se vi si fosse recato. Il fondatore venne denunciato anche al tribunale speciale di repressione della massoneria, perché gli accusatori tacciavano l’Opus Dei di “ramo giudaico della massoneria” o di “setta giudaica collegata alla massoneria”. Anni più tardi, mons. Escrivà fu denunziato anche presso la Congregazione del Sant’Uffizio, quando già la Santa Sede aveva concesso l’approvazione definitiva dell’Opus Dei.
Il fondatore soffriva per questa “opposizione dei buoni” – come lui la chiamava -, soprattutto per il male che arrecava alle anime, a cominciare da quelle di coloro che la promuovevano. Ma non perdeva la serenità. Questa situazione non lo impensieriva più di tanto: “Che ne sarebbe di un quadro, se fosse tutto luci, senza alcuna ombra?… Non ci sarebbe il quadro! Dunque è opportuno che alcuni non ci capiscano”.
Le incomprensioni e le campagne contro l’Opus Dei sono nate dall’urto di due mentalità, l’una religiosa – nel senso canonico del termine – e l’altra secolare, che dovrebbero essere complementari e non antagoniste. Da vari ambienti ecclesiastici, l’opposizione all’Opus Dei si è trasferita, poi, in ambienti ordinariamente ostili alla Chiesa, dove tutt’oggi, ogni tanto, torna ad affiorare.
Note
(6) Cfr. Colloqui con monsignor Escrivà, Edizioni Ares, Milano 1982.
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