Santificarsi con il lavoro
II secondo aspetto della spiritualità del lavoro, nella concezione dì mons. Escrivà, riguarda la santificazione personale realizzata attraverso il compimento del lavoro stesso.
“Se mi dicono che Tizio è un buon figlio mio – un buon cristiano -, ma un cattivo calzolaio, che me ne faccio? Se non si sforza di imparare bene il suo mestiere, o di esercitarlo con cura, non potrà santificarlo né offrirlo al Signore; perché la santificazione del lavoro quotidiano è il cardine della vera spiritualità”.
Il lavoro appare come il luogo privilegiato dove si forgiano tutte le virtù. Realizzato alla presenza di Dio, il lavoro è infatti preghiera continua, perché mette in esercizio le virtù teologali che costituiscono il vertice della vita cristiana.
A) La carità, in primo luogo, consiste “nell’impregnare ogni azione d’amor di Dio, nel prodigarsi generosamente al servizio degli uomini nostri fratelli, al servizio di tutte le anime”. E infatti, chi compie il proprio dovere professionale con vero senso di responsabilità, rende un chiaro servizio alla società, allevia i pesi degli altri e giova anche alle opere di assistenza e di sviluppo a favore di persone e popoli meno fortunati.
I problemi dell’umanità non si risolvono facendo ricorso unicamente alla giustizia. È necessaria anche la carità, come ai tempi degli apostoli, che si sono aperti un cammino nel corrotto mondo pagano proprio per mezzo di questa virtù soprannaturale; la carità è infatti quel “generoso traboccare della giustizia” che porta l’uomo, con la grazia di Dio, a compiere innanzitutto i propri doveri di stato: “Si comincia con ciò che è strettamente giusto; si continua con il criterio dell’equità…”. Ma poi, la carità porta a decidere di lavorare per il bene di tutti. Il Signore, in definitiva, pone l’uomo davanti a un’alternativa: o lavorare egoisticamente, o mettere tutte le forze al servizio degli altri.
B) Anche la fede è presente nel lavoro. Da una parte, mons. Escrivà è convinto che l’occupazione ordinaria, per quanto umile e irrilevante possa apparire, ha sempre un grande valore agli occhi di Dio e un suo posto preciso nel piano della salvezza.
D’altra parte, egli sa bene che la presenza di Cristo nel centro dell’anima attualizza la fede, la mette in opera costantemente, favorendo la contemplazione: “La nostra vita è lavorare e pregare e, inversamente, pregare e lavorare. Perché giunge il momento in cui non si sa più distinguere tra questi due concetti, tra queste due parole, contemplazione e azione, che finiscono per significare la stessa cosa nello spirito e nella coscienza”. Senza il lavoro, senza il compimento dei doveri personali, non ci può essere per un comune cristiano vita di preghiera, vita contemplativa. Senza vita contemplativa non servirà a molto voler lavorare per Cristo.
C) In terzo luogo, la speranza: speranza di santificarsi per mezzo del lavoro e di ottenere da Dio il premio per il lavoro compiuto, perché quando si agisce nell’ordine della grazia nessuno sforzo è compiuto invano. Accanto alle virtù teologali, il lavoro da santificare mette in esercizio molte altre virtù. Richiede la fortezza per perseverare, giorno dopo giorno, a costo di duri sforzi e malgrado le circostanze avverse, fino a portare a compimento l’opera iniziata, superando le difficoltà e l’eventuale carenza di mezzi, e operando sempre in modo esemplare.
Richiede la prudenza, che ci fa riflettere, momento per momento, su che cosa fare e come convenga farla. Richiede diverse virtù sociali, quali la lealtà e la fedeltà agli impegni presi, ai legami d’amicizia, ai vincoli imposti dal lavoro stesso, ecc. Richiede la naturalezza, che esclude le eccentricità e tutto ciò che non si addice alla propria condizione. Quest’ultima virtù è un segno della maturità umana e spirituale di chi sa assumersi pienamente le proprie responsabilità, avendo però l’umiltà di non cercare di soddisfare sé stesso, perché ama soltanto la volontà di Dio: “Quando senti gli applausi del trionfo, fa’ che risuonino nelle tue orecchie anche le risa che hai provocato con i tuoi insuccessi”.
In questo modo la vita ordinaria, nella dottrina di mons. Escrivà, rivela la sua grandezza. “Se il fatto di compiere ogni giorno le stesse cose sembra privo di interesse, tedioso e monotono, ciò accade perché manca amore. Quando l’amore è presente, ogni giorno che passa ha un colore nuovo, una vibrazione nuova, un’armonia nuova”.
La santità, pertanto, non è riservata a qualche privilegiato, a coloro che hanno ricevuto il sacerdozio o che la professione religiosa separa dal mondo. Il messaggio del fondatore dell’Opus Dei appare risolutamente ottimista, aperto e, insieme, rivoluzionario rispetto al momento storico in cui è stato proclamato: tutti, uomini e donne, di ogni condizione sociale, razza, cultura, lingua, professione o mestiere, giovani e anziani, sposati vedovi e celibi, malati e sani, sacerdoti e laici, possono e devono cercare la santità, come confermerà trentacinque anni più tardi il Concilio Vaticano II.
La santificazione è una sola, la stessa per tutti: consiste nell'”identificarsi” progressivamente con Dio, a immagine e somiglianza del quale l’uomo è stato creato. Ciascuno dovrà tendervi nelle circostanze che gli sono proprie: lavoro professionale, vita familiare, relazioni sociali, tempo libero, ecc.
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