Santificare il lavoro
“Santificare il lavoro” che si realizza nel mondo è il primo elemento della triplice affermazione appena ricordata. Il mondo in sé stesso è buono, perché fattura di Dio. L’odio, l’orgoglio, la violenza, le rivalità, le passioni disordinate che vi si agitano sono la conseguenza del peccato originale di Adamo ed Eva e dei peccati personali di ogni uomo, che guastano il mondo e lo allontanano da Dio.
Lo spirito dell’Opus Dei è ottimista riguardo al mondo: il cristiano ha ricevuto la missione di restituirgli la bontà originale riconducendolo a Dio e facendone occasione di santificazione. Di fronte al “disprezzo del mondo” o al “distacco dal mondo” propri della vocazione religiosa, mons. Escrivà propone l’amore del mondo, “perché esso è l’ambito della nostra vita, perché è il luogo del nostro lavoro, perché è il nostro campo di battaglia – meravigliosa battaglia d’amore e di pace -, perché è in esso che dobbiamo santificarci e che dobbiamo santificare gli altri”.
Per il fondatore si tratta di ricondurre a Dio tutta intera la creazione e, come il re Mida che cambiava in oro tutto quello che toccava, fare del lavoro umano “per amore, l’Opera di Dio, Opus Dei, operatio Dei, un lavoro soprannaturale”.
Posto questo principio, si può affermare che tutte le mansioni oneste degli uomini, specialmente le loro attività professionali, possono e devono essere santificate. In quanto partecipazione all’opera creatrice di Dio, il lavoro deve essere compiuto dai cristiani in prospettiva soprannaturale, in modo che nessun mestiere possa essere considerato di poco conto. Al servizio di Dio, tutti i mestieri hanno valore, tutti sono di grande importanza perché, in fin dei comi, “la loro importanza dipende dall’amore di Dio che vi mette chi li esercita”.
Mons. Escrivà reagiva contro ogni tendenza a dividere gli uomini secondo il maggiore o minor rilievo del loro lavoro: “Che cosa importa a me – diceva – che uno sia ministro o spazzino? Quello che mi importa è che si santifichi nel suo lavoro”.
Tale concezione del lavoro permette di prendere in considerazione le possibilità di “mettere Cristo nel cuore di tutte le attività umane”, di condurle, cioè, alla loro pienezza, con tutte le conseguenze spirituali che ne derivano. Ne consegue, nel cristiano, una duplice tensione:
A) Per prima cosa, egli deve compiere il suo lavoro con la maggior perfezione di cui sia capace, sia sotto il profilo naturale, sia sotto quello soprannaturale. Perché il lavoro sia santificato, è necessario che chi lo esegue abbia intenzione retta e soprannaturale, concetto che mons. Escrivà riassume così: “Da’ un motivo soprannaturale alla tua ordinaria occupazione professionale, e avrai santificato il lavoro”.
Per santificare la propria attività è necessario anche saper scoprire il suo ultimo fine – che è Dio, bene supremo -; essa va realizzata, pertanto, con carità e nella speranza. Questo fine ultimo soprannaturale si colloca sul piano della Redenzione; esso assume in sé e perfeziona i fini umani intermedi (fini naturali, sul piano della creazione) che vengono così elevati all’ordine della grazia. Una parte essenziale della santificazione del lavoro ordinario consiste, pertanto, nel curare “la buona realizzazione del lavoro, la sua perfezione naturale, l’esatto compimento di tutti i doveri professionali e sociali”.
B) In secondo luogo al cristiano compete un giudizio di valore sull’ambiente in cui vive; potrà dare così il suo contributo ed esercitare il suo benefico influsso per “restituire al mondo la bontà divina del suo vero ordine”, secondo la dottrina sociale della Chiesa. Il lavoro imprime sul creato l’orma dell’uomo: gli consente di provvedere ai bisogni della famiglia, di contribuire al perfezionamento della società e al progresso dell’intera umanità. Suscita infatti modi di vita, di coesistenza e di fraternità che, rendendo i propri simili più umani, li dispongono a ricevere il messaggio soprannaturale di salvezza.
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