Il matrimonio, vocazione cristiana
Omelia pronunciata nel Natale 1970
È Natale. Ritornano alla nostra mente i fatti e le circostanze che fanno da cornice alla nascita del Figlio di Dio, e il nostro sguardo si sofferma sulla grotta di Betlemme e sul focolare di Nazaret. Maria, Giuseppe, Gesù Bambino sono ora più che mai al centro del nostro cuore. Che cosa ci dice, che cosa ci insegna la vita semplice e meravigliosa della Sacra Famiglia?
Fra tante possibili considerazioni, ora voglio farne soprattutto una. La nascita di Gesù significa, come riferisce la Scrittura, la realizzazione della pienezza dei tempi (1), il momento scelto da Dio per manifestare in maniera completa il suo amore agli uomini, donandoci il proprio Figlio. La volontà divina si compie in mezzo alle circostanze più normali e comuni: una donna che partorisce, una famiglia, una casa. L’onnipotenza divina, lo splendore di Dio, passano attraverso l’umano, si uniscono all’umano. Da allora noi cristiani sappiamo che, con la grazia del Signore, possiamo e dobbiamo santificare tutte le realtà oneste della nostra vita. Non c’è situazione terrena, per quanto piccola e ordinaria possa sembrare, che non possa essere occasione di un incontro con Cristo e una tappa del nostro cammino verso il Regno dei Cieli.
Non è strano, perciò, che la Chiesa esulti nel contemplare la modesta dimora di Gesù, Maria e Giuseppe. È bello — si recita nell’inno di mattutino della festa della Sacra Famiglia — ricordare la piccola casa di Nazaret e l’esistenza semplice che vi si conduce, esaltare l’umile ingenuità che circonda Gesù, la sua vita nascosta. Lì, da bambino, Gesù imparò il mestiere di Giuseppe; lì crebbe in età esercitando il lavoro di artigiano. Vicino a Lui sedeva la dolce Madre; vicino a Giuseppe viveva la sposa amatissima, felice di poterlo aiutare e offrirgli le sue cure.
Quando penso ai focolari cristiani, mi piace immaginarli luminosi e allegri, come quello della Sacra Famiglia. Il messaggio del Natale risuona con forza: Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà (2). A esso si collega il saluto dell’Apostolo: La pace di Cristo regni nei vostri cuori (3); la pace di saperci amati da Dio nostro Padre, di essere una sola cosa con Cristo, protetti dalla Vergine Maria Santissima e da san Giuseppe.
Questa è la grande luce che illumina la nostra vita e che, pur tra difficoltà e miserie personali, ci spinge ad andare avanti con perseveranza. Ogni focolare cristiano deve essere un’oasi di serenità in cui, al di sopra delle piccole contrarietà quotidiane, si avverte — come frutto di una fede reale e vissuta — un affetto intenso e sincero, una pace profonda.
Santità dell’amore umano
II matrimonio cristiano non è una semplice istituzione sociale, né tanto meno un rimedio alle debolezze umane: è un’autentica vocazione soprannaturale. Sacramento grande in Cristo nella Chiesa, dice san Paolo (4) e, al tempo stesso, contratto che un uomo e una donna stipulano per sempre, perché — lo si voglia o no — il matrimonio istituito da Cristo è indissolubile: segno sacro che santifica, azione di Gesù che pervade l’anima di coloro che si sposano e li invita a seguirlo, perché in Lui tutta la vita matrimoniale si trasforma in un cammino divino sulla terra.
Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa unione. Commetterebbero perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa. La vita famigliare, i rapporti coniugali, la cura e l’educazione dei figli, Io sforzo economico per sostenere la famiglia, darle sicurezza e migliorarne le condizioni, i rapporti con gli altri componenti della comunità sociale: sono queste le situazioni umane più comuni che gli sposi cristiani devono soprannaturalizzare.
La fede e la speranza si devono manifestare nella serenità con cui si affrontano i problemi piccoli o grandi che sorgono in ogni famiglia e nello slancio con cui si persevera nel compimento del proprio dovere. In tal modo, ogni cosa sarà permeata di carità: una carità che porterà a condividere le gioie e le eventuali amarezze; a saper sorridere dimentichi delle proprie preoccupazioni per prendersi cura degli altri; ad ascoltare il proprio coniuge e i figli, dimostrando loro che li si ama e li si comprende davvero; a superare i piccoli attriti che l’egoismo tende a ingigantire; a svolgere con un amore sempre nuovo i piccoli servizi di cui è intessuta la convivenza quotidiana.
Si tratta di santificare giorno per giorno la vita domestica, creando con l’affetto reciproco un autentico ambiente di famiglia. Per santificare ogni giornata si devono esercitare molte virtù cristiane, quelle teologali in primo luogo, poi tutte le altre: la prudenza, la lealtà, la sincerità, l’umiltà, la laboriosità, la gioia…
Parlando del matrimonio e della vita coniugale, è necessario cominciare con un riferimento chiaro all’amore umano.
L’amore puro e limpido degli sposi è una realtà santa che io, come sacerdote, benedico con tutte e due le mani. La tradizione cristiana ha visto frequentemente nella presenza di Gesù alle nozze di Cana una conferma del valore divino del matrimonio: Il nostro Salvatore si recò a quelle nozze — scrive san Cirillo d’Alessandria — per santificare il principio della generazione umana (5).
Il matrimonio è un sacramento che fa di due corpi una sola carne. La teologia afferma con forte espressione che la sua materia è costituita dal corpo stesso dei contraenti. Il Signore santifica e benedice l’amore del marito verso la
moglie e quello della moglie verso il marito: ha disposto non solo la fusione delle loro anime, ma anche dei loro corpi. Nessun cristiano, sia o no chiamato alla vita coniugale, può quindi disprezzarla.
Il Creatore ci ha dato l’intelligenza, quasi una scintilla dell’intelletto divino che ci consente — assieme alla libera volontà, altro dono di Dio — di conoscere e amare; e ha posto nel nostro corpo la capacità di generare, partecipandoci il suo potere creatore. Dio ha voluto servirsi dell’amore coniugale per donare al mondo nuove creature e accrescere il corpo della sua Chiesa. Il sesso non è una realtà vergognosa, ma un dono divino ordinato schiettamente alla vita, all’amore, alla fecondità.
Questo è il contesto, lo sfondo in cui si colloca la dottrina cristiana sulla sessualità. La nostra fede non disconosce nulla di quanto v’è di bello, di generoso, di genuinamente umano sulla terra. Ci insegna che la regola del nostro vivere non deve essere la ricerca egoistica del piacere, perché solo la rinuncia e il sacrificio portano al vero amore: Dio ci ha amati e ci invita ad amarlo e ad amare gli altri secondo la verità e l’autenticità con cui Egli ci ama. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la ritroverà (6): è questo l’apparente paradosso del Vangelo.
Le persone continuamente preoccupate di se stesse, che agiscono cercando innanzitutto la propria soddisfazione, mettono in pericolo la loro salvezza eterna, e già in questa vita sono inevitabilmente infelici. Può essere felice sulla terra, di una felicità che è preparazione e anticipo del Cielo, solo chi dimentica se stesso — nel matrimonio come in ogni situazione — e si dedica a Dio e agli altri.
Durante la nostra vita sulla terra, il dolore è la pietra di paragone dell’amore. In modo plastico potrei dire che nel matrimonio c’è un dritto e un rovescio. Da una parte, la gioia di sapersi amati, l’entusiasmo di edificare e di consolidare una famiglia, l’amore coniugale, la consolazione di veder crescere i figli. Dall’altra, dolori e contrarietà, il trascorrere del tempo che logora i corpi e minaccia di inacidire i caratteri, l’apparente monotonia dei giorni che sembrano sempre uguali.
Avrebbe un ben povero concetto del matrimonio e dell’affetto umano chi pensasse che, nell’urto contro queste difficoltà, l’amore e la gioia vengano meno. È proprio allora, invece, che i sentimenti che animavano quelle creature rivelano la loro vera natura, che la donazione e la tenerezza si rafforzano e si manifestano come affetto autentico e profondo, più potente della morte (7).
Questa autenticità dell’amore richiede fedeltà e rettitudine in tutti i rapporti matrimoniali. Dio — commenta san Tommaso d’Aquino (8) — ha unito alle diverse funzioni della vita umana un piacere, una soddisfazione; quindi, questo piacere e questa soddisfazione sono buoni. Ma se l’uomo, invertendo l’ordine delle cose, cerca tali sensazioni come valore ultimo, disprezzando il bene e il fine a cui devono essere connesse e ordinate, le perverte, le snatura, trasformandole in peccato o in occasione di peccato.
La castità coniugale
La castità — che non è semplice continenza, bensì affermazione decisa di una volontà innamorata — è una virtù capace di conservare la giovinezza dell’amore in qualunque stato di vita. Vi è la castità di coloro che sentono il destarsi della pubertà, la castità di coloro che si avviano al matrimonio, la castità di chi è chiamato da Dio al celibato, la castità di chi è già stato scelto da Dio per vivere nel matrimonio.
Come non ricordare le parole energiche e chiare tramandateci dalla Vulgata, con le quali l’arcangelo Raffaele ammonisce Tobia prima delle nozze con Sara? Ascoltami — dice l’angelo — e ti mostrerò chi sono coloro contro i quali può prevalere il demonio. Sono quelli che abbracciano il matrimonio in modo tale da escludere Dio da sé e dalla loro mente, e si lasciano trascinare dalla passione come il cavallo e il mulo, che sono privi di intelletto. Su costoro ha potere il diavolo ‘.
Non c’è posto per un amore schietto, sincero e felice quando nel matrimonio non si vive la virtù della castità, che rispetta il mistero della sessualità e lo ordina alla fecondità e alla donazione. Io non parlo mai di impurità ed evito sempre di scendere in casistiche morbose e senza senso; ma di castità e di purezza, di affermazione lieta dell’amore, ho parlato moltissime volte, e devo parlarne.
In tema di castità coniugale, esorto gli sposi a non temere di esprimersi l’affetto; anzi, devono farlo, perché questa inclinazione è la base della vita famigliare. Quello che il Signore chiede loro è il rispetto reciproco, la mutua lealtà, un comportamento improntato a delicatezza, a naturalezza, a modestia. Vi dirò anche che i rapporti coniugali sono decorosi quando sono prova di vero amore e, quindi, sono aperti alla fecondità, ai figli.
Chiudere le fonti della vita è un delitto contro i doni che Dio ha concesso all’umanità, è un segno evidente che è l’egoismo e non l’amore a ispirare la condotta. Allora la vita cristiana si intorbida, perché i coniugi finiscono per guardarsi come compiici: e nascono i dissensi che, di questo passo, divengono quasi sempre insanabili.
Quando l’amore è ravvivato dalla castità coniugale, la vita matrimoniale è espressione di una condotta autentica, e marito e moglie si comprendono e si sentono uniti. Se invece il bene divino della sessualità si perverte, allora l’intimità si distrugge, e l’uomo e la donna non sanno più guardarsi serenamente negli occhi.
Gli sposi devono costruire la loro convivenza su un affetto sincero e limpido e sulla gioia di mettere al mondo i figli che Dio da loro la possibilità di avere, sapendo all’occorrenza rinunciare a comodità personali e avendo fede nella Provvidenza divina. Formare una famiglia numerosa, se tale è la volontà di Dio, è una garanzia di felicità e di efficacia, checché ne dicano i tristi fautori di un cieco edonismo. Non dimenticate che tra gli sposi non è sempre possibile evitare i contrasti. Ma voi non litigate mai davanti ai figli: li fareste soffrire e li indurreste a parteggiare per l’uno o per l’altra, contribuendo forse inconsapevolmente ad aumentare la vostra disunione. Tuttavia i bisticci, purché non troppo frequenti, sono anch’essi una manifestazione d’amore, quasi una necessità. L’occasione, non il motivo, è di solito la stanchezza del marito, spossato dal lavoro, o la fatica — speriamo che non sia il tedio — della moglie che ha avuto da fare con i bambini, con le faccende domestiche e con il suo stesso carattere, a volte un po’ instabile (anche se le donne, quando vogliono, sono più forti degli uomini).
Evitate l’orgoglio, che è il peggior nemico della vostra vita coniugale: nelle vostre piccole liti nessuno ha ragione. Il più sereno dei due deve dire una parola che valga a trattenere il malumore fino a più tardi. E più tardi — da soli — litigate pure, tanto poi farete subito la pace.
Voi donne fate attenzione a non trascurare la cura della vostra persona; ricordate il proverbio: «Quando la moglie non si trascura, il marito non cerca l’avventura». È sempre attuale il dovere di essere attraenti, come quando eravate fidanzate; dovere di giustizia, perché appartenete a vostro marito. Nemmeno lui deve dimenticare che vi appartiene e che ha l’obbligo di essere per tutta la vita affettuoso come un fidanzato. Brutto segno se sorridete ironicamente a queste mie parole: sarebbe una prova evidente che l’affetto famigliare si è trasformato in gelida indifferenza.
Focolari luminosi e allegri
Non si può parlare di matrimonio senza pensare subito alla famiglia, che è il frutto e la continuazione di ciò che con il matrimonio si inizia. La famiglia è composta non solo dal marito e dalla moglie, ma anche dai figli e, in gradi differenti, dai nonni, dagli altri congiunti e dalle collaboratrici domestiche. A tutti costoro deve giungere quel calore affettuoso e intimo di cui si alimenta un vero ambiente famigliare.
Certo, ci sono degli sposi ai quali il Signore non manda figli: è segno allora che Egli chiede loro di volersi bene con immutato affetto, e di dedicare le loro energie — per quel che possono — a servizi e iniziative per il bene di altre anime. Ma di solito il matrimonio è fecondo, e allora i figli devono costituire la prima preoccupazione degli sposi. La paternità e la maternità non si esauriscono nel momento in cui il figlio nasce: la facoltà di generare — partecipazione al potere di Dio — deve continuare poi come cooperazione all’opera dello Spirito Santo e culminare nella formazione di uomini e donne autenticamente cristiani.
I genitori sono i principali educatori dei figli, sia nell’aspetto umano che in quello soprannaturale, e devono sentire la responsabilità di questa missione che esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e, soprattutto, di amare; nonché l’impegno di dare buon esempio.
L’imposizione autoritaria e violenta non è una buona risorsa educativa. L’ideale per i genitori consiste piuttosto nel farsi amici dei figli: amici ai quali si confidano le proprie inquietudini, con cui si discutono i diversi problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e sincero.
E necessario che i genitori trovino il tempo di stare con i figli e parlare con loro. I figli sono la loro cosa più importante: più degli affari, più del lavoro, più dello svago. In queste conversazioni bisogna ascoltarli con attenzione, sforzarsi di comprenderli, saper riconoscere la parte di verità — o tutta la verità — che può esserci in alcune loro ribellioni. E allo stesso tempo bisogna aiutarli a incanalare rettamente ansie e aspirazioni, insegnando loro a riflettere sulla realtà delle cose e a ragionare. Non si tratta di imporre una determinata linea di condotta, ma di mostrare i motivi, soprannaturali e umani, che la raccomandano. In una parola, si tratta di rispettare la loro libertà, poiché non c’è vera educazione senza responsabilità personale, né responsabilità senza libertà.
I genitori educano soprattutto con la loro condotta. Quello che i figli e le figlie cercano nel padre e nella madre non è soltanto un’esperienza più vasta della loro, o consigli più o meno giusti, ma qualcosa di più importante: una testimonianza sul valore e sul senso della vita, una testimonianza incarnata in un’esistenza concreta, convalidata nelle diverse circostanze e situazioni che si avvicendano lungo l’arco degli anni.
Se dovessi dare un consiglio ai genitori, direi soprattutto questo: fate che i vostri figli — che fin da bambini, non illudetevi, notano e giudicano tutto — vedano che voi cercate di vivere con coerenza la vostra fede, che Dio non è solo sulle vostre labbra, ma è presente nelle vostre opere, che vi sforzate di essere sinceri e leali, che vi amate e li amate veramente.
Cosi contribuirete efficacemente a fare di loro dei veri cristiani, uomini e donne integri, capaci di affrontare con spirito aperto le diverse situazioni della vita, capaci di porsi al servizio dei loro simili, di contribuire alla soluzione dei grandi problemi dell’umanità, e di testimoniare Cristo nella società a cui domani apparterranno.
Ascoltate i vostri figli, dedicate loro anche il tempo vostro, date fiducia, credete a ciò che vi dicono, anche se talvolta vi ingannano; non meravigliatevi delle loro “contestazioni”, giacché anche voi alla loro età siete stati più o meno contestatori; andate loro incontro, a metà strada, e pregate per loro. Se agirete secondo questo stile cristiano, quando essi avranno delle legittime curiosità, anziché rivolgersi a un amico volgare e senza pudore, si rivolgeranno a voi con semplicità. La vostra fiducia, il vostro contegno amichevole, riceveranno come risposta la loro sincerità. E tutto questo — anche se permangono piccoli contrasti e incomprensioni di poco conto — è quello che si chiama pace famigliare, vita cristiana.
Come descriverò — si domanda uno scrittore dei primi secoli — la felicità di questo matrimonio che la Chiesa fonda, la reciproca offerta conferma, la benedizione suggella, gli angeli proclamano e Dio stesso ha celebrato? […] I due sposi sono come fratelli, servi l’uno dell’altra, senza che si dia fra loro separazione alcuna, né nella carne né nello spirito. Perché veramente sono due in una sola carne, e dove c’è una sola carne deve esserci un solo spirito […] Contemplando questi focolari, Cristo si rallegra e invia la sua pace; dove sono due, lì c’è anche Lui, e dove c’è Lui non può esserci alcun male (10).
Abbiamo cercato di ricordare e commentare alcuni lineamenti dei focolari in cui si riflette la luce di Cristo, e che sono perciò focolari luminosi e allegri: in essi l’armonia che regna tra i genitori si trasmette ai figli, a tutta la famiglia e all’ambiente circostante. Così, in ogni famiglia autenticamente cristiana, si riproduce in un certo modo il mistero della Chiesa, scelta da Dio e inviata come guida del mondo.
A ogni cristiano, qualunque sia la sua condizione — sacerdote o laico, sposato o celibe — si adattano pienamente le parole dell’Apostolo che si leggono nell’epistola della festa della Sacra Famiglia: Scelti da Dio, santi e amati (11). Tali siamo tutti noi, ciascuno nel suo posto nel mondo, nel luogo che a ciascuno è proprio; uomini e donne scelti da Dio per rendere testimonianza a Cristo e portare a chi ci circonda la gioia di sapersi figli di Dio, nonostante i nostri errori, contro cui dobbiamo lottare efficacemente.
È molto importante che il senso vocazionale del matrimonio sia sempre presente, tanto nella catechesi e nella predicazione quanto nella coscienza di coloro che Dio prepara a questo cammino, poiché è attraverso di esso che sono realmente chiamati a incorporarsi al disegno divino di salvezza di tutti gli uomini.
Non si può quindi proporre agli sposi cristiani un modello migliore di quello delle famiglie dei tempi apostolici: la famiglia del centurione Cornelio, che fu docile alla volontà di Dio e nella cui casa si realizzò l’apertura della Chiesa ai gentili (12); quella di Aquila e Priscilla, che diffusero il cristianesimo a Corinto e a Efeso e collaborarono all’apostolato di san Paolo (13); quella di Tabita, che con la sua carità soccorse i bisognosi di Joppe (14), e tanti altri focolari di giudei e di gentili, di greci e di romani, nei quali attecchì la predicazione dei primi discepoli del Signore.
Famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscere Cristo; piccole comunità cristiane che furono come centri di irradiazione del messaggio evangelico. Focolari come tanti altri di quei tempi, ma animati da uno spirito nuovo che contagiava chi li avvicinava e li frequentava. Così furono i primi cristiani, e così dobbiamo essere noi, cristiani di oggi: seminatori di pace e di gioia, della pace e della gioia che Gesù ci ha guadagnato.
Note
(1) Cfr Gal 4, 4.
(2) Lc 2, 14.
(3) Col 3, 15.
(4) Cfr Ef 5, 32.
(5) San Cirillo D’Alessandria, In Ioannem commentarius, 2, 1 (PG 73, 223).
(6) Mt 10, 39.
(7) Cfr Ct 8, 6.
(8) Cfr S. th. I-II, q 31 e 141.
(9) Tb 6, 16-17.
(10) Tertulliano, Ad uxorem, 1, 2, 9 (PL 1, 1302).
(11) Col 3, 12.
(12) Cfr At 10, 24-48.
(13) Cfr At 18, 1-26.
(14) Cfr At 9, 36.
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