Il beato Álvaro racconta i rapporti tra san Josemaría e i Pontefici
Nostro Padre ha conosciuto tre Papi. Quali furono i suoi rapporti con Pio XII?
Il Santo Padre Pio XII ricevette più volte in udienza il Padre e dimostrò la propria stima verso l’Opera concedendo le prime due approvazioni pontificie: il Decretum laudis del 1947 e l’approvazione definitiva del 1950. Per dimostrargli il proprio affetto, il nostro fondatore non esitava a offrire al Papa anche regali assai semplici: per esempio, una volta gli portò delle arance che aveva ricevuto dalla Spagna, dato che a quell’epoca non avevamo neppure i soldi per comprarci da mangiare a Roma; un’altra volta, avendo saputo che al Santo Padre piaceva un determinato vino spagnolo, se ne fece mandare una certa quantità e glielo donò.
C’è un episodio assai sintomatico dell’affetto del Padre per il Sommo Pontefice. Durante un’udienza, a un certo punto egli volle baciare i piedi di Pio XII. Il Papa gli permise di baciarne uno, ma non volle che gli baciasse l’altro. Allora il Padre insistè filialmente rammentando al Santo Padre che egli era aragonese e, se tutti gli aragonesi sono cocciuti, in lui questa caratteristica era particolarmente sviluppata.
In più occasioni Pio XII espresse il suo apprezzamento per il fondatore dell’Opus Dei. Al card. Gilroy e al suo ausiliare confidò: “E’ un vero santo, un uomo mandato da Dio per i nostri tempi”. È stato lo stesso ausiliare, mons. Thomas Muldoon, dopo la morte del Padre, a consegnare questo ricordo in una testimonianza scritta.
In un’intervista giornalistica (Colloqui, n. 229) nostro Padre stesso ricordò che, incoraggiato dal fascino affabile e paterno di Giovanni XXIII, una volta gli disse: “Padre Santo, nella nostra Opera tutti gli uomini, siano o no cattolici, hanno sempre trovato accoglienza: non ho imparato l’ecumenismo da Vostra Santità”. E il Papa rise commosso, perché sapeva che, fin dal 1950, la Santa Sede aveva autorizzato l’Opus Dei ad accogliere come cooperatori i non cattolici e perfino i non cristiani.
L’episodio avvenne proprio nella prima udienza che Giovanni XXIII accordò al fondatore, il 5 marzo 1960. Il Santo Padre era così semplice e affabile, che stimolava confidenze anche poco protocollari nei suoi interlocutori. Del resto, nostro Padre, nelle udienze papali, anche nei casi in cui doveva trattare questioni di particolare importanza, non mancava mai di raccontare dei fatti che avrebbero potuto rallegrare il Papa.
Ricordo che, pochi giorni dopo il suo arrivo a Roma, fu ricevuto da mons. Montini, allora Sostituto della Segreteria di Stato. Il nostro fondatore gli parlò a lungo dell’Opera e gli raccontò alcuni episodi dell’apostolato dei suoi figli. Mons. Montini assicurò che li avrebbe riferiti subito al Santo Padre: “Qui giungono solamente pene e dolori, e il Papa sarà molto contento quando verrà a conoscenza di tutte le cose buone che voi state vivendo”.
Al termine di quella prima udienza, Giovanni XXIII confidò che le spiegazioni del Padre sullo spirito dell’Opera gli avevano aperto “orizzonti insospettati di apostolato”.
Non assistei all’udienza privata concessa da Giovanni XXIII il 27 giugno 1962. Lo accompagnò don Javier Echevarría, ma non fu presente al colloquio: fu una conversazione a tu per tu tra il Papa e il fondatore dell’Opus Dei. So che parlarono a lungo sullo spirito e l’attività dell’Opera nel mondo e pochi giorni dopo, vale a dire il 12 luglio 1962, il Padre scrisse una lettera ai suoi figli del mondo intero chiedendo loro di unirsi alla riconoscenza che egli sentiva di dovere a Giovanni XXIII per avergli offerto ancora una volta l’onore e la gioia di videre Petrum. Debbo aggiungere che il nostro fondatore mi parlò più volte, con accenti di grande ammirazione, delle virtù sacerdotali di Papa Roncalli.
Durante la dolorosa malattia di Giovanni XXIII, mons. Angelo Dell’Acqua raccontò al Padre, con cui era in grande confidenza, alcuni particolari di come si prendeva cura del Pontefice: per esempio, quando stava al suo capezzale, il Papa gli prendeva la mano e se accennava ad andarsene e a lasciare la stretta, esclamava: “Angelino, non mi lasciare!”. Il Padre si rattristava al pensiero della solitudine in cui si trovano i Papi e ringraziò di tutto cuore mons. Dell’Acqua che con i più intimi collaboratori della famiglia pontificia stava assistendo con affetto Giovanni XXIII ormai agonizzante.
Già dagli accenni precedenti si intuisce che la stima di Paolo VI per l’Opus Dei e il suo fondatore datavano da prima della sua elevazione al pontificato.
Basti ricordare che, una volta ottenuta l’approvazione pontificia dell’Opus Dei, ritenni opportuno chiedere alla Santa Sede, in qualità di Procuratore generale e a nome del Consiglio generale dell’Opera, la nomina di Prelato domestico per il fondatore. L’allora mons. Montini non solo approvò la mia iniziativa, ma la fece propria. Eravamo all’inizio del 1947.
Ben conoscendo l’umiltà del Padre, avviai le pratiche senza informarlo previamente. Nella primavera di quell’anno arrivò la lettera di mons. Montini con il documento di nomina del fondatore dell’Opus Dei a Prelato domestico; era datalo 22 aprile 1947. Mons. Montini esprimeva la sua lode per l’Opus Dei e per il suo fondatore e aggiungeva che l’Opera era una speranza per la Chiesa.
Il Padre ne fu molto grato, ma mi disse che non voleva accettare e che pensava di restituire con tutta la sua gratitudine il documento di nomina a mons. Montini e di spiegargli che non desiderava alcuna onorificenza. Don Salvador Canals e io lo pregammo di non farlo, e l’argomento decisivo fu che con tale nomina si dimostrava in modo ancor più patente la secolarità dell’Opus Dei.
Allora cambiò parere e scrisse una lettera al Sostituto della Segreteria di Stato esprimendo i propri sentimenti di gratitudine per quella prova di affetto del Santo Padre e sua. In seguito venimmo a sapere che mons. Montini aveva avuto anche la delicatezza di pagare di tasca propria la tassa per la nomina.
Ho potuto costatare in modo particolarissimo l’affetto di Paolo VI per il Padre quando fui da lui ricevuto dopo essere stato chiamato a succedere al fondatore. Paolo VI mi parlò con ammirazione del Padre ed espresse la convinzione che fosse un santo. Mi confermò che già da molti anni leggeva ogni giorno Cammino, con grande beneficio della sua anima, e mi domandò a che età il nostro fondatore lo aveva pubblicato. Risposi che lo aveva dato alle stampe a trentasette anni, ma precisai che il nucleo del libro era già comparso nel 1934 con il titolo di Consideraciones espirituales ed era stato scritto un paio d’anni prima, all’età cioè di circa trent’anni. Il Santo Padre rimase pensoso per un attimo, poi osservò: “Allora lo ha scritto nella maturità della giovinezza”.
Ho ancora ben vivo nella memoria il ricordo della visita di Paolo VI al Centro Elis, il 21 novembre 1965, giorno dell’inaugurazione. Il grandioso complesso che sorge nel popolare quartiere romano del Tiburtino era nato da un’iniziativa di Giovanni XXIII che aveva deciso di destinare alla creazione di un’opera sociale in Roma la somma raccolta fra i cattolici di tutto il mondo in occasione dell’ottantesimo compleanno di Pio XII, affidandone il progetto, la realizzazione e la gestione all’Opus Dei.
Ne scaturì una struttura polivalente, composta da una residenza per studenti-lavoratori, da un Centro di formazione professionale con vari corsi di specializzazione tecnica e artigianale, da una biblioteca, da un Centro sportivo, da una Scuola alberghiera con annesse attività di promozione della donna. Accanto all’Elis sorge la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista al Collatino, affidata a sacerdoti dell’Opus Dei. Il Papa si trattenne ben oltre il tempo previsto per la visita. Celebrò la santa Messa, benedisse una statua della Madonna destinata all’Università di Navarra, e visitò dettagliatamente i locali del Centro.
Al termine abbracciò il nostro fondatore e, visibilmente commosso, esclamò: “Qui tutto è Opus Dei””. Fu un segno di grande considerazione per l’Opera e per il Padre, tanto più che a quel tempo le visite pontificie erano rarissime, e Paolo VI volle che l’inaugurazione dell’Elis fosse fissata durante la fase conclusiva del Vaticano II per consentire l’intervento di molti padri conciliari alla cerimonia, come infatti avvenne.
Qual è stato l’ultimo incontro del fondatore con Paolo VI?
Avvenne il 25 giugno 1973, ed ebbe caratteristiche singolari, indimenticabili. Il Padre parlò al Papa di argomenti molto soprannaturali, lo aggiornò sullo sviluppo dell’Opera, sui frutti concessi dal Signore in tutto il mondo. Paolo VI se ne rallegrò molto e a volte lo interrompeva per lasciarsi andare a qualche elogio o semplicemente per esclamare: “Lei è un santo”.
Lo so perché al termine dell’udienza vidi che il Padre aveva un aspetto piuttosto pensoso, quasi triste; gliene domandai il motivo, ma sulle prime non volle rispondermi. Poi mi raccontò che il Papa gli aveva detto quelle parole ed egli si era colmato di vergogna e di dolore per i propri peccati, giungendo persino a protestare: “No, no. Vostra Santità non mi conosce; io sono un povero peccatore”. Ma il Papa aveva insistito: “No, no, Lei è un santo”. Allora il fondatore aveva replicato, pieno di emozione: “Sulla terra non c’è che un santo: il Santo Padre”.
Del resto mons. Carlo Colombo, teologo di fiducia e amico personale di Paolo VI, ha testimoniato che il Santo Padre lo incoraggiò a scrivere la lettera postulatoria per l’apertura del processo di beatificazione del fondatore dell’Opus Dei.
Ecco le sue parole: “Nel corso di un incontro con Paolo VI, dove furono trattati diversi argomenti, ebbi modo di esprimere al Pontefice la mia intenzione di rivolgerGli una lettera postulatoria per l’inizio del processo canonico che introducesse la causa di mons. Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Sentivo il dovere di far sapere al Pontefice perché avevo intenzione di rivolgerGli una lettera postulatoria che non avrei potuto scrivere se non avessi avuto personalmente motivi seri che mi inducessero a farlo.
Data la grande confidenza di cui godevo presso il Papa, non potevo permettermi di deludere la Sua fiducia. Paolo VI mi diede il Suo pieno assenso e approvazione, data la grande stima che aveva per il Servo di Dio, di cui conosceva il desiderio di bene che lo guidava, l’amore fervente alla Chiesa e al suo Capo visibile, lo zelo ardente per le anime”.
Ero presente, con un gruppo di membri dell’Opus Dei di diversi paesi, il 19 agosto 1979 alla Messa che Giovanni Paolo II celebrò per noi, pronunciando l’indimenticabile omelia in cui disse, fra l’altro: “Grande ideale, veramente, il vostro, che fin dagli inizi ha anticipato quella teologia del laicato, che caratterizzò poi la Chiesa del Concilio e del post-Concilio”. Sentire dalla viva voce del successore di Pietro questo elogio della nostra spiritualità e del nostro essere Chiesa commosse me e tutti i presenti, e internamente abbiamo rivolto quell’elogio al nostro fondatore che purtroppo non ebbe l’opportunità di incontrare il futuro Giovanni Paolo II, un Papa che ha legato il suo nome alla storia dell’Opera.
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