Il Padre com’era
Padre, lei ha vissuto per quarant’anni accanto a nostro Padre. Mi rendo conto che è praticamente impossibile descrivere l’indole e le qualità di una personalità ricca di doti umane e di doni soprannaturali quale quella del fondatore dell’Opus Dei. D’altra parte, chi all’infuori di lei può darne un’ idea il meno incompleta possibile?
La sua personalità era così ricca di sfaccettature che difficilmente può essere classificata in base a schemi generali. D’altra parte, egli ricevette tante grazie dal Signore che, nell’esaminare la sua condotta, ci si imbatte nella difficoltà di distinguere tra le qualità naturali del suo carattere e ciò che è conseguenza della grazia di Dio e della lotta ascetica. Ho detto intenzionalmente «distinguere» e non «separare», perché uno dei tratti fondamentali della sua personalità era la perfetta unità, la completa compenetrazione tra gli aspetti umani, quelli apostolici e quelli ascetici della sua vita. Sarebbe impossibile scinderli.
Egli ha sempre insegnato che le virtù umane sono il fondamento delle virtù soprannaturali: chi ha avuto il dono di vivergli accanto ha visto realizzata in lui quell’«unità di vita» che appassionatamente predicava.
Per tracciare un quadro d’insieme si potrebbe dire che sia per le sue virtù sia per le sue doti naturali — intelligenza, simpatia, carattere… —, il Padre aveva la perfezione dello strumento preparato dal Signore per la missione di fondare l’Opus Dei.
Per comprendere il carattere del nostro fondatore, bisogna inoltre tener presente una qualità fondamentale che pervade tutte le altre: la donazione a Dio e alle anime per Lui; la disponibilità a corrispondere generosamente alla Volontà del Signore. Questo fu il polo orientatore di tutta la sua vita. Da uomo innamorato, egli aveva scoperto il segreto descritto nel punto 1006 di Forgia: «Vedo con chiarezza meridiana la formula, il segreto della felicità terrena ed eterna: non soltanto adeguarsi alla Volontà di Dio, ma aderirvi, identificarsi con essa, volere — in una parola —, con un atto positivo della nostra volontà, la Volontà divina. Questo — insisto — è il segreto infallibile della gioia e della pace».
La sua dedizione non era qualcosa di freddo, di «ufficiale». Scaturiva dall’amore e perciò era accompagnata da sincere dimostrazioni di affetto e di comprensione: aveva un cuore grande e nobile. Era aperto a tutti. Amava appassionatamente il mondo, in quanto creato da Dio. Ogni realtà umana lo attraeva. Leggeva i giornali, guardava il telegiornale, gli piacevano le canzoni d’amore, pregava per gli astronauti che sarebbero scesi sulla Luna… Era molto affabile, sapeva dare fiducia e capire gli altri.
A proposito di canzoni: a nostro Padre piaceva sentir cantare, ed egli stesso, riferendosi ai viaggi apostolici compiuti per preparare la «preistoria» dell’Opus Dei nelle diverse nazioni, diceva di aver seminato l’Europa di Avemarie e di canzoni…
Sì, cantava spesso, con quella sua voce baritonale così intonata e piacevole. Non era affatto un uomo cupo, distaccato; era, al contrario, ricco di umanità, di cordialità e di allegria. Ci insegnò che un sorriso è spesso la migliore mortificazione, perché le nostre mortificazioni non debbono pesare su quelli che ci stanno attorno. E lui per primo fu fedele a quest’insegnamento: la sua vita di orazione e di penitenza, lungi dal rattristare gli altri, infondeva un’autentica gioia soprannaturale e umana in coloro che gli stavano accanto.
Torniamo al temperamento di nostro Padre…
Posso testimoniare che la sua vita fu l’esempio di un uomo che sa amare con tutto il cuore e che desidera servire gli altri e renderli felici.
Era dotato di un’intelligenza agile e acuta, cui facevano da complemento una cultura non comune e aperta a tutti i rami del sapere, una spiccata mentalità giuridica e un gusto estetico notevolissimo. La sua personalità umana era vigorosa e molto marcata; il suo temperamento era gagliardo e impetuoso, forte ed energico, e seppe acquisire un pieno dominio su sé stesso. Più d’una volta mi raccontò un episodio capitatogli da giovane sacerdote. A causa di una grave contrarietà aveva per un attimo perso la serenità: «Mi arrabbiai… e poi mi arrabbiai per essermi arrabbiato». Camminava in quello stato d’animo per una strada di Madrid e si imbattè in una di quelle macchine automatiche che scattano sei foto formato tessera per poche monete: il Signore gli fece comprendere che aveva a portata di mano una buona occasione per umiliarsi e ricevere una lezione ascetica sulla gioia. Entrò nella cabina e si fece le fotografie: «Facevo proprio ridere con quella faccia da arrabbiato!». Poi stracciò le istantanee, tranne una: «La tenni nel portafoglio per un mese. Ogni tanto la guardavo, vedevo quella faccia cupa, mi umiliavo dinanzi a Dio e ridevo di me stesso: Sciocco!, mi dicevo».
Nostro Padre ci ha insegnato la correttezza nel vestire e una certa eleganza, secondo le circostanze sociali di ciascuno. È un modo «secolare» di intendere la povertà anche in questo campo. Certamente egli era il primo a mettere in pratica questi criteri.
Normalmente aveva due tonache, che utilizzava a giorni alterni affinchè durassero più a lungo; ma in alcuni periodi, per esempio tra il 1941 e il 1944, ne ebbe solo una, così quando si strappava era costretto a chiudersi in camera finché la sorella Carmen non gliela rammendava. Talvolta anche a Roma abbiamo dovuto chiedere alle sue figlie di ricucirla, mentre lui aspettava nella sua stanza in maniche di camicia.
Ogni sera spazzolava con cura la veste e la inumidiva con un po’ d’acqua se c’era qualche macchia: spesso lo aiutavo in quest’operazione tenendo tesa la stoffa. Quando bisognava lavarla, la passava alle sue figlie che si occupavano dell’amministrazione domestica. Ecco perché gli durava così a lungo.
Fino alla fondazione dell’Opus Dei, il Padre possedeva l’abbigliamento sacerdotale necessario, tanto per l’inverno quanto per l’estate: ogni anno — quando era ancora a Saragozza — il 12 ottobre, festa della Madonna del Pilar, indossava gli abiti invernali; e il 7 marzo, allora festa di san Tommaso, quelli estivi. Ciò significa che avrà sofferto caldo in ottobre, e freddo in marzo e aprile. Dalla fondazione dell’Opus Dei in poi, come ulteriore segno di sobrietà e di povertà, decise di usare gli stessi capi di vestiario per tutto l’anno.
Non gli piaceva portare la canottiera, e questo fin da ragazzo. Ma il 27 novembre 1949, mentre ci trovavamo a Torino, a causa del gran freddo prese un foltissimo raffreddore. Allora gli comprai una maglia di lana e gli chiesi di indossarla. Egli accondiscese, ma, poiché non vi era abituato, ne tagliò le maniche. Anni dopo, per combattere i reumatismi i medici gli prescrissero di usare delle ginocchiere: il nostro fondatore si servì di quelle maniche come «ginocchiere».
Padre, qualche altro particolare dì intimità quotidiana…
Il Padre amava la pulizia personale, ma non usava alcun genere di cosmetici, convinto com’era che per un sacerdote l’odore migliore è non averne nessuno; solo col passare degli anni seguì il nostro consiglio di adoperare un’acqua di lavanda per disinfettare gli eventuali tagli della rasatura.
Per moltissimi anni si fece aiutare per tagliarsi i capelli in casa; ad un certo punto ci chiese di comprargli uno di quei pettini con una lametta fabbricati appositamente per operare da soli. Ma alla fine gli consigliammo di ricorrere al barbiere, giacché l’esiguo risparmio di denaro non compensava il risultato poco soddisfacente.
Siccome era eroicamente distaccato da sé stesso, non si concedeva nulla di superfluo. Per esempio, dagli anni quaranta fino al 1970 usò gli stessi occhiali, benché fossero di modello piuttosto antiquato. Si decise a cambiarli solo dietro insistenza mia e di don Javier Echevarría.
Dal 1953 il Padre dormì nella Sede Centrale in una stanza piccola e fredda, con il pavimento in piastrelle. Un giorno del 1973, nell’alzarsi al mattino cadde per terra e rimase per alcuni istanti privo di sensi sulle fredde mattonelle. Quando lo venni a sapere ne fui preoccupato, poiché conoscevo la sua predisposizione alle malattie bronchiali: poco tempo prima era accaduto qualcosa del genere a un cardinale della Curia romana, il card. Larraona, il quale contrasse una polmonite e morì repentinamente. Perciò, approfittando di un viaggio del nostro fondatore, nel 1974 facemmo rivestire il pavimento di moquette. Al ritorno si inquietò per quell’iniziativa presa a sua insaputa e la accettò solo quando gli dicemmo di averlo fatto dietro consiglio del medico.
So che nostro Padre non fumava. Aveva smesso da quando era entrato in seminario, regalando il tabacco e le pipe al portiere.
Tuttavia visse sempre con persone che fumavano, senza mai lamentarsene. Anzi, siccome talvolta egli riceveva in dono da qualche visitatore una scatola di sigari, li conservava per offrirli agli altri. Li metteva in un armadio a muro della sua stanza da letto, con accanto un barattolo d’acqua che sostituiva periodicamente, affinchè non perdessero l’umidità dovuta. Nei giorni di festa portava con vera gioia i sigari nella riunione famigliare dopo pranzo, e accendeva una candela sottile che durava a lungo, affinchè i fumatori potessero accenderli.
Da questi simpatici aneddoti, traspaiono la delicatezza, la semplicità, lo spirito di servizio, l’ordine e il buonumore di nostro Padre. E, già che siamo in tema di quotidianità, è possibile tracciare uno schema della sua giornata abituale?
Propriamente non si potrebbe parlare di una giornata «abituale» del Padre, poiché la sua attività fu sempre in funzione di ciò che il Signore gli chiedeva: servire tutte le anime per amore. La cosa veramente abituale per il nostro fondatore era la disponibilità ad assecondare in ogni momento il Volere divino.
E chiaro però che nel corso di tutta la sua esistenza terrena egli si assoggettò a un piano di vita che aveva dei punti di riferimento intoccabili: l’orazione mentale, la santa Messa, la recita del Breviario e del santo Rosario, e altre pratiche di pietà. Infatti, contrariamente a quanto potrebbe pensare chi ha sentito parlare solo di santificazione del lavoro, senza conoscere bene lo spirito del fondatore dell’Opera, egli ribadiva costantemente questa verità fondamentale: «L’arma dell’Opus Dei non è il lavoro, è la preghiera: per questo trasformiamo il lavoro in preghiera e abbiamo anima contemplativa».
Pur conservando questi punti essenziali, la giornata del Padre ebbe delle caratteristiche molto diverse a seconda delle varie epoche: per esempio, le sue giornate negli anni trenta, quando svolgeva un’attività pastorale intensa e diretta in tutti i quartieri di Madrid, erano molto differenti da quelle degli anni sessanta, quando risiedeva a Roma e la sua occupazione fondamentale era costituita dal governo e dalla cura dello sviluppo dell’Opus Dei.
Parliamo dunque di una giornata-tipo di nostro Padre, a Roma, negli ultimi decenni.
Alla fine degli anni sessanta il Padre, obbedendo a ciò che i medici gli avevano prescritto, ogni notte riposava tra le sette ore e mezzo e le otto ore: era così fedele all’indicazione ricevuta che, pur svegliandosi anche parecchio prima, non si alzava dal letto finché non glielo diceva uno dei suoi Custodes, cioè don Javier Echevarría; l’altro Custos ero io. Prima di questa prescrizione medica, aveva l’abitudine di alzarsi quando si svegliava o non appena suonava la sveglia, senza badare al fatto che magari aveva dormito soltanto due o tre ore: comunque non rimaneva mai a letto più delle ore prescritte e non si concesse mai la «siesta». Per non destare preoccupazioni, non gli piaceva parlare delle sue lunghe ore di insonnia, durante le quali faceva molta orazione. Mi divertivo molto quando sentivo che qualcuno gli domandava al mattino se aveva riposato bene. Il Padre molto spesso rispondeva: «Grazie tante, ugualmente»; e così, pur sembrando rispondere alla domanda, di fatto la eludeva.
Appena sveglio viveva dunque il minuto eroico: cioè saltava dal letto e baciava per terra, pronunciando come giaculatoria un vibrante Serviam! Offriva tutta la giornata al Signore e si tracciava un segno di croce sulla fronte, sulle labbra e sul petto, mentre ripeteva: «Tutti i miei pensieri, tutte le mie parole e le opere tutte di questo giorno, te le offro, Signore, con la mia vita intera, per amore». Baciava anche il crocifisso e l’immagine della Madonna che aveva sul comodino.
Mentre si rassettava era solito ripetere le preghiere imparate da bambino dalle labbra dei genitori. Spesso, soprattutto da quando ebbe una stanza personale, e cioè dall’inizio degli anni cinquanta, recitava queste preghiere ad alta voce, perfino cantando. Terminata la pulizia personale si prendeva cura di pulire per bene il bagno, di arieggiare la stanza e di lasciare tutto in ordine, per delicatezza nei confronti delle persone che si occupavano delle faccende domestiche e per facilitare loro il lavoro.
Subito dopo, continuando l’orazione mentale che faceva durante le ore in cui rimaneva sveglio a letto, faceva un’altra mezz’ora di orazione mentale, anche come preparazione immediata alla santa Messa. A volte predicava la meditazione per quelli che si trovavano con lui nell’oratorio; devo dire che tutti aspettavamo, come un gran regalo del Signore, i momenti in cui il Padre, per così dire, «sollevava un po’ la coperta» e ci confidava alla presenza del Signore qualcosa della sua vita interiore. Ma il più delle volte, soprattutto durante gli ultimi anni, utilizzava dei volumi di Meditazioni che erano stati scritti dietro sua indicazione.
Per quanto riguarda la santa Messa ci sarebbe da diffondersi a lungo…
Padre, su questo punto mi riservo una domanda specifica per quando parleremo della vita sacramentale di nostro Padre…
Va bene, allora rimandiamo. La sua colazione era frugale e rapida, in virtù del suo esigente spirito di mortificazione e della dieta prescrittagli dai medici in seguito all’insorgenza del diabete. Si limitava a una tazza di caffellatte senza zucchero e senza pane e a un frutto, abitualmente una mela o una pera. Ma egli si attenne alla stessa dieta anche dopo la guarigione dal diabete, sostituendo la frutta con un pezzetto di pane. Il caffè era sempre molto diluito e il latte scremato.
Terminata la colazione, il Padre dedicava alcuni minuti alla lettura del giornale. Prima divideva le pagine in due metà separate, e così le passava mano a mano a me, che facevo colazione assieme a lui. Si vedeva che mentre leggeva pregava per tanti problemi del mondo e della Chiesa. Negli ultimi anni invece si può dire che di fatto quasi non riusciva più a leggere il quotidiano, poiché spesso gli succedeva di prendere una pagina del giornale, di cominciare a leggerla e di astrarsi subito dalla notizia, perché la sua mente si immergeva completamente in Dio: poggiava la fronte sul palmo della mano destra, chiudeva gli occhi e pregava, approfittando del fatto che si trovava solo con me. Guardandolo e vedendolo così assorto in Dio, pregavo anch’io.
Dopo la recita del Breviario, che abitualmente faceva con don Javier Echevarría e con me, prima di accingersi a lavorare, il Padre dedicava un certo tempo alla lettura meditata del Nuovo Testamento. Spesso annotava qualche frase appena letta, per servirsene in seguito nella predicazione, nello scrivere, nell’orazione mentale del pomeriggio, ecc; so per certo che terminava sempre traendone per lo meno un pensiero che avrebbe considerato alla presenza di Dio durante la giornata.
La mattinata di lavoro normalmente cominciava con il disbrigo di pratiche connesse al governo dell’Opus Dei. Nel lavoro di governo il nostro fondatore vedeva sempre anime dietro alle carte. Per mantenersi alla presenza di Dio utilizzava alcuni «accorgimenti umani»: per esempio frequenti sguardi rivolti al crocifisso appeso alla parete o all’immagine della Madonna che stava sulla scrivania. Mi ha sempre colpito il bacio colmo d’affetto che dava a quest’immagine quando nello spostare qualcosa io la facevo inavvertitamente cadere.
Poi veniva l’ora della posta. Al Padre piaceva aprire personalmente ogni busta, anche se poi me le passava — negli ultimi anni anche a don Javier — perché lo aiutassi a leggerne il contenuto. Separava le lettere di governo, indirizzate al Consiglio generale, da quelle personali. Riguardo a queste ultime ci avvertiva che se ce n’era qualcuna confidenziale, gliela passassimo subito senza leggerla. Sono sicuro che il Padre non lesse nessuna lettera senza pregare per la persona che l’aveva scritta e per il problema che vi era esposto.
Terminata la lettura della posta, a mezzogiorno recitava l’Angelus. Era un momento importante nella sua giornata, perché oltre ad essere una conversazione filiale con la Madonna, esso segnava anche il punto in cui la sua devozione eucaristica cambiava di segno: infatti mentre fino ad allora aveva trascorso la mattina ringraziando il Signore per la Messa che aveva celebrato, dalla recita dell’Angelus in avanti cominciava già a prepararsi alla Messa che avrebbe celebrato il giorno dopo.
Quindi iniziava il tempo dedicato a ricevere persone, che accorrevano in gran numero, a volte da Paesi molto lontani, per vedere il nostro fondatore e ricevere da lui consiglio e incoraggiamento. Stabilì che, tranne in casi eccezionali, ogni visita durasse dieci minuti: sia per motivi di ordine, perché erano molti quelli che desideravano conoscerlo, sia per mortificazione, poiché così evitava di intrattenersi più a lungo con le persone la cui compagnia, per qualsiasi motivo, gli era più gradita. Naturalmente, quando era opportuno, il Padre dedicava alle persone tutto il tempo necessario e non esitava a prendere anche nuovi appuntamenti con loro.
Dopo essersi accomiatato, con una benedizione sacerdotale e paterna, dall’ultimo visitatore, assieme ai membri del Consiglio generale recitava le Preci dell’Opera: così, com’è consuetudine nell’Opus Dei, baciava per terra dicendo Serviam! e rinnovava interiormente l’offerta delle azioni che aveva fatto al mattino; poi recitava le invocazioni di lode e di supplica alla Trinità, a Gesù Cristo, alla Madonna, a san Giuseppe e agli Angeli custodi; pregava per il Papa e per il vescovo diocesano — quando era fuori Roma —, per l’unità nell’apostolato, per i benefattori dell’Opera, per i suoi figli e per i defunti e concludeva con una preghiera e sei invocazioni ai patroni dell’Opus Dei: tre Arcangeli e tre Apostoli.
Terminate le Preci il Padre faceva un breve esame di coscienza della mezza giornata trascorsa e considerava in particolare il modo in cui aveva compiuto il proposito formulato nell’esame di coscienza della sera precedente. Se notava che quella mattina vi era stato qualcosa in cui riteneva di dover chiedere scusa a qualcuno, agiva con rapidità cercando subito l’interessato.
Abitualmente pranzavamo con lui solo don Javier Echevarría e io, per il semplice motivo che il Padre non voleva inibire altri figli suoi più giovani che forse avevano bisogno di mangiare di più, perché effettivamente era molto austero nel mangiare. Anche per questo motivo, quando riceveva degli ospiti, si industriava per non far notare la sua frugalità e per non mettere a disagio gli altri commensali. A pranzo, come a colazione, seguiva la dieta prescrittagli dai medici, ma inoltre cercava di aggiungere in ogni piatto il condimento della mortificazione. Come primo prendeva della verdura, quasi scondita e senza sale. Per secondo un po’ di carne o del pesce, normalmente ai ferri, con un minimo di contorno. Concludeva con un frutto. Non prendeva pane né vino e accompagnava il pasto con uno o due bicchieri d’acqua, ma solo per precisa indicazione medica, perché da parte sua egli tendeva a mortificare severamente la sete. Sempre come mortificazione non cominciava a mangiare finché non ci eravamo serviti don Javier Echevarría e io.
Subito dopo pranzo il Padre si recava a fare la visita al Santissimo. Poi si intratteneva per trenta o quaranta minuti a conversare con i suoi figli: fu una consuetudine che il nostro fondatore praticò sempre, ogni giorno, sin da quando i membri dell’Opus Dei cominciarono a vivere in famiglia nei nostri Centri, e volle espressamente che venisse vissuta in ogni Centro dell’Opera. Nell’ambiente semplice e accogliente di un soggiorno, come avviene in tutte le famiglie cristiane, la conversazione verteva sugli avvenimenti quotidiani, su racconti apostolici, ma anche su argomenti divertenti, e il Padre ne approfittava per formare in noi un sicuro criterio dottrinale, per dare un tono soprannaturale alle notizie del giorno, per far distendere e riposare i suoi figli. In molte occasioni apriva confidenzialmente la propria anima e ci trasmetteva il suo spirito, migliorando la formazione spirituale di coloro che lo ascoltavano. Ha sempre destato la mia ammirazione vedere come il Padre si prodigasse in queste riunioni, completamente dimentico di sé stesso persino quando era estenuato per la stanchezza, per le notti di insonnia o per aver sofferto una dura contrarietà.
Terminato quest’incontro famigliare, faceva la lettura spirituale, preferibilmente sui trattati classici di ascetica, e si rimetteva al lavoro: non gli piacque mai la «siesta», tanto da disporre che i membri dell’Opera non riposassero il pomeriggio, se non per prescrizione medica. Il pomeriggio dunque riprendeva il lavoro del mattino, anche se era più frequente che chiamasse qualche membro del Consiglio generale per esaminare assieme un problema specifico. Dedicava molto tempo a scrivere lettere per noi, sia nei ritagli di tempo della mattina sia nelle ore pomeridiane.
Durante il tempo di lavoro che precedeva la mezz’ora di orazione del pomeriggio, egli si preparava interiormente a quest’appuntamento con il Signore. Poi, prima di riprendere le occupazioni interrotte, la merenda, che consisteva in un bicchier d’acqua e in un frutto, che spesso divideva con don Javier o con me.
Tutti i giorni recitava e meditava le tre parti del Rosario: le distribuiva opportunamente nell’arco della giornata, in modo da recitare quella del giorno per ultima con le litanie lauretane, dopo l’orazione e la merenda.
La cena era ancor più frugale del pranzo: consisteva in un piatto di minestra, di brodo o di verdura, senza pane; negli ultimi anni il medico gli ordinò di prendere anche un po’ di formaggio o un’«omelette», con della frutta.
Dopo cena a volte il Padre vedeva il telegiornale. Anche in questi momenti si serviva di alcuni «accorgimenti» per vivere la presenza di Dio: per esempio quando appariva sullo schermo la sigla con l’immagine del mondo che girava intorno al proprio asse, ne approfittava per pregare per l’evangelizzazione nel mondo intero da parte della Chiesa e per il lavoro apostolico dell’Opera. Posso affermare che, soprattutto negli ultimi anni, il Padre pregava molto intensamente mentre vedeva le notizie televisive: raccomandava al Signore gli avvenimenti che vi venivano commentati e invocava la pace nel mondo.
Dopo il telegiornale ritornava al lavoro fino alle nove e mezzo: a quest’ora si intratteneva con i suoi figli in un altro incontro famigliare simile a quello tenuto dopo pranzo. Al termine, nell’uscire dalla stanza si fermava per un istante, in modo quasi impercettibile, prima di imboccare la porta, «per lasciar passare i suoi due Angeli»; è un piccolo particolare che passava inosservato agli altri e che mostra come egli viveva il rapporto con l’Angelo custode e con l’Arcangelo ministeriale. Non era una cosa teatrale, poiché bisognava starci veramente attenti ed essere al corrente del «segreto» per accorgersene.
Subito dopo questa riunione con i suoi figli, si ritirava in profondo silenzio per fare l’esame di coscienza e recitare le ultime preghiere. Prima di coricarsi recitava tutti i giorni il salmo Miserere, prostrato per terra; poi, in ginocchio con le braccia in croce, diceva tre Avemarie invocando la purezza per tutte le anime e soprattutto per sé e per i suoi figli nell’Opus Dei. Era solito mettere nella tasca del pigiama un crocifisso, che baciava ripetutamente prima di addormentarsi, mentre ripeteva giaculatorie, comunioni spirituali, ecc, o con l’immaginazione faceva compagnia al Signore presente nei Tabernacoli di qualche Paese lontano.
Grazie, Padre.
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