Pippo Corigliano, il portavoce dell’Opus Dei che trasformò in oro il fango del Codice da Vinci
Ritratto del numerario dell’Opera recentemente scomparso. Si trovò a gestire le insinuazioni denigratorie del best seller di Dan Brown. Un napoletano verace di intensa spiritualità dotato di un sense of humor contagioso
«Nell’ultimo punto di Cammino san Josemaría ci ricorda: “Qual è il segreto della perseveranza? L’amore. – Innamòrati, e non “lo” lascerai”. Perché è proprio così; il cuore grande è il segreto della perseveranza». Così monsignor Fernando Ocáriz, prelato dell’Opus Dei, durante l’omelia per i funerali di Pippo Corigliano, storico portavoce dell’Opera morto a 82 anni, nella basilica milanese di Sant’Eugenio.
Chiunque lo abbia conosciuto non può aver dimenticato il suo sorriso e il suo contagioso buon umore. «Era il ritratto dell’allegria, della positività, di una resilienza non sciocca ma piena di ragioni davanti a qualunque intemperie della vita», ricordano gli amici della redazione di Tempi, con cui Pippo, come lo chiamavano i suoi colleghi e amici, collaborava da parecchi anni.
Corigliano, nato a Napoli il 31 maggio 1942, è stato ingegnere, giornalista e scrittore, ma soprattutto fedele dell’Opus Dei, al quale scelse di aderire giovanissimo nel 1960 come numerario e per cui, dal 1970 al 2011, ha ricoperto l’incarico di direttore dell’Ufficio Comunicazione per l’Italia. In un’intervista a Monica Mondo su Tv2000 di 5 anni fa, raccontava in che modo l’Opera sia stata per lui la formula comunitaria con cui ha «recuperato» il rapporto con il cristianesimo; la definiva «la mia famiglia spirituale» e agli altri amava descriverla come «un tocco di Dio sulla spalla».
Parlava di san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, come di un grande amico. I due si conobbero di persona e di quell’incontro Pippo ricordava come inizialmente fosse un po’ emozionato, ma che, non appena lo vide si rasserenò, «perché era veramente un padre: con lui ti trovavi con le lacrime agli occhi e non sapevi se era per quanto ti eri commosso per la sua fede o per quanto avevi riso, perché era assolutamente spiritoso. Il che per un napoletano è un elemento in più di attrazione».
Nei quarant’anni in cui Corigliano è stato portavoce, ha vissuto in prima linea alcuni dei momenti ecclesialmente più significativi per l’Opera in Italia e nel mondo, tra cui la morte di san Josemaría (26 giugno 1975), l’erezione in prelatura personale (28 novembre 1982), la beatificazione (1992) e la canonizzazione del Fondatore da parte di Giovanni Paolo II (2002). Ma anche, negli anni in cui venne pubblicato il best seller di Dan Brown Il Codice Da Vinci, che denigrava fortemente l’Opera, Pippo ha saputo trasformare un possibile danno all’immagine pubblica dell’Opera «in un’occasione per parlare della bellezza del messaggio di san Josemaría e della normalità delle persone che lo seguono». Con la sua proverbiale ironia napoletana, avrebbe poi attribuito la sua vocazione di scrittore proprio a Dan Brown.
Alla figura e al ruolo di Escrivá e della sua Opera, Corigliano ha dedicato alcuni dei suoi libri più amati: Un lavoro soprannaturale. La mia vita nell’Opus Dei (Mondadori 2008) e Il cammino di san Josemaría. Il fondatore dell’Opus Dei e i giovani (Mondadori 2019). È proprio da Josemaría che Pippo ereditò quella grande attenzione alla formazione umana e spirituale dei giovani. Ricorda il suo amico Carlo de Marchi sulle pagine di Vatican News: «Incoraggiava a intraprendere studi umanistici e non a imitarlo in quelli di ingegneria». Credeva fino in fondo che l’arte servisse per comprendere e quindi migliorare il mondo; così portava i suoi giovani amici a fare la conoscenza di stimati giornalisti e intellettuali (era nota la sua amicizia con Indro Montanelli).
Creare legami di stima e solidarietà con gli altri era una delle passioni di Corigliano: «Quanti hanno imparato da lui ad essere veri amici! Ma la vera amicizia è un dono raro, e occorre che qualcuno ci dia l’esempio con la sua vita, sapendo ascoltare, pronti a dare il proprio tempo e la propria attenzione a chi ne ha bisogno. Per questo Pippo con la sua empatia ha saputo creare legami forti e duraturi, con persone di ogni provenienza e credo, facendo in modo che tutti si sentissero compresi e valorizzati», ha sottolineato ancora monsignor Ocáriz durante l’Omelia.
“Preferisco il Paradiso” furono le parole che Pippo prese in prestito da san Filippo Neri e di cui fece il proprio motto, tanto da diventare il nome del suo blog personale in cui annotava, oltre a poesie napoletane, riflessioni quotidiane che combinavano profondità spirituale e leggerezza. Ma Preferisco il Paradiso è anche il titolo del suo libro più conosciuto (sottotitolo, La vita eterna: com’è e come arrivarci, Mondadori 2010). Il suo ultimo libro, edito per Ares, risale allo scorso dicembre: Alfonso Maria de’ Liguori. Il più napoletano dei santi, il più santo dei napoletani (2023).
Si è spento nella sua abitazione, circondato dall’affetto delle persone dell’Opus Dei con cui viveva. «Ci ha lasciato sabato, festa del Cuore Immacolato di Maria; l’amore alla Madonna ha attraversato tutta la sua vita; la recita quotidiana del Santo Rosario costituiva un momento importante della sua giornata. E allora sulla porta di quel Paradiso, che lui preferiva a ogni cosa, la Madonna l’avrà trovata ad accoglierlo», ha concluso monsignor Fernando Ocáriz.
(Camilla Gaetano, 12/06/24, Famiglia Cristiana)
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