Addio a Pippo Corigliano, la santità sorridente
A 82 anni si è spento a Roma, improvvisamente, l’ingegnere napoletano che fu per quarant’anni il “volto” dell’Opus Dei in Italia come portavoce. Una personalità di laico cristiano ricca di luce
«Il più napoletano dei santi, il più santo dei napoletani»: così sant’Antonio Maria de’ Liguori è stato definito, col suo umorismo arguto, da un altro napoletano “innamorato” della santità come ideale di vita. Pippo Corigliano, morto improvvisamente nella sera di sabato 8 giugno a Roma a 82 anni appena compiuti, dei napoletani incarnava il meglio dello sguardo positivo verso la vita, dell’ironia sottile, della fede legata all’espressione spontanea del cuore. Il suo ultimo libro dedicato a uno dei santi napoletani per antonomasia sembra la summa della sua visione del cristianesimo vissuto dentro i vicoli della vita quotidiana, impregnato della loro autenticità, con la realtà delle persone, senza temere fragilità e cadute sapendole assolutamente proprie.
Era un suo modo di affrontare la vita, con entusiasmo ed energia ma sempre con un certo distacco, consapevole che ce la possiamo mettere tutta ma che poi quel che manca – spesso tanto, quasi tutto – non dipende da noi. Per questo quando incontrò un modo di vivere la fede cristiana così limpidamente ottimista e operoso ma insieme fiducioso e umile lo abbracciò senza esitazioni. A conquistarlo fu la proposta di cercare la santità nella vita quotidiana che andava predicando dalla fine degli anni Venti del secolo scorso san Josemaría Escrivá con l’Opus Dei. Ne diventò uno degli interpreti più credibili, con quel suo humour sapiente, pieno del profumo fragrante del Vangelo vivo, che rivelava una personalità accogliente, profonda, spontanea, aperta a tutti. Così voleva i suoi figli spirituali il sacerdote spagnolo che in Pippo Corigliano trovò non a caso un comunicatore – lui ingegnere, peraltro – quasi impareggiabile, per doti umane lungamente levigate nella vita cristiana e nella preghiera prima ancora che per professionalità.
Per quarant’anni, dal 1970 al 2011, Corigliano è stato direttore dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei in Italia «vivendo in prima linea alcuni momenti molto significativi per l’Opera in Italia e nel mondo – ricorda una nota pubblicata su Opusdei.org/it – come per esempio la morte di san Josemaría (26 giugno 1975), l’erezione dell’Opus Dei a Prelatura personale (28 novembre 1982), la beatificazione (1992) e la canonizzazione (2002) del Fondatore». Non diventò «“il volto” pubblico dell’Opus Dei in Italia» per la sua particolare simpatia, non soprattutto per questo, ma per la sua capacità di far capire “a prima vista” cosa l’Opera propone come percorso di vita cristiana: non una forma di distacco dal mondo o di “perfettismo” fine a sé stesso, ma la piena partecipazione alla vita di tutti, con simpatia profonda, col solo intento di aiutare ogni persona che si incontra a trovare Dio nella sua vita e con tutta la personalità di ciascuno, difetti inclusi. Una vita di sequela così intensamente umana non può temere nulla, e anzi volge al bene anche le prove.
Come ricorda la Prelatura, Corigliano fu protagonista anche «negli anni de “Il Codice Da Vinci”, che da possibile danno all’immagine pubblica dell’Opera è stato trasformato, anche grazie alla professionalità di Pippo e dei suoi colleghi di tutto il mondo, in un’occasione per parlare della bellezza del messaggio di san Josemaría e della normalità delle persone che lo seguono».
Di lui restano in chi l’ha conosciuto un amore sconfinato per la vita, sapendola frequentata da Dio, e una totale fiducia nella sua paternità, vero segreto del sorriso e dell’umorismo. Se ne trova un intero catalogo di esempi nel blog “Preferisco il Paradiso”, con riflessioni semplici e dirette come questa: «Dio fa il tifo per me e non smette fino a che non divento uno che vive al Suo cospetto, con il cuore infiammato dal sangue di Gesù. Conversioni? Sì che ne devo avere! Continuamente scopro aspetti che dovrei affrontare e migliorare e non sono cose di poco conto. Dio non assiste benevolmente da lontano ma fa un tifo appassionato per me. È stata una scoperta e volevo comunicarla…».
La sua scelta di vita l’ha spiegata tante volte con altrettanta semplicità, e una volta ancora pochi mesi fa, sempre nel suo blog: «Quando mi fu proposto di aderire all’Opera nel celibato non m’inquietai più di tanto. Non era la strada per me, pensavo, perché ero fidanzato e avevo fatto già progetti di matrimonio, pur avendo solo diciotto anni. Ma ci fu una meditazione su una parabola di Gesù. Tutte le parabole sono belle ma questa ha un fascino sorprendente, almeno per me. Un uomo viene lasciato per strada, ferito dai briganti.
Passa un sacerdote e non si ferma, passa uno della tribù sacerdotale di Levi e nemmeno lui si ferma. Passa un samaritano cioè uno da cui non ci si aspetta nulla di buono, cioè uno come me: e lui si ferma ad aiutare. È stato un colpo: qualcosa si è spezzato e ho deciso di dire di sì al Signore dedicandoGli la vita intera. L’incontro con Dio è quello che conta e in ogni anima assume il suo connotato». Questo, ripeteva, è il solo scopo per il quale esiste l’Opus Dei, che «non ha altro fine che fare incontrare l’anima con Dio.
Non ci sono attività specifiche nell’Opera: l’unico fine è quello. Prima di conoscere l’Opera avevo un’idea approssimativa dell’incontro con Dio, ora una cosa l’ho capita: l’unica cosa che conta è quell’incontro. Naturalmente tante istituzioni hanno un fine analogo, ma nel caso dell’Opus Dei è unico: perciò non è facile spiegarlo a chi non è dentro le questioni di fede».
Di queste certezze traboccava la sua vita, che ha contagiato di una fede ottimista e generosa tante persone che ora lo piangono, inclusi moltissimi giornalisti con i quali – da portavoce dell’Opera – ha preferito sempre cercare un rapporto personale, spesso divenuto amicizia sincera e fedele (celebre quella con Indro Montanelli). Lasciato l’incarico pubblico, ha cominciato a scrivere libri rivelando una prosa ricca ma essenziale, “da ingegnere” con la poesia napoletanissima della vita per intingere la penna.
Nelle sue pagine splende sempre il sole, e l’immediatezza della scrittura – come un colloquio personale con il lettore – fa dei suoi libri una compagnia che infonde coraggio e fiducia nell’affrontare la vita in costante compagnia di Dio: Un lavoro soprannaturale (2008), Preferisco il Paradiso. La vita eterna com’è e come arrivarci (2012, il suo vero best seller, imperdibile), Ettore Bernabei (2012, intervista allo storico leader della Rai e poi fondatore di Lux Vide), Quando Dio è contento. Il segreto della felicità (2013), Cartoline dal Paradiso (2014), Siamo in missione per conto di Dio. La santificazione del lavoro (2015), Cartoline dal Paradiso 2 (2017), Il cammino di San Josenaría. Il fondatore dell’Opus Dei e i giovani (2019).
Appena uscito è Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, edito dalle edizioni Ares. La voce, lo sguardo, l’umorismo: resta tutto nell’intervista di Monica Mondo per Soul di Tv2000, andata in onda nel 2019 (ma il video è ancora su YouTube).
A chi l’ha conosciuto la notizia, dolorosa, della morte ha fatto l’effetto di pensare alla risata cordiale e affettuosa che l’avrà accompagnato in quel Paradiso che è diventato il suo vero indirizzo postale, e dove avrà ritrovato san Josemaría, in un abbraccio pieno di gratitudine filiale nelle mani tenerissime del Padre.
A celebrare il funerale a Roma nella basilica di Sant’Eugenio, martedì 11 giugno alle 11, il prelato dell’Opus Dei monsignor Fernando Ocáriz.
(Francesco Ognibene, 10/06/24, Avvenire)
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