L'Opus
Dei e il movimento anti-sette
1.
"Opus Dei. Un'indagine"
Secondo una recente indagine, fra i primi quattro libri di argomento
religioso che il pubblico italiano ricorda di aver letto tre sono opera
di Vittorio Messori (1).
Si tratta già di una buona ragione per considerare un
autentico avvenimento culturale ogni nuovo lavoro del giornalista e
scrittore di Sassuolo, nel Modenese, dove Vittorio Messori è
nato nel 1941; quando poi l'argomento è così
rilevante per la vita della Chiesa - e insieme è oggetto di
così numerosi equivoci - come l'Opus Dei, le ragioni di
un'attenzione particolare si moltiplicano.
Opus
Dei. Un'indagine, l'ultimo lavoro di Vittorio Messori (2), si
presenta come un "dossier" su una realtà con cui all'inizio
della sua ricerca l'autore non aveva particolare familiarità
(3).
Una rassegna stampa sull'Opus Dei aveva messo Vittorio Messori di
fronte soprattutto - e con poche eccezioni - a un'ostilità e
un astio fuori del comune, un'autentica "leggenda nera" (4) con
censure fra l'incredibile e il grottesco, culminate, a partire dagli
anni 1984-1985, nell'accusa di essere una "sètta" (5).
Sulla
campagna scatenata nei confronti dell'Opus Dei dal movimento anti-sette
- a proposito della quale Vittorio Messori ha la cortesia di citare sia
diversi miei lavori, sia conversazioni personali con me -
ritornerò nella seconda e nella terza parte di questo
articolo con qualche ulteriore integrazione e commento. Quanto a
Vittorio Messori, convinto della limitata utilità dei
ritagli di stampa, inizia la sua indagine da una visita delle
istituzioni in qualche modo collegate all'Opus Dei, cominciando da
quelle di tipo universitario (6).
Passa
quindi allo studio della figura del beato Josemaría
Escrivá de Balaguer (1902-1975), il fondatore dell'Opus Dei,
e della sua esperienza del 2 ottobre 1928, che a torto - osserva
esattamente l'autore - si cercherebbe di comprendere al di fuori della
sua dimensione religiosa e anzi, propriamente, mistica (7).
Il
beato Josemaría Escrivá de Balaguer ha infatti
sempre sostenuto di non avere propriamente "fondato"
alcunché, ma di aver "visto" nel 1928 un progetto che Dio
gli comandava di realizzare. Il fondatore dell'Opus Dei, peraltro, non
era - per carattere e per inclinazione - particolarmente interessato a
visioni, ad apparizioni e a messaggi celesti. Il suo carisma specifico
consisteva piuttosto in una spiritualità dell'ordinario e
nella "stranezza di non essere strani" (8).
Questo
non significa che l'Opus Dei possa essere compresa e studiata sulla
base di categorie semplicemente sociologiche: Vittorio Messori rileva -
e si tratta di una osservazione di grande importanza per l'esame di
qualunque fenomeno religioso, cattolico o non cattolico - che "[...]
ciò che anche molti "intelligenti" sembrano da decenni aver
dimenticato è una necessità ovvia, lapalissiana:
e che, cioè, l'esperienza religiosa va affrontata secondo
categorie religiose" (9).
"Realtà
religiosa" (10),
l'Opus Dei ha al suo centro una spiritualità del lavoro. La
via proposta dal beato Josemaría Escrivá de
Balaguer - che certamente non si presenta come esclusiva né
escludente rispetto ad altre vie che la Chiesa accoglie e propone -
consiste nel "santificarsi nel perfetto adempimento del lavoro".
Non
si tratta, cioè, di concepire la santificazione e
l'apostolato come un'attività a cui dedicarsi principalmente
nel tempo che rimane libero dai normali impegni lavorativi, ma - al
contrario - di vivere il proprio lavoro come via alla santificazione:
di adempiere il proprio lavoro con cura particolare "sforzandosi sempre
e dovunque di essere migliori" in modo che il proprio "prestigio
professionale" diventi, secondo l'espressione stessa del fondatore
dell'Opus Dei, "la cattedra da cui si insegna agli altri a santificare
il lavoro e a conformare la propria vita alle esigenze della vita
cristiana" (11).
La realizzazione di questo progetto di spiritualità del
lavoro non è affidata soltanto all'iniziativa personale del
singolo, ma è sostenuta dalla struttura dell'Opus Dei, che
Vittorio Messori descrive come una "agenzia di servizi spirituali" o
una "stazione di servizio per le anime" (12).
L'"agenzia per lo spirito" (13) - contrariamente a un mito
diffuso - si rivolge a tutti, e non soltanto ai professionisti, ai
dirigenti d'azienda o agli intellettuali, che pure sono più
numerosi nell'Opus Dei rispetto ad altre realtà cattoliche (14).
Particolarmente
misconosciuta è, del resto, la struttura stessa dell'Opus
Dei, accolta nella sua forma attuale dalla Chiesa solo al termine di un
complesso itinerario canonico. L'Opus Dei non è un
movimento, e neppure una congregazione religiosa.
Nel
1982 è diventata la prima e, per ora, unica Prelatura
personale della Chiesa cattolica. La Prelatura personale è
una sorta di diocesi senza territorio, a cui i membri sono soggetti per
quanto riguarda la loro vita spirituale, mentre per ogni altro aspetto
rimangono soggetti al vescovo diocesano. Nell'Opus Dei - che si pone
quindi come una specifica "vocazione" nella Chiesa - si entra con un
contratto che lega ciascun fedele alla Prelatura e che, ancora una
volta, non va confuso con i voti religiosi (15).
La
grande maggioranza dei fedeli dell'Opus Dei è costituita da
laici, uomini e donne che hanno tutti una normale vita lavorativa o
professionale. Alcuni scelgono il celibato per dedicarsi con maggiore
libertà al lavoro apostolico della Prelatura e sono detti
"numerari", mentre altri in genere sposati - la maggioranza - sono
detti "soprannumerari"; una terza situazione personale è
quella degli "aggregati", che scelgono il celibato ma vivono con la
famiglia o comunque hanno una minore disponibilità di tempo
per il lavoro apostolico rispetto ai numerari; esistono infine
"cooperatori" esterni, che possono essere anche non cattolici (16).
L'Opus Dei comprende anche sacerdoti incardinati nella Prelatura,
mentre una Società sacerdotale della Santa Croce riunisce,
insieme ai sacerdoti della Prelatura, anche membri del clero diocesano
che desiderano - rimanendo per ogni altro aspetto soggetti al proprio
vescovo - vivere la spiritualità della Prelatura e godere
della sua assistenza spirituale (17).
Santificare
il proprio lavoro - si tratti del lavoro dell'avvocato o di quello del
sacerdote - richiede, secondo la spiritualità dell'Opus Dei,
un ritmo e una regolarità di vita scanditi da alcune
pratiche ascetiche. Vittorio Messori discute l'uso del cilicio, spesso
rimproverato all'Opus Dei come prova del suo presunto carattere
"settario", il rosario, la devozione alla Madonna e agli angeli custodi
(18).
Contro la "leggenda nera", Vittorio Messori mette in luce il pluralismo
nelle scelte economiche e politiche dei membri dell'Opus Dei. Nella
vita sociale, secondo l'autore, l'Opus Dei non si muove affatto come un
blocco: anche in vicende italiane recenti non di rado si sono trovati
soprannumerari dell'Opus Dei schierati su posizioni diverse, senza che
la Prelatura abbia in alcun modo interferito. Occorre quindi
comportarsi con cautela quando si legge su qualche organo di stampa che
nella vita politica o economica "l'Opus Dei ha detto..." o "l'Opus Dei
ha fatto...", giacché si tratta in genere di opzioni
individuali di singoli soprannumerari o anche numerari, che operano
nell'esercizio di una libertà di scelta nella vita secolare
per cui il beato Josemaría Escrivá de Balaguer
aveva un vero e proprio culto.
Questa
libertà implica che non sia impossibile - sia, anzi, normale
- che anche nella stessa nazione membri diversi dell'Opus Dei, sugli
stessi temi sociali o politici, compiano scelte diverse (19).
Un
esempio della libertà di scelta nelle vicende secolari - con
cui Vittorio Messori conclude la sua indagine - è costituito
dall'atteggiamento di membri dell'Opus Dei nei confronti del regime del
generale Francisco Franco, al potere in Spagna dal 1939 al 1975 (20),
ulteriormente illustrato in un'appendice - C'era una volta Franco (21) -
dello storico Giuseppe Romano, egli stesso numerario dell'Opus Dei.
Vittorio Messori osserva anzitutto che il magistero sociale cattolico
"[...] non ha assolutizzato mai alcuna forma politica, come oggi
(risvegliatici dalla soggezione al "rosso" e dalla sbornia
"comunitaria") rischiamo di fare per il sistema
democratico-liberal-capitalista".
Collaborare
con un governo di tipo non democratico come quello del generale
Francisco Franco dunque "[...] non era affatto una sorta di "crimine" o
addirittura di "vergogna""; si trattava del resto di un governo "[...]
del tutto legittimo e riconosciuto da tutta la comunità
internazionale" (22).
Lo
Stato spagnolo dell'epoca del generale Francisco Franco inoltre "[...]
per almeno 25 anni fu elogiato pubblicamente dai vescovi del Paese.
Nulla, dunque, impediva a un cattolico di collaborare" (23).
Tutto
questo premesso, la "collaborazione" fra l'Opus Dei e il regime
franchista deve essere precisata. Se è vero che -
nell'esercizio della loro libertà di scelta - alcuni membri
dell'Opus Dei sono stati ministri in alcuni governi degli ultimi anni
del regime, non è meno vero che altri membri dell'Opus Dei
hanno fatto parte di organizzazioni politiche di segno diverso e hanno
scritto su giornali di opposizione.
Sulla questione del tipo di monarchia che avrebbe dovuto reggere la
Spagna dopo la morte del generale Francisco Franco si trovava, per
esempio, fra i membri dell'Opus Dei, tutta una gamma di opinioni
diverse. Vittorio Messori nota infine come sia interessante il fatto
che tutti i detrattori dell'Opus Dei discutano di questi episodi
sapendo perfettamente chi - fra i ministri e i collaboratori di
Francisco Franco - faceva parte dell'Opus Dei e chi non ne faceva
parte, il che induce a ridimensionare un altro aspetto della "leggenda
nera", che fa dell'Opus Dei una sorta di "società segreta".
Certo
- proprio in quanto non è un ordine religioso - l'Opus Dei
non ha segni distintivi o abiti che identifichino immediatamente
ciascuno dei suoi circa ottantamila membri. I suoi statuti -
contrariamente a una diffusa mitologia - sono tuttavia pubblici (e oggi
anche pubblicati, così che possono essere acquistati in
qualunque libreria), e d'altro canto "[...] tutti coloro che conoscono
e frequentano i soci dell'Opus Dei sanno bene che fanno parte
dell'Opera, perché non ne menano un vanto, ma neppure lo
nascondono" (24).
2.
La campagna del movimento anti-sette contro l'Opus Dei
A. Le origini
Nel terzo capitolo della sua opera, Vittorio Messori accenna agli
attacchi del movimento anti-sette contro l'Opus Dei, riportando da
alcune mie opere - in particolare Le nuove Religioni (25) -
qualche cenno di carattere generale sul movimento anti-sette e sulle
sue differenze con il movimento contro le sette.
Senza ritornare qui su temi che Vittorio Messori riassume del resto
brillantemente - e che ho esposto anche in un articolo pubblicato su
Cristianità (26) - sarà sufficiente
ricordare che, mentre il movimento contro le sette, nato in ambiente
religioso - particolarmente protestante - evangelico, negli Stati Uniti
d'America - critica le "sette" da un punto di vista qualitativo,
mettendo in luce quanto nelle loro dottrine si oppone all'ortodossia
cristiana, il movimento anti-sette, che nasce in ambienti laicisti,
dichiara di volersi occupare esclusivamente di comportamenti, deeds, e
non di dottrine, creeds, e attacca come "settaria" ogni forma di
esperienza religiosa che da un punto di vista quantitativo appaia
più intensa di quanto il secolarismo moderno sia disponibile
a tollerare.
Benché alcuni suoi esponenti non siano particolarmente
filo-cattolici, il movimento evangelico contro le sette si occupa di
rado di realtà interne alla Chiesa cattolica, e di fatto non
ha quasi mai attaccato come "setta" l'Opus Dei.
Da
un lato, infatti, non esiste una "dottrina" nell'Opus Dei, distinta
dalla dottrina cattolica; dall'altro, il movimento contro le sette
evangelico sa bene che i presunti eccessi nello zelo per l'apostolato
talora rimproverati all'Opus Dei potrebbero facilmente essere
attribuiti anche a movimenti e a gruppi protestanti, alcuni dei quali
sono infatti puntualmente entrati nel mirino dei movimenti anti-sette
laicisti. Le considerazioni di Vittorio Messori offrono tuttavia lo
spunto per qualche ulteriore riflessione.
L'avversione
all'Opus Dei e il movimento anti-sette sono nati in forma autonoma e
separata. Come nota lo stesso Vittorio Messori, le campagne contro
l'Opus Dei - all'esterno e, purtroppo, anche all'interno della Chiesa
cattolica - sono quasi antiche come la realtà fondata dal
beato Josemaría Escrivá de Balaguer.
Particolarmente
vivaci sono state le campagne degli anni 1960 e quella degli anni
1980-1981 in Inghilterra, conclusa con il documento del 1981 del card.
Basil Hume, arcivescovo di Westminster, intitolato Raccomandazioni per
la futura attività dei membri dell'Opus Dei nella diocesi di
Westminster, che - inteso a far cessare una polemica dannosa a tutta la
Chiesa - è stato di fatto utilizzato dagli avversari
dell'Opus Dei come se si trattasse di una conferma alle loro critiche (27).
I più antichi attacchi all'Opus Dei venivano dall'interno
della Chiesa cattolica, e in particolare da membri di congregazioni
religiose, che non apprezzavano l'idea del beato Josemaría
Escrivá de Balaguer di costituire una realtà che
si ponesse come tertium genus fra l'ordine religioso e l'associazione
di laici.
In
seguito gli attacchi acquisirono una matrice dottrinale e politica:
tutti i tipi di "progressismo" cattolico vedevano infatti nell'Opus Dei
una realtà di tipo "conservatore", che si opponeva
all'"aggiornamento" della teologia e in particolare alle forme di
"teologia della liberazione" più direttamente influenzate
dal marxismo.
Nel
frattempo l'Opus Dei cresceva fino agli ottantamila membri attuali e la
sua crescita - non soltanto in termini di numero di membri, ma anche di
attività apostoliche - non poteva che disturbare tutto un
mondo laicista abituato a registrare con soddisfazione, quando si
trattava della Chiesa cattolica, soltanto statistiche che indicavano il
declino apparentemente inarrestabile dei fedeli, delle
attività di apostolato, delle associazioni e degli ordini
religiosi.
Per ragioni quantitative e qualitative l'Opus Dei veniva a trovarsi al
centro dello scontro intraecclesiale fra cattolici "progressisti"
-pronti a invocare, in genere a sproposito, lo "spirito" del Concilio
Vaticano II, se del caso contro la sua lettera - e cattolici fedeli
alla dottrina della Chiesa insegnata dal Magistero, e insieme dello
scontro fra il laicismo anti-cattolico e una Chiesa sempre meno
disposta ad accettare il futuro di irrilevanza sociale e culturale
disegnato per lei dai profeti del neo-illuminismo contemporaneo.
Il
movimento anti-sette laico, come nota acutamente Vittorio Messori,
nasce da un riflesso simile. Un certo mondo laicista non ha potuto
tollerare il "ritorno del religioso", che veniva a smentire le profezie
secondo cui non vi sarebbe stato "[...] più posto, nella
cultura tecnologica e postmoderna, per la dimensione religiosa". In
altre parole, l'esplosione delle "nuove religioni" realizzava "[...] il
contrario esatto - comme d'habitude - di quanto profetizzavano i soliti
"esperti": sociologi, futurologi, ma anche teologi e specialisti vari
di questioni religiose, molti preti e vescovi non esclusi" (28).
Giacché
la religione era incamminata lungo la strada di un declino
irreversibile e un nuovo interesse dei giovani per i fenomeni religiosi
non poteva verificarsi spontaneamente, il movimento anti-sette
concludeva che doveva essersi verificato qualche cosa di sinistro e di
non spontaneo, e adattava ai nuovi movimenti religiosi le teorie del
"lavaggio del cervello", elaborate per spiegare il (relativo) successo
dei "campi di rieducazione" comunisti nord-coreani e cinesi all'epoca
della guerra di Corea.
I
nemici del movimento anti-sette - e i gruppi che venivano accusati di
praticare il "lavaggio del cervello" - erano negli anni 1960 e 1970
piuttosto lontani dal mondo delle Chiese e comunità
cristiane maggioritarie; si trattava dei Bambini di Dio e in seguito di
quelli che il movimento anti-sette avrebbe chiamato i "tre grandi" fra
i suoi avversari: la Chiesa dell'Unificazione del reverendo Sun Myung
Moon, la Scientologia e gli Hare Krishna.
Nasceva
anche - ne fa cenno lo stesso Vittorio Messori - una nuova professione,
che proponeva ai genitori di chi aveva aderito a un nuovo movimento
religioso di sottoporre i loro figli a un "lavaggio del cervello" di
segno contrario: la "deprogrammazione", che consisteva nel rapire il
giovane dalle sedi del movimento e chiuderlo per qualche giorno o
qualche settimana in una stanza di motel o in una casa privata
bombardandolo con pressioni fisiche e psicologiche perché
rinnegasse la sua adesione al movimento.
I
"deprogrammatori" - la cui attività appare in ribasso, ma
non è completamente scomparsa - non erano medici
né psichiatri, ma ex membri dei movimenti e, più
spesso ancora, persone che potevano vantare soprattutto una notevole
forza fisica e che avevano svolto prima di diventare deprogrammatori
attività che andavano dal servizio di guardia del corpo a
qualche potente fino al furto e alla rapina (29).
L'industria della deprogrammazione - che frutta ai deprogrammatori dai
20 ai 40 milioni di lire per ogni "trattamento" - aveva bisogno di
giustificazioni ideologiche, e anche di una struttura
politico-associativa di sostegno.
Nacquero
così - intorno ai primi deprogrammatori - associazioni
anti-sette, rigorosamente laiciste, che si sono successivamente
trasformate fino a diventare gli attuali CAN - Cult Awareness Network,
"Rete di consapevolezza nei confronti delle sette" - e AFF - American
Family Foundation, "Fondazione americana per la famiglia" -, che hanno
sostenuto con aiuti di diverso genere la nascita di organizzazioni
simili in numerosi paesi del mondo.
Alcuni
membri della professione psichiatrica - severamente criticati dai loro
stessi colleghi - hanno elaborato una teoria della "manipolazione
mentale", che di fatto applica la metafora del "lavaggio del cervello"
(anche se preferisce non servirsi di questa espressione controversa)
alle attività dei nuovi movimenti religiosi, giustificando
così la deprogrammazione.
Le
attività di questi psichiatri hanno subito un duro colpo
quando, nel maggio del 1987, l'American Psychological Association,
forse la più autorevole organizzazione professionale del
mondo nel campo della psicologia e della psichiatria, ha dichiarato
dopo un lungo studio "non scientifica" la teoria della manipolazione
mentale o del "lavaggio del cervello" applicata a movimenti religiosi (30).
Cambiando
- ove del caso - la terminologia e le etichette, le attività
dei movimenti anti-sette (e in una certa misura pure dei
deprogrammatori, anche se i più noti fra loro sono stati
arrestati in vari paesi) sono peraltro continuate fino ai nostri
giorni. Nel frattempo - per sopravvivere - i movimenti anti-sette e i
deprogrammatori hanno dovuto estendere il loro campo di
attività, occupandosi non più soltanto dei "tre
grandi" o dei Bambini di Dio, ma di un gran numero di gruppi religiosi
(e talora perfino non religiosi) convenientemente etichettati come
"sette".
B.
L'incontro
In questa prospettiva si inquadra anche l'incontro fra il movimento
anti-sette e i nemici dell'Opus Dei. Occorre sempre partire dal quadro
di riferimento ideologico di fondo del movimento anti-sette, nato in un
ambiente laicista che non sopporta qualunque fenomeno sociale che suoni
smentita alle tesi secondo cui la religione è destinata a
perdere progressivamente la sua importanza in un mondo moderno e
postmoderno che sostanzialmente non ne ha più bisogno.
Si
deve aggiungere che l'ideologia laicista - chiamata negli Stati Uniti
d'America secular humanism, "umanesimo secolare" - si accompagna quasi
sempre (anche se non mancano eccezioni) a una militanza politica
liberal e "a sinistra", a cui fa da pendant la militanza in un campo
politicamente conservatore del nuovo protestantesimo evangelico e
fondamentalista e anche di alcuni nuovi movimenti religiosi,
particolarmente della Chiesa dell'Unificazione del reverendo Sun Myung
Moon, almeno fino ad anni recenti (31).
È appunto una lobby politica di nemici dell'Opus Dei quella
che, negli anni 1984-1985, viene in contatto con il movimento
anti-sette. In quegli anni erano in gestazione in Europa due dei
più duri attacchi da una prospettiva cattolica
"progressista" contro l'Opus Dei, che si sarebbero manifestati nei
volumi del religioso paolino Giancarlo Rocca (32) e
del sociologo spagnolo - nonché ex membro dell'Opus Dei,
secondo Vittorio Messori - Alberto Moncada (33).
In quegli stessi anni visita l'Europa per raccogliere materiale
destinato a un libro sulle "sette cattoliche" Penny Lernoux
(1940-1989), una giornalista statunitense specializzata in problemi
latino-americani, che si era segnalata per una serie di opere in cui
difendeva in modo militante la "teologia della liberazione" di
ispirazione marxista e attaccava in modo virulento chiunque nel mondo
cattolico si opponesse a questa teologia (34).
Penny
Lernoux fa stato dei suoi ripetuti contatti con il vaticanista
Giancarlo Zizola, con i già citati don Giancarlo Rocca e
Alberto Moncada e, negli Stati Uniti, con Maria del Carmen Tapia, una
ex appartenente all'Opus Dei che lavorava come ricercatrice presso
l'Università della California a Santa Barbara (35).
Oltre che infaticabile propagandista contro l'Opus Dei, Maria del
Carmen Tapia è attiva nelle polemiche sulle "sette", che in
quegli anni dividono in due gli specialisti di scienze religiose
dell'Università della California, dove un piccolo gruppo di
docenti favorevoli alle attività del movimento anti-sette
viene contrastato da altri docenti e in particolare da J. Gordon Melton.
È
Maria del Carmen Tapia a mettere in contatto Penny Lernoux, e in
seguito anche Alberto Moncada, con la principale organizzazione
anti-sette degli Stati Uniti, il CAN (36).
Alla
fine del 1985 il Cultic Studies Journal, l'organo del CAN, pubblica un
primo attacco all'Opus Dei, utilizzando il documento del card. Basil
Hume del 1981, di cui ho già avuto occasione di segnalare il
reiterato uso malizioso (37).
Nel 1985 viene pubblicato il volume di don Giancarlo Rocca, e nel 1986
quello di Alberto Moncada. Nello stesso 1986 la questione dell'Opus Dei
come possibile "società segreta" viene sollevata al
Parlamento italiano sull'onda dello scandalo della loggia massonica P2;
la polemica cessa dopo una risposta alle interrogazioni dell'allora
ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro (38).
Nel 1987 e 1988 gli interventi contro l'Opus Dei - denunciata come
"setta", accusata dell'immancabile "lavaggio del cervello", e vittima
soprattutto in Spagna delle "cure" dei deprogrammatori - si estendono
dagli Stati Uniti d'America, dove opera il CAN, ai paesi dove sono
attivi organismi associati o finanziati dal movimento anti-sette
americano, particolarmente la Francia, dove opera l'ADFI, Association
de Defense de la Famille et de l'Individu, e la Spagna, dove sono
attivi diversi organismi fra cui Pro Juventud e il catalano AIS,
Assessorament i Informació sobre Sectes.
Alla
fine del 1986 viene fondata a New York una prima associazione di
coordinamento fra gruppi anti-sette specificamente interessati ad
attaccare l'Opus Dei, il Comitato ad hoc per la difesa del quarto
comandamento - con riferimento a presunti conflitti di genitori con
figli membri dell'Opus Dei -, con sede in una suite di Madison Avenue a
New York (39).
Da
questo gruppo si svilupperà in seguito un'altra
associazione, Our Lady and St. Joseph in Search of the Lost Child,
"Nostra Signora e san Giuseppe alla ricerca del Figlio perduto",
diretta da Joseph Garvey. Agli incontri del CAN, dell'ADFI e di
consimili associazioni si presentano a denunciare l'Opus Dei come
"setta" anche sacerdoti cattolici come il domenicano di San Francisco
Kent Burtner, e don Jacques Trouslard, già vicario generale
della diocesi di Soissons e uno dei più attivi esponenti
dell'ADFI.
Negli
Stati Uniti d'America partecipa alle attività del CAN anche
don James McGuire, direttore del Newman Center, un centro studentesco
cattolico alla University of Pennsylvania. Don James McGuire, "che
condivide le preoccupazioni di molti altri osservatori sulle
caratteristiche settarie dell'Opus Dei", si è opposto alle
attività di "proselitismo" dell'Opus Dei e di "altri gruppi
evangelici" nell'Università dove opera (40).
Quanto
a don Jacques Trouslard, nel 1993 dichiarava all'autore di una
virulenta opera anti-sette diffusa dall'ADFI di aver "cominciato da
parecchi anni una ricerca con famiglie preoccupate dall'Opus Dei",
contro cui intendeva preparare un'autentica "requisitoria". Don Jacques
Trouslard affermava che "non era certo perché l'Opus Dei era
l'opera privilegiata del Santo Padre che era disposto a tacere", in
presenza di una serie di "caratteristiche settarie" evidenti, fra cui
l'"indottrinamento tramite corsi intensivi", l'"infiltrazione in tutte
le reti della vita sociale", il "proselitismo esacerbato", la "presenza
di maschere comuni a tutte le sette, come campi, viaggi, spettacoli,
scuole", e così via.
Come
ogni buon esponente del movimento anti-sette, don Jacques Trouslard
ripeteva di "non occuparsi né di dottrine né di
credenze", ma esclusivamente di comportamenti, e di essere totalmente
indifferente alla beatificazione del fondatore dell'Opus Dei.
Alla vigilia della beatificazione, il 14 maggio 1992, don Jacques
Trouslard dichiarava a due quotidiani e a due catene televisive che
"questa beatificazione non è il mio problema, anche se
costituisce un'approvazione dell'Opus Dei. Per divertirvi, al limite vi
dirò: Josemaría Escrivá de Balaguer
è stato beatificato, e io continuo a ridermela beato..." (41).
Prima
della beatificazione - del 17 maggio 1992 - il movimento anti-sette e i
nemici dell'Opus Dei si erano incontrati per altre iniziative comuni.
Nel 1989 era stato pubblicato il volume di Michael Walsh, un ex
religioso cattolico, The Secret World of Opus Dei (42).
Nonostante
alcune espressioni di carattere cauto il volume proclama fin dalla
copertina che l'Opus Dei è "una setta" e conclude che "in
quanto setta, l'Opus Dei non è soltanto meno che cattolica,
ma è meno che cristiana" (43).
Il volume di Michael Walsh è così pieno di errori
e di imprecisioni da far seriamente dubitare che sia stato scritto in
buona fede (44).
È più interessante l'itinerario di Michael Walsh:
ex gesuita, già ostile all'Opus Dei - e, come molti altri
critici dell'Opus Dei, difensore fino al fanatismo della "teologia
della liberazione" - quando era ancora religioso cattolico, Michael
Walsh ha cercato di inserirsi nel mondo degli specialisti di nuovi
movimenti religiosi collaborando con INFORM - Information Network Focus
on Religious Movements, "Rete di informazione sui movimenti religiosi"
-, un autorevole organismo che ha sede presso la London School of
Economics, e che peraltro non ha un atteggiamento anti-sette (45).
Come
Michael Walsh, anche don Jacques Trouslard dichiara di aver iniziato la
sua campagna contro l'Opus Dei già "nel 1963" e di essersi
accostato soltanto in seguito al mondo dei movimenti anti-sette,
iniziando a collaborare con l'ADFI (46).
Nel
1989 - l'anno della morte di Penny Lernoux - veniva pubblicato anche il
suo magnum opus sulle "sette cattoliche", People of God. L'opera
è principalmente dedita ad attaccare l'Opus Dei, ma si
occupa anche - dopo tutto la categoria di "setta cattolica" non sarebbe
credibile se ospitasse al suo interno una sola realtà - di
Comunione e Liberazione nonché della TFP, la
Società brasiliana di difesa della tradizione, famiglia e
proprietà, e delle sue organizzazioni sorelle, e dedica un
cenno anche ad Alleanza Cattolica.
Il
riferimento ad Alleanza Cattolica è sufficiente ad
illustrare di quale tipo di metodo "scientifico" si sia servita la
giornalista americana nel suo volume. Penny Lernoux accusa Alleanza
Cattolica di costituire un semplice "fronte" italiano per la TFP
brasiliana, di praticare l'indottrinamento intensivo dei minorenni
all'insaputa dei loro genitori e di credere che il professor Plinio
Corrêa de Oliveira, il fondatore della stessa TFP brasiliana,
sia "immortale".
Un numero di nota - che rinvia a note poste alla fine del volume - crea
nel lettore l'impressione che queste accuse grottesche siano in qualche
modo documentate. La nota menziona infatti "Cristianità,
aprile 1983; Alleanza Cattolica (Italia), novembre 1984 e febbraio
1985" (47).
Senonché
il numero di aprile del 1983 di Cristianità non contiene
neppure il più vago accenno al professor Plinio
Corrêa de Oliveira - per non parlare della sua
"immortalità" - o a metodi di formazione dei giovani: gran
parte del numero è dedicato alla riproduzione di una
conferenza del card. Joseph Ratzinger in tema di catechismi.
Quanto a una rivista Alleanza Cattolica - di cui la nota richiama i
numeri del novembre 1984 e del febbraio 1985 -, più
semplicemente non è mai esistita. Non rimane che supporre
che gli informatori di Penny Lernoux su Alleanza Cattolica - la
giornalista cita e ringrazia in particolare i redattori dell'agenzia
ADISTA (48)
- abbiano fornito sull'argomento - come su altri - informazioni per
dire il meno imprecise.
Nonostante
la pessima qualità scientifica dei volumi di Michael Walsh e
di Penny Lernoux, la nozione di "setta cattolica" era destinata a fare
strada. Alberto Moncada la presentava nel luglio del 1990, a Madrid, al
dodicesimo Congresso mondiale di sociologia, con una lunga relazione
dal titolo Sectas catolicas: el Opus Dei.
Nella
prima pagina della sua relazione, Alberto Moncada elogiava il mio
volume Le sette cristiane (49). Da una versione successiva del
testo di Alberto Moncada il riferimento elogiativo al sottoscritto
sarebbe sparito, per una ragione che va al di là
dell'aneddoto autobiografico e che mi sembra interessante precisare.
Il
movimento anti-sette aveva da tempo deciso di lanciare una campagna
contro l'Opus Dei per prevenire - se possibile - la beatificazione del
suo fondatore nel 1992 o comunque per creare dubbi e
perplessità nell'opinione pubblica in occasione di tale
beatificazione.
Sarebbe
stato ideale poter lanciare questa campagna in una sede scientifica
prestigiosa e neutrale, quale non poteva essere, per esempio, uno degli
incontri annuali del CAN, sede né qualificata dal punto di
vista scientifico-accademico né, ovviamente, neutrale. Nel
1991 il seminario annuale del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove
Religioni, era in programma a Buellton, in California, ed era
organizzato in collaborazione con l'Institute for the Study of American
Religion, che ha sede presso l'Università della California a
Santa Barbara.
Considerata
la centralità della California nel mondo dei nuovi movimenti
religiosi - e anche la sua obiettiva rilevanza giornalistica - si
prevedeva per quel seminario un'affluenza di delegati di Chiese e di
comunità maggioritarie, e anche di giornalisti, maggiore di
quanto è consueto per i seminari del CESNUR, che sono
riservati agli specialisti e che non vengono annunciati con particolare
pubblicità.
L'occasione
sembrava favorevole, e furono poste in essere pressioni di diversa
natura perché venisse accettata una relazione di Alberto
Moncada sull'Opus Dei come "setta cattolica".
Gli
enti co-organizzatori - d'accordo fra loro - decisero di rifiutare la
proposta, spiegando che l'ambito di attività del CESNUR si
riferisce esclusivamente ai "nuovi movimenti religiosi" e non alle
realtà che operano nell'ambito delle Chiese e
comunità maggioritarie, com'è indubbiamente
l'Opus Dei.
Dopo
aver informato - con tutta la cortesia del caso - Alberto Moncada della
decisione, gli organizzatori lessero, con loro sorpresa, una replica
del sociologo spagnolo, che contestava anche la presenza di un vescovo
cattolico, mons. Giuseppe Casale, nella seduta finale del seminario,
accanto, peraltro, a un pastore luterano e uno metodista.
"Lamento
- scriveva in data 5 aprile 1991 Alberto Moncada - che abbiate preso
questa decisione escludente, e debbo dire sinceramente che la struttura
del seminario, con un vescovo cattolico come oratore finale, suona
abbastanza come alleanza con la Chiesa romana nella sua lotta di
mercato con le altre sette, una alleanza poco rispettosa
dell'indipendenza accademica e del giudizio di quanti crediamo che nel
nostro mondo ecclesiastico ci siano sufficienti componenti settarie,
soprattutto sotto il pontificato dell'attuale papa" (50).
Questa lettera curiosa - dove il riferimento al "nostro mondo
ecclesiastico" contrastava con l'accenno alla "Chiesa romana" come
setta in lotta con "altre sette" - era il preludio ad altre sorprese.
Al seminario di Buellton - come talora, ma non sempre, accade nei
seminari annuali del CESNUR - erano stati invitati a esporre il loro
punto di vista agli specialisti accademici presenti esponenti di alcuni
nuovi movimenti religiosi e di movimenti anti-sette, fra cui il CAN.
Con
la delegazione del CAN - la cui co-fondatrice Priscilla Coates, mi
sembra opportuno precisarlo, espose idee discutibili con un tono
indubbiamente cortese e rispettoso di chi la ospitava - si
presentò a Buellton la signora Maria del Carmen Tapia, che
ho già avuto occasione di citare come attivista anti-sette
specializzata negli attacchi all'Opus Dei.
La
signora Tapia chiese di leggere una dichiarazione contro l'Opus Dei
assolutamente estranea al carattere scientifico del seminario,
incontrando un fermo rifiuto in particolare da parte del sottoscritto.
Decise allora di creare l'incidente a tutti i costi - a beneficio dei
giornalisti presenti - salendo sul palco del seminario e cercando di
afferrare letteralmente chi scrive per il bavero della giacca.
Sfortunatamente
per la signora Tapia, il servizio d'ordine dell'albergo che ospitava il
seminario si mosse così rapidamente da non permettere che
dell'incidente si rendessero neppure conto il pubblico e i giornalisti
in modo sufficiente da prenderne nota. Per la cronaca, il servizio
d'ordine si era preoccupato dell'apparizione della signora Tapia
perché questa - vestita interamente di nero e con una croce
al collo - era stata scambiata per un'adepta di uno dei gruppi
satanisti da anni presenti nella zona...
Fallito
il tentativo di utilizzare una sede accademica come il seminario di
Buellton per lanciare una campagna anti-sette contro l'Opus Dei, la
signora Tapia e i suoi amici decisero di perseguire la strada
giornalistica prendendo contatto con Newsweek, un rotocalco
statunitense che - come il concorrente Times - aveva sempre prestato
orecchio volentieri alle tesi del movimento anti-sette.
Nel
numero del 13 gennaio 1992 - con il titolo A Questionable Saint, "Un
santo discutibile" - Newsweek rilanciava la tesi dell'Opus Dei come
"setta cattolica" (51).
L'articolo
veniva anticipato alla stampa internazionale e trovava eco anche in
Italia (52).
Naturalmente la campagna di stampa non preveniva affatto la
beatificazione, che veniva celebrata con grande concorso di folla a
Roma il 17 maggio 1992.
Continuavano,
peraltro, gli attacchi del movimento anti-sette, e ancora una volta
veniva sapientemente affidato a un religioso cattolico, il domenicano
Kent Burtner, il compito di presentare l'Opus Dei come "setta" al
convegno del CAN del 1992. In quell'occasione padre Kent Burtner
dichiarava che, "[...] benché l'Opus Dei da un punto di
vista formale e nominale mantenga linee di responsabilità
verso la Chiesa cattolica", di fatto "[...] si comporta piuttosto come
una setta che viva protetta in una serra" (53).
Nel
1993 un nuovo episodio significativo si è verificato con il
congresso internazionale Gruppi totalitari e settarismo, organizzato da
numerosi movimenti anti-sette di diversi paesi nei giorni 23 e 24
aprile 1993 a Barcellona.
Il
programma preliminare, diffuso nel 1992, elencava fra gli oratori
diversi esponenti del mondo cattolico europeo, insieme ai
più noti dirigenti del movimento anti-sette degli Stati
Uniti. Nel dicembre del 1992 - segnalando la presenza fra gli oratori
di Alberto Moncada e facendo circolare una versione precedente della
sua relazione sull'Opus Dei come "setta cattolica", che in effetti al
congresso di Barcellona il sociologo spagnolo avrebbe ripresentato
pressoché integralmente - il CESNUR denunciava il
prevedibile attacco all'Opus Dei, sottaciuto nell'invito che gli
organizzatori avevano rivolto a esponenti qualificati del mondo
cattolico.
Come
risultato, diversi specialisti cattolici che avevano annunciato la loro
intenzione di partecipare al congresso di Barcellona - alcuni dei quali
figuravano anche sul relativo pre-programma - ritiravano la loro
adesione (54).
Al
congresso Gruppi totalitari e settarismo, come previsto, Alberto
Moncada attaccava violentemente l'Opus Dei ripetendo il suo intervento
del 1990 e aggiungendo nuove espressioni ingiuriose. Per esempio,
l'atteggiamento dei professori universitari dell'Opus Dei, che dedicano
parte del loro tempo alla formazione di membri più giovani,
veniva qualificato dal sociologo spagnolo - senza altre giustificazioni
- come "pederastia spirituale" (55).
L'Opus Dei, ripeteva ancora una volta Alberto Moncada, è una
"setta" perché pratica l'"indottrinamento" e la
manipolazione della personalità dell'adepto "fino alla
schizofrenia". La "manipolazione mentale" avviene anche attraverso i
raduni di massa, in cui "il papa polacco esibisce le sue buone doti di
attore" (56),
e richiede - secondo lo schema tipico del movimento anti-sette -
l'intervento dei poteri pubblici perché vengano vietate le
attività di "manipolazione" e di "indottrinamento", con o
senza "approvazione vaticana".
I movimenti anti-sette, spiegava Alberto Moncada, possono avere
un'importante funzione di "informazione, pubblicità,
sensibilizzazione dell'apparato giudiziario e di ordine pubblico contro
queste violazioni dei diritti umani, che sono l'unica via accessibile e
l'unico meccanismo di difesa sociale contro il settarismo opusdeista,
almeno fino a quando questa organizzazione godrà del favore
del Vaticano, e quest'ultimo continuerà ad essere retto dai
suoi attuali protagonisti" (57).
Questa
attività, secondo Alberto Moncada, era fortunatamente
iniziata con la fondazione di quello che a Barcellona presentava come
"Odan Network", definito come una "rete internazionale per
l'informazione sulle attività dell'Opus, con sede a
Pittsfield, nel Massachusetts" (58).
In
realtà, il nome dell'organizzazione in questione
è semplicemente ODAN, sigla di Opus Dei Awareness Network,
che opera in stretto contatto con il CAN, a cui fa ovvio riferimento
già il suo stesso nome (59).
Quanto
all'analisi dell'Opus Dei, la relazione del sociologo spagnolo
è di una povertà intellettuale ai limiti del
ridicolo. Nel mondo moderno, secondo Alberto Moncada, per i cattolici
conservatori le "opzioni intellettuali si vanno riducendo", e i nemici
del "progresso", facilmente identificabili per la loro militanza contro
l'aborto e contro la "teologia della liberazione", vanno a costituire
piccole sacche che possono presentarsi esclusivamente come "sette"; da
questo punto di vista l'Opus Dei, secondo Alberto Moncada, "assomiglia
molto, dottrinalmente, al movimento del cardinale [sic] Lefevre [sic]" (60).
Sfortunatamente - e con qualche contraddizione quanto alla coerenza
dell'analisi - le sacche "settarie" negli ultimi anni hanno acquistato
nella Chiesa cattolica una rilevanza imprevista grazie al "cardinale
Woityla [sic]", che "[...] l'Opus Dei ha fedelmente e efficacemente
aiutato nella sua peculiare controriforma contro lo spirito del
Concilio Vaticano II; la beatificazione è stata anche un
riconoscimento di questo appoggio".
Frutto
recente di questa collaborazione sarebbe - secondo Alberto Moncada - il
"Catechismo vaticano, i cui precetti sulla proprietà e
l'attività economica presuppongono un ritorno alla dottrina
dei papi del XIX secolo, saltando e calpestando encicliche come la
Populorum progressio e ratificando l'idea che la cosiddetta dottrina
sociale della Chiesa non vuole sostituire il capitalismo ma
battezzarlo".
Giacché
l'insostenibilità di queste idee alla fine del secolo XX
è a tutti evidente, è possibile persuaderne
ancora qualcuno soltanto "plagiandolo" e, meglio ancora,
indottrinandolo quando è ancora "un bambino o una bambina
piccola", senza "dargli il tempo di considerare altre alternative
[...]". Di qui - conclude il sociologo spagnolo, la cui
faziosità ideologica e insieme superficialità di
analisi sono veramente sconcertanti - "la crescente imputazione
all'Opus Dei di pratiche settarie e finalmente la sua inclusione nel
novero delle sette pericolose anche per l'infanzia da parte di esperti
di diverso orientamento" (61).
3.
Alcune conclusioni
Il quadro che ho brevemente delineato mi sembra permettere alcune
conclusioni. Il movimento anti-sette laicista nasce avendo come
obiettivi primari movimenti religiosi non cattolici. Il movimento
contro l'Opus Dei nasce - particolarmente in ambiente cattolico
progressista - a prescindere da qualunque polemica contro le "sette".
Nella prima metà degli anni 1980, tuttavia, da una parte il
movimento anti-sette estende le sue attività dai nemici
originari ad altri gruppi - fra cui l'Opus Dei -, dall'altra alcuni
nemici intra-cattolici xdell'Opus Dei - emblematici sono i casi di don
Jacques Trouslard in Francia e di Michael Walsh in Inghilterra - si
rendono conto del fatto che il movimento anti-sette offre sia un quadro
di riferimento ideologico, sia prospettive di azione idonee a
continuare la loro campagna con mezzi maggiori e con alleati potenti.
L'incontro
avviene forse inizialmente per ragioni estrinseche e, in parte, di
carattere politico: ma il movimento anti-sette e i nemici dell'Opus Dei
all'interno della Chiesa cattolica avevano in comune una visione del
mondo e del ruolo della religione che non poteva non favorire la loro
collaborazione.
Da
questa vicenda si può trarre un'ulteriore osservazione,
tutt'altro che priva d'interesse e d'importanza. L'atteggiamento
anti-sette laicista e l'atteggiamento contro le sette religioso
divergono fra loro per ragioni oggettive, ma non necessariamente per le
caratteristiche soggettive di chi se ne fa portatore.
Se
è difficile che nel movimento contro le sette religioso si
trovino atei militanti, capita invece che nel movimento anti-sette
laicista si trovino persone che si dichiarano, dal punto di vista
personale, religiose. In altra sede ho notato come nei movimenti
anti-sette degli Stati Uniti d'America si trovino per esempio spesso -
accanto a una dirigenza che è costituita in larga misura da
"umanisti secolari" atei o agnostici - esponenti di rilievo delle varie
correnti dell'ebraismo americano: la circostanza si spiega - ed
è stata spiegata da esponenti del movimento anti-sette, che
sono essi stessi ebrei - con un atteggiamento tradizionale
dell'ebraismo, religione non missionaria, che guarda con sospetto a
qualunque fenomeno di conversione (62).
Oltre
a questi esponenti del mondo ebraico vi sono, nel movimento anti-sette,
anche alcuni protestanti - per la verità assai pochi - e,
infine, sacerdoti e religiosi - più raramente anche laici -
cattolici, pochi di numero, ma particolarmente attivi.
Ci
si può chiedere perché un cattolico - tanto
più un sacerdote o un religioso - partecipi alle
attività del movimento anti-sette, la cui ideologia, per
poco che la si conosca o la si studi, è evidentemente
ostile, quando non alla religione in genere, a quella rilevanza sociale
della religione che a un cattolico dovrebbe essere particolarmente
cara. Qualcuno ritiene che la collaborazione di alcuni cattolici con il
movimento anti-sette si spieghi con la loro irritazione nei confronti
delle "sette", che li porta a scegliere quella che - a torto,
confondendo la violenza dei toni con la forza oggettiva delle critiche
- considerano una linea più "dura" e vigorosa contro i nuovi
movimenti religiosi.
Proprio
la storia degli attacchi all'Opus Dei mostra, tuttavia, come questa
spiegazione riguardi soltanto un numero minimo di cattolici, la cui
ingenuità è pari all'incapacità di
comprendere a fondo la problematica relativa ai nuovi movimenti
religiosi e al movimento anti-sette. Per altri cattolici la scelta di
collaborare con il movimento anti-sette risponde a una logica
più inquietante.
Si
tratta infatti di cattolici che non ignorano lo schema ideologico
laicista del movimento anti-sette: lo conoscono perfettamente, ma
pensano di servirsene come di un'arma per attaccare, anzitutto, i
propri avversari intra-ecclesiali bollandoli come "sette".
È
certamente possibile che alcuni cattolici, oggi attivisti del movimento
anti-sette, abbiano scoperto tardivamente una vocazione a contrastare i
nuovi movimenti religiosi. Ma è certo che - già
molti anni prima di occuparsi dei testimoni di Geova o degli Hare
Krishna - alcuni di costoro erano attivi nel contrastare l'Opus Dei.
Come sfuggire quindi all'impressione che questi cattolici
"progressisti" abbiano deciso di aderire al movimento anti-sette
laicista mossi non da una tardiva scoperta del "pericolo delle sette",
ma dal desiderio di trovare alleati potenti e danarosi, oltre che
ideologicamente affini, nella loro polemica contro l'Opus Dei e contro
altre realtà cattoliche fedeli all'ortodossia e al
Magistero? Anche se a questo interrogativo si volesse lasciare la
risposta in sospeso - ma gli indizi per rispondere affermativamente non
mancano - ci si trova di fronte, ancora una volta e ad abundantiam, a
elementi che giustificano le più ampie riserve - e i
più fondati sospetti - nei confronti del movimento
anti-sette e dei cattolici che, con maggiore o minore consapevolezza,
con questo movimento collaborano.
E
tutto questo richiama ancora una volta la necessità non di
smettere di interessarsi - anche, quando è necessario, in
chiave polemica - dei nuovi movimenti religiosi, ma piuttosto di
interessarsene partendo da un punto di vista e secondo categorie
specificamente cattoliche, diverse dal laicismo del movimento
anti-sette con cui ogni forma di collaborazione - come è
sempre più chiaro - non è soltanto inutile, ma
è riprovevole e dannosa.