"Sette
cattoliche": l'equivoco continua
Perché,
da qualche tempo, la letteratura contro le "sette" si esprime con toni
alterati nei confronti di gruppi cattolici?
Finalmente,
a pagina 73 dell’edizione italiana del discusso volume
dell’inglese Gordon Urquhart Le armate del Papa —
sottotitolo: Focolarini, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione. I
segreti delle misteriose e potenti nuove sette cattoliche — (1), si
identifica chi è veramente il nemico: gli studiosi
universitari di nuovi movimenti religiosi — in Inghilterra
simboleggiati da INFORM, Information Network Focus on Religious
Movements, "Rete di informazioni sui nuovi movimenti religiosi"
—, che ha sede presso la London School of Economics ed
è diretto da una sociologa prestigiosa, Eileen Barker
— che, negando la definizione di "setta" tipica dei
cosiddetti movimenti anti-sette, "falsifica[no] pericolosamente il
problema".
Le
armate del Papa costituisce uno dei tanti prodotti della letteratura
contro le "sette cattoliche", che ormai non attacca più
soltanto un movimento o due, ma se la prende con qualunque
realtà cattolica che abbia il difetto di esistere, di
prosperare e di mettere in discussione il laicismo dominante.
In
Francia abbiamo avuto — per limitarci al 1996 — gli
attacchi all’Office Culturel de Cluny, un gruppo di
animazione culturale di ispirazione cattolica incluso nel gennaio del
1996 nella lista delle "sette pericolose" del rapporto parlamentare Les
Sectes en France (2)
e difeso da diversi vescovi (3); quindi il volume di Thierry
Baffoy, Antoine Delestre e Jean-Paul Sauzet, Les Naufragés
de l’Esprit. Des sectes dans l’Église
catholique (4),
che definisce "sette" alcune comunità sorte
nell’ambito del Rinnovamento nello Spirito, volume condannato
da un documento della Conferenza episcopale francese (5).
In
Italia arrivano ora le traduzioni di Le armate del Papa e di Oltre la
soglia. Una vita nell’Opus Dei di María del Carmen
Tapia (6),
che da anni conduce una sua personale campagna di denigrazione contro
l’Opus Dei e il suo fondatore (7).
La ricetta per pubblicare un libro di successo dove un movimento o una
realtà cattolica viene additata al pubblico ludibrio come
"setta" è semplice: si prendono uno o più "ex"
del movimento in questione, a cui si offre una splendida occasione per
regolare vecchi conti; si traducono i loro resoconti — avendo
cura di impiegare termini come "setta distruttiva", "lavaggio del
cervello", "violazione dei diritti della persona" — nel gergo
dei movimenti anti-sette, e si chiede aiuto a questi ultimi per
lanciare i volumi che ne risultano.
Da
questa ricetta nessuno è salvo: perfino le suore di Madre
Teresa di Calcutta — che sembrerebbe veramente al di sopra di
ogni sospetto — diventano una setta nel libro di Christopher
Hitchens The Missionary Position. Mother Theresa in Theory and Practice
(8),
che parte come di consueto dalle "rivelazioni" dei soliti "ex" per
produrre un volume che contiene già nel titolo una volgare
allusione sessuale e di cui davvero non si sente il bisogno di una
traduzione italiana.
Christopher
Hitchens, almeno, scopre le carte: in un’intervista apparsa
sul numero dell’autunno del 1996 di Free Inquiry, il giornale
degli "umanisti secolari" americani, dichiara di " [...] non essere
neutrale sulla religione. Sono ostile a essa. Penso che la religione
non sia solo falsa, ma veramente cattiva. E non mi riferisco solo alle
religioni organizzate, ma alla credenza religiosa in se stessa" (9).
Autori come Gordon Urquhart o María del Carmen Tapia
professano a parole un untuoso rispetto per la Chiesa cattolica, che
vorrebbero soltanto "liberare" dalle "sette" presenti nel suo seno:
perciò sono meno ingenui, e quindi più insidiosi.
Vi
sono due modi per rispondere a questo genere di libri. Il primo
— solitamente inefficace — consiste
nell’accettare le loro premesse metodologiche —
accettare, cioè, la definizione di "setta" dei movimenti
anti-sette, e ammettere che è possibile giudicare una
realtà sulla base delle sole testimonianze degli "ex"
—, dichiarando però che sono male applicate
all’Opus Dei, a Comunione e Liberazione o ai Focolarini;
questi ultimi sono il principale bersaglio di Gordon Urquhart, egli
stesso ex focolarino.
Si
potranno anche usare argomenti ad hominem, che spesso non mancano: non
sempre, infatti, l’"ex" che si presenta ad attaccare un
movimento è del tutto aperto a raccontare anche i peccatucci
per cui ne è stato escluso.
Ma
presso la maggioranza dei lettori questi argomenti lasciano il tempo
che trovano. In realtà, una volta accettate le premesse,
difendersi diventa impossibile. È necessario, allora,
attaccare le premesse stesse con cui è costruita la
letteratura anti-sette, di ispirazione laicista e diversa,
naturalmente, dalla vigilanza critica cristiana nei confronti dei nuovi
movimenti religiosi, atteggiamento che i sociologi chiamano piuttosto
"contro le sette" (10).
Queste
premesse sono in genere contestate dagli studiosi accademici di
movimenti religiosi, e per questo Gordon Urquhart — come, in
altre sedi, María del Carmen Tapia — li attacca
così violentemente. Anzitutto, mentre è vero che
gli "ex" che decidono di cambiare religione o movimento costituiscono
un problema umano da affrontare con tatto e con compassione sul piano
pastorale, non è vero che un libro costituito esclusivamente
dalle testimonianze degli "ex" possa essere considerato
un’analisi accettabile di un movimento religioso, cattolico o
non cattolico.
Nessuno
studioso accademico degno di questo nome — checché
se ne dica — ignora le testimonianze degli "ex"; ma nessuno
studio scientifico serio si fonda soltanto su queste testimonianze,
così come nessuna accusa si regge in tribunale soltanto sui
"pentiti". Sarebbe serio uno studio sul sacerdozio cattolico costruito
intervistando esclusivamente ex preti?
In
secondo luogo, la definizione di "setta" proposta dai movimenti
anti-sette, che è alla base di libri come quelli di Gordon
Urquhart e di María del Carmen Tapia, è del tutto
inaccettabile.
Distingue,
infatti, le Chiese o i movimenti religiosi accettabili dalle "sette"
utilizzando soltanto criteri quantitativi e non religiosi, e ignorando
i criteri qualitativi e religiosi. Gli elementi dottrinali vengono
messi da parte per concentrarsi su criteri non dottrinali, che
dovrebbero permettere di identificare la "setta" pericolosa. Al centro
di tutto sta la nozione di "lavaggio del cervello", di cui Gordon
Urquhart mantiene perfino il nome — "Io credo nel lavaggio
del cervello — afferma, invocando ancora una volta i diritti
dell’"ex", a proposito dei Focolarini —
perché l’ho sperimentato di persona" (11)
—, mentre María del Carmen Tapia —come
Christopher Hitchens nel suo furibondo attacco a Madre Teresa
— si rende almeno episodicamente conto che
l’etichetta "lavaggio del cervello" è oggi del
tutto squalificata negli ambienti scientifici, e fa riferimento alle
cosiddette teorie "di seconda generazione", che evitano la vecchia
etichetta, ma ne mantengono la sostanza dietro espressioni nuove come
"destabilizzazione mentale", "manipolazione mentale" o "pratiche
totalitarie".
Invano:
fin dal 1987 l’American Psychological Association ha
dichiarato ufficialmente che le teorie del "lavaggio del cervello"
— di prima o di seconda generazione — applicate a
movimenti religiosi non sono scientifiche (12), e da allora i tribunali
americani le rifiutano sistematicamente, allineandosi così
del resto alla Corte Costituzionale italiana che fin dal 1981 aveva
concluso che il plagio non esiste, eliminando il relativo reato dal
nostro ordinamento. Ma il difetto sta piuttosto
nell’impostazione che nell’esecuzione. È
serio studiare un movimento religioso con criteri soltanto
quantitativi, eliminando cioè dallo studio tutte le sue
caratteristiche specificamente religiose?
Se
si vuole risalire, al di là degli argomenti di circostanza,
al cuore del problema, occorre quindi mettere in discussione le
premesse stesse da cui partono libri come quelli di Gordon Urquhart o
di María del Carmen Tapia.
Naturalmente
vi è un prezzo da pagare: una volta rifiutata
l’accettazione acritica di quanto raccontano gli "ex", le
teorie del "lavaggio del cervello" e la definizione quantitativa di
"setta" a proposito dei Focolarini, dell’Opus Dei o delle
suore di Madre Teresa di Calcutta, non sarà più
possibile utilizzare le stesse teorie neppure per criticare i testimoni
di Geova o i seguaci del reverendo Moon. Forse non è un gran
male: anche nei confronti di questi gruppi anni di esperienza insegnano
che le critiche quantitative e non religiose lasciano il tempo che
trovano, mentre soltanto prendendo sul serio le dottrine dei nuovi
movimenti religiosi e criticandole sul piano, appunto, religioso
è possibile difendere seriamente la fede cattolica.