Codice
da Vinci: molti soldi, poca qualità
Ci
hanno pensato per almeno un anno, aspettando che il libro diventasse un
best seller internazionale e che Hollywood decidesse di trame un film.
Poi, qualche settimana fa, hanno deciso che il momento era arrivato: Il
Codice Da Vinci, il fortunato thriller pseudoesoterico dell'americano
Dan Brown (in Italia lo pubblica Mondadori) si meritava una causa per
plagio.
A
minacciarla sono Michael Bagent, Richard Leigh e Henry Lincoln, autori
già nel lontano 1982 di un saggio su Il Santo Graal ormai
considerato un classico del sottogenere misterico-templare. Al terzetto
dovrebbe unirsi Lewis Perdue, che con un romanzo dell'83, The Da Vinci
Legacy, avrebbe spianato un altro buon tratto della strada oggi
trionfalmente percorsa da Brown. Il quale, a ogni buon conto, continua
a sorridere dalla foto di copertina dei suoi libroni.
Non
soltanto Il Codice Da Vinci, che in tutto il mondo ha venduto qualcosa
come dodici milioni di copie, ma anche Illuminati, fresco
d'importazione in Italia e in Italia, per la precisione in Vaticano,
ambientato.
Un
successo inspiegabile, quello di un thriller neppure troppo
sofisticato, con personaggi appena abbozzati e una trama che sembra
scaricata direttamente da uno dei tanti siti lntemet che promettono di
rivelare tutto, ma proprio tutto sulle nozze fra Gesù e
Maria Maddalena? Si, perché proprio questa sarebbe la
fantomatica "linea di sangue del Graal": un albero genealogico che
pretende di ricostruire la discendenza terrena di Cristo, nel tentativo
di fornire rinnovata credibilità a una delle più
note leggende politiche del Medioevo.
Rivendicata
inizialmente dai Merovingi, la successione dinastica di tipo messianico
tornò infatti a essere invocata in Inghilterra durante la
guerra delle Due Rose, lasciando dietro di sé un
contraddittorio lascito di indizi, specie a livello simbolico. E non a
caso il protagonista del romanzo di Brown è uno studioso di
simbologia, Robert Langdon, trascinato attraverso mezza Europa per
risolvere gli enigmi del Priorato di Sion, la notoria
società segreta che vigilerebbe sul Graal. Ma sì,
quella alla quale apparteneva anche Leonardo da Vinci, la Gioconda, il
Louvre, avete presente?
Torniamo
a domandarcelo: un successo inspiegabile, questo del Codice Da Vinci?
Probabilmente no. Il libro non sarà ben scritto, ma ha una
sua rozza efficacia. Più che altro, non trascura nessuno dei
luoghi comuni cari al pubblico anglosassone e quindi, per effetto della
globalizzazione, al lettore medio dell'Occidente industrializzato.
A
farne le spese è anzitutto la Chiesa cattolica, con l'Opus
Dei ridotta al rango di una Spectre della spiritualità (ma
nelle ultime pagine Dan Brown si rivela abbastanza astuto da assolvere
la prelatura dai peccati che le ha fatto commettere...). Roma, infatti,
non vorrebbe che fosse divulgata la verità del Graal.
Essendo un'istituzione maschilista, si ripete nel libro, la Chiesa
aborrirebbe il femminino sacro di cui la Maddalena sarebbe portatrice.
Peccato
che, in cinquecento pagine abbondanti, l'autore non abbia trovato
spazio per ragionare un po' sul ruolo dell'altra Maria, la Madre di
Gesù, figlia del suo Figlio e corredentrice. E, proprio per
questo, assai poco popolare presso il pubblico al quale Dan Brown
strizza un occhio, aiutandolo così a chiuderne due.