Mons.
Escrivá maestro di contemplazione
Nel
delineare l'itinerario di una solida vita interiore, mons. Josemaria
Escrivà esortava con affettuosa comprensione ma insieme con
ardimento mistico i cristiani a "entrare" nelle piaghe di Cristo
crocifisso. Per il cristiano, infatti, la Croce è la "via
regia" della salvezza, e non a caso la contemplazione della Passione
del Signore è uno dei motivi costanti della
spiritualità del fondatore dell'Opus Dei: un modo antico e
pur sempre nuovo di tendere alla santità e di portare
l'annuncio della salvezza additando il legno che ha sostenuto i martiri
e illuminato i santi di tutti i tempi. Oggi ulteriori e più
ampi spunti di meditazione sono offerti dalle pagine di un'opera
postuma di mons. Escrivà pubblicata dalle Edizioni Ares,
"Via Crucis", alla quale Cornelio Fabro dedica questo saggio di
teologia mistica nel quale il maestro di speculazione metafisica
dimostra, sulla scia di san Tommaso, un finissimo discernimento degli
spiriti e una profonda pietà cristiana. In questa "Via
Crucis" — rileva il prof. Fabro — c'è lo
stile dell'autentico discepolo di Cristo che sa vedere lontano e
scorgere il Signore Gesù presente da principio alla fine
nell'abisso dei secoli che scorrono; c'è lo stile di chi ha
offerto la propria vita sacerdotale da consumare per i fratelli
nell'irradiazione della Croce, divenuta per tutti i cristiani suprema
cattedra della verità di Dio e dell'uomo.
Il
tema della Passione del Signore è uno dei motivi costanti
della spiritualità del fondatore dell'Opus Dei: non a caso
la denominazione completa dell'Opera da lui fondata è
Società Sacerdotale della Santa Croce (Opus Dei). Basti
anche notare che nell'esposizione di uno degli argomenti prediletti,
quello della libertà del cristiano —
com'è stato da me ricordato in occasione della sua preziosa
morte (1)
—, egli guarda alla Croce stimolando i fedeli a uscire nel
mare aperto della vita ecclesiale "con la libertà dei figli
di Dio, che Cristo ci ha guadagnato morendo sul legno della Croce" (2).
Un
modo nuovo — nuovo nell'attività e antico nella
spiritualità — di tendere alla santità
e portare l'annuncio della salvezza, in un'epoca (come la nostra) senza
Dio, additando il legno che ha sostenuto i martiri e illuminato i santi
di tutti i tempi: la Croce di Cristo, golfo mistico di ogni anima
cristiana che guarda oltre il tempo ed è 'in cammino" per
l'eternità. Un tema ostico per il mondo, e forse anche per
molti cristiani dei nostri tempi facili ai compromessi: amare la croce,
sopportare tutto il corteo di tribolazioni che offre la vita,
è un dono di Dio, quasi il profumo di una rosa che il Padre
celeste fa fiorire nel deserto turbinoso della vita moderna.
Eppure,
per il cristiano la Croce è la via regia della salvezza:
oggi per mons. Escrivà, come ieri per l'ispirato autore
dell'Imitazione di Cristo. «Contemplativi nell'azione e
attivi nella contemplazione», può essere il motto
dell'Opera di questo umile sacerdote trascinato dallo Spirito Santo,
come quasi otto secoli fa fu san Francesco che — insignito
delle Piaghe di Cristo — fu chiamato a sostenere la
barcollante "Casa di Dio". Tracciando l'itinerario di una robusta vita
interiore, mons. Escrivà esorta con affettuosa comprensione
ma insieme con ardimento mistico: «Mettiti nelle Piaghe di
Cristo Crocifisso. Lì apprenderai a custodire i tuoi sensi,
avrai vita interiore e offrirai continuamente al Padre i dolori del
Signore e quelli di Maria per pagare i tuoi debiti e tutti i debiti
degli uomini» (3). È questo il testo con
il quale il suo successore nella direzione dell'Opus Dei, don Alvaro
del Portillo, presenta la Via Crucis, ricavata anch'essa dalle sue
predicazioni e conversazioni domestiche (J. Escrivà, Via
Crucis, Ares, Milano 1981, pp. 123, L. 9.000). «Per questo
— diceva ancora — ho da sempre consigliato la
lettura di buoni libri che narrino la Passione del Signore. Tali
scritti, pieni di sincera devozione, ci fanno pensare al Figlio di Dio,
uomo come noi e vero Dio, che ama e che soffre nella sua carne per la
redenzione del mondo» (4).
La
"contemporaneità" con Cristo
Questa Via Crucis ci introduce nel giardino ove fioriscono i fiori
della compunzione del cuore, la quale, fondata sulla meditazione della
Passione di Cristo, informa dall'interno la spiritualità che
Dio ha voluto per l'Opus Dei. L'aggiornamento della vita del cristiano
nel mondo contemporaneo è la "contemporaneità"
con Cristo, con la sua Croce, la quale, secondo mons.
Escrivà — e anche questo è un ritorno
alle origini della spiritualità cristiana che spesso ricorda
il timbro squillante di santa Caterina da Siena —, se
è stata tanto dolorosa per Lui, è divenuta per
noi fonte di felicità: «Pensa che Dio ti vuole
contento e che, se da parte tua farai tutto il possibile, sarai felice,
molto felice, felicissimo, anche se in nessun momento ti
mancherà la Croce» (5). E ora con fierezza:
«La Croce non è più un patibolo,
è il trono dal quale Cristo regna» (6). E
con Gesù viene Maria, l'altro grande amore di mons.
Escrivà: «E, accanto, c'è sua Madre,
che è anche Madre nostra. La Vergine santa ti
otterrà la fortezza di cui hai bisogno per camminare con
decisione sulle orme di suo figlio» (7).
Un'atmosfera di serenità e di fiducia in Dio, quasi un
profumo di "dolore d'amore", come leggiamo ancora nella Presentazione:
un "nuovo stile" di spiritualità, di tendere cioè
alla perfezione. Ma questa nostra espressione è zoppa,
certamente assai impropria: eppure vuole cogliere
l'originalità — e questa è innegabile
— della spiritualità d'un autore, che è
quella di non voler essere originale, per attenersi sine glossa al
Vangelo, per conformarsi, come l'Apostolo, a Cristo crocifisso.
La
fonte evangelica
Ora non resta che rinviare il lettore al testo, finora inedito, che
passa in rassegna le 14 stazioni della Via Crucis secondo l'ordine
tradizionale (I. Gesù è condannato a morte; II.
Gesù è caricato della Croce; ecc.). Precede,
nello sviluppo di ogni stazione, una robusta e spesso emozionante
meditazione del particolare mistero di dolore presente in quel momento
dell'itinerario di Gesù verso il Calvario, che l'edizione
presenta in caratteri più grandi; seguono i "Punti di
meditazione" (sempre in numero di cinque).
L'unica
fonte, quasi una presenza continua in filigrana, è il testo
del Vangelo e dei Profeti, poiché l'Autore intende mostrare
il legame di continuità dei due Testamenti che trovano in
Cristo, e in particolare nella sua Passione e Morte, la propria sutura
spirituale. Nessun disturbo di altre citazioni pie o dotte, e neppure
— anche se può sorprendere — aggiunte o
indicazioni di preghiere, invocazioni...: soltanto meditazione,
perché la contemplazione del mistero di dolore che il Figlio
di Do ha affrontato per noi deve colmare tutta l'anima. Ecco
l'edificante essenziale. Ogni commento diventa superfluo, anzi
guasterebbe; come nei migliori testi della mistica, anche qui l'unica
chiave di lettura è il raccoglimento. Basteranno
perciò poche scarne indicazioni.
Colpisce
anzitutto l'insistenza sul tema del peccato: «Uomini,
sì, ma con orrore per il peccato grave. Uomini che
aborriscono le mancanze veniali e che, pur avendo la quotidiana
esperienza della propria debolezza, conoscono bene anche la fortezza di
Dio» (p. 60). Ancora: « La debolezza del corpo e
l'amarezza dell'anima [sono i "dolori mentali" di Cristo nella
terminologia tradizionale] hanno provocato la ricaduta di
Gesù. Tutti i peccati degli uomini — anche i miei
— pesano sulla sua Santissima Umanità»
(p. 65). Fra questi dolori emerge la solitudine, l'abbandono in cui
è lasciato Cristo: «[Davanti a Pilato]
Gesù è solo. Sono lontani i giorni in cui la
parola dell'Uomo-Dio accendeva luce e speranza nei cuori, le lunghe
file di malati che venivano guariti, i clamori trionfali di Gerusalemme
quando il Signore giunse cavalcando un mite asinello» (p.
22). E mentre Gesù aspetta di essere crocifisso:
«È lo spogliamento, la svestizione, la
povertà più assoluta. Non è restato
nulla al Signore, eccetto un legno» (p. 88). E dopo la
crocifissione: «Con Gesù restano soltanto sua
Madre, alcune donne e un adolescente. Gli apostoli, dove sono? E coloro
che furono guariti dalle loro malattie: gli zoppi, i ciechi, i
lebbrosi?... E quelli che lo acclamarono?... Nessuno risponde! Cristo,
circondato dal silenzio» (pp. 106 e s.). E prima, alla IX
Stazione: «Tutti contro di Lui...: gli abitanti della
città e gli stranieri, e i farisei e i soldati e i principi
dei sacerdoti... Tutti carnefici. Sua Madre — mia Madre
—, Maria, piange» (pp. 79 e s.). E conclude
esclamando: «Dio mio, fa' che io odii il peccato e mi unisca
a Te, abbracciandomi alla Santa Croce, per compiere anch'io la tua
Volontà amabilissima» (p. 80). E ora un'effusione
di amore a Cristo crocefisso, il triumphus crucis di mons.
Escrivà: «Amo tanto Cristo in Croce, che ogni
crocifìsso è come un affettuoso rimprovero del
mio Dio: ... Io che ti chiedo, e tu... che mi dici di no» (p.
98). Segue l'esclamazione: «Che belle le croci sulle vette
dei monti, in cima ai grandi monumenti, sul pinnacolo delle
cattedrali!... Ma la Croce bisogna issarla anche nelle viscere del
mondo» (p. 98). Di qui il progetto, quello di un san Paolo di
oggi: «Gesù vuole essere innalzato proprio
lì: nel rumore delle fabbriche e delle officine, nel
silenzio delle biblioteche, nel frastuono delle strade, nella quiete
dei campi, nell'intimità delle famiglie, nelle assemblee,
negli stadi... Lì dove un cristiano può spendere
la sua vita onestamente, deve porre col suo amore la Croce di Cristo,
che attrae a Sé tutte le cose» (p. 98).
Soprannaturale
efficacia
Questo è lo stile di uno che sa vedere lontano, scorgendo
Cristo presente da principio alla fine nell'abisso dei secoli che
scorrono; è lo stile di chi ha offerto la propria vita
sacerdotale da consumare per i fratelli nell'irradiazione della Croce.
L'aveva detto a Gesù egli stesso esplicitamente, con forte
dedizione e umile commozione: «... Sono tuo, e mi consegno a
Te, e mi inchiodo alla Croce volentieri, per essere nei crocevia del
mondo un'anima dedicata a Te, alla tua gloria, alla Redenzione, alla
corredenzione di tutta l'umanità» (p. 96).
Iddio gli ha dato la soddisfazione — concessa a pochi, a ben
pochi anche fra i fondatori che hanno aperto con maggiore impeto dello
Spirito la via a Cristo e alla Chiesa nel groviglio della storia del
mondo — di vedere l'Opus Dei presente oggi in tutti i
valichi, nelle pianure e sui monti dell'uomo contemporaneo, ormai in
tutti i continenti. Il segreto di tanta soprannaturale efficacia
è rivelato, con pudore e gioia riconoscente, sempre nella
meditazione della crocifissione di Gesù che stiamo leggendo,
ed è un ritorno del tema essenziale della sua vita di
sacerdote e fondatore: «Dopo tanti anni, quel sacerdote fece
una meravigliosa scoperta: comprese che la Santa Messa è un
vero lavoro: operatio Dei, lavoro di Dio. E quel giorno, nel
celebrarla, provò dolore, gioia e stanchezza.
Sentì nella sua carne la spossatezza di un lavoro
divino» (pp. 98 e s.).
Ed ecco profilarsi, sull'orizzonte dell'anima, sbigottita ma fiduciosa,
il desiderato conforto: «Anche a Cristo richiese sforzo la
prima Messa: la Croce» (p. 99). E subito l'anima si accende
nella luce del Segno della salvezza e prorompe in un invito d'amore:
«Prima di cominciare a lavorare, metti sul tavolo o accanto
ai tuoi attrezzi di lavoro, un crocifisso. Ogni tanto, lanciagli uno
sguardo... Quando giungerà la fatica, i tuoi occhi si
volgeranno a Gesù, e troverai nuova forza per proseguire nel
tuo impegno» (p. 99). Ecco il segreto dell'amore, la certezza
dell'approdo alla salvezza che non delude: «Perché
quel crocifisso è più che il ritratto di una
persona amata — i genitori, i figli, la moglie, la
fidanzata... —; Egli è tutto: tuo Padre, il tuo
Fratello, il tuo Amico, il tuo Dio, e l'Amore dei tuoi amori»
(p. 99). È il suo testamento spirituale!
"In
memoria cordis"
Mons. Escrivà resterà nella storia della
spiritualità cristiana accanto a san Paolo, l'Apostolo del
Nome di Gesù e della sua Croce; a san Bernardino, il cantore
del Nome di Gesù: a santa Teresa di Gesù, che ha
scelto nel suo Nome la trasfigurazione in Cristo della sua anima,
ardente come la terra di Castiglia; all'estatica stimmatizzata Gemma
Galgani, che illumina del Nome di Gesù ogni riga delle sue
lettere e del racconto delle sue estasi... Nell'opera fondata da mons.
Escriva, che è cresciuta e si espande nella Chiesa come il
granello di senape del Vangelo, si annunzia una nuova primavera: tutto
diventa una "testimonianza" della Croce di Gesù, un continuo
palpito di amore per il suo Nome.
È
così che, prima ancora del Vaticano II, egli ha concepito,
con impeto profetico, il posto in prima linea — con la guida
della gerarchia — dell'apostolato dei laici, con una
vocazione autentica alla santità. Per questo lasciamo ora al
lettore attento di proseguire la lettura: non soltanto con gli occhi,
ma magari con voce sommessa, facendo ogni tanto qualche piccolo indugio
con la mente e con il cuore... per gustare in memoria cordis la
delicatezza forte e la dolcezza eroica di questo messaggio,
così insolito nella babele della pubblicistica religiosa del
nostro tempo.
È
un messaggio, lo ripetiamo, di alta mistica, ma d'impegno pratico alla
portata di ognuno: è la luce di un nuovo mattino che avanza
verso il giorno della Chiesa del futuro. È l'insegnamento
della terza caduta di Gesù sotto la Croce:
«Umiltà di Gesù. Annichilimento di Dio
[ecco la chénosi autentica, come garanzia di salvezza e
grazia di avere accanto il Modello che ci risolleva e ci
esalta» (p. 81). E ora un bagliore di fuoco per una nuova
Pentecoste di amore: «Capisci adesso perché ti ho
consigliato di mettere il tuo cuore per terra perché gli
altri camminino sul soffice?» (p. 81). Come? Vivendo la
Passione del Signore: la solidarietà di amore con Cristo
nasce dalla partecipazione al suo dolore. Lui innocente e noi
peccatori: «Adesso capisci quanto hai fatto soffrire
Gesù, e ti riempi di dolore» (p. 83).
Un'ultima
citazione ancora. Meditando la morte di Cristo sulla Croce, sgorga
l'invito a guardare in alto: «Trova rifugio nelle piaghe
delle sue mani, dei suoi piedi, del suo costato. E si
rinnoverà la tua volontà di ricominciare, e
intraprenderai di nuovo il cammino con maggiore decisione ed
efficacia» (p. 107). E non teme di condannare "una falsa
ascetica [e si potrebbe anche aggiungere una "rappresentazione del
Crocifisso" che si incontra di frequente nelle chiese e pinacoteche
della sua grande Spagna] che presenta il Signore sulla Croce torvo,
ribelle" (p. 107), come anche il Cristo morto di Holbein il Giovane,
tutto orrore e spavento (evocato da Dostoevskij nei Fratelli
Karamazov), che minaccia gli uomini. Ed è forse la prima e
unica volta che 1'Autore esce in una fiera protesta, ma è
una protesta di amore: «Questi tali non conoscono lo spirito
di Cristo. Ha sofferto quanto ha potuto — e, essendo Dio,
poteva molto! —; ma amava più di quanto
soffrisse... E dopo la morte, permise che una lancia aprisse un' altra
piaga, perché tu e io trovassimo rifugio accanto al suo
Cuore amabilissimo» (p. 107).
Il
commento iconografico
L'editore ha accompagnato il testo con la riproduzione a colori della
commovente Via Crucis di Giandomenico Tiepolo in San Polo a Venezia,
che non ha l'uguale nell'arte cristiana: Cristo, dal volto ancora
giovanile e atteggiato a suprema dolcezza, attira su di sé
lo sguardo di amici e nemici, e a tutti porge un gesto del suo Amore.
Forse non si poteva trovare un commento per gli occhi che credono
più plastico e intenso: solo la grande Crocifissione del
Tintoretto alla Scuola di San Rocco può reggere il
confronto. Ma qui la grandiosità e drammaticità
della rappresentazione la rende aggressiva, quasi da portare alla
disperazione: non così Giandomenico Tiepolo, che compone i
gruppi umani attorno a Cristo, di uomini e donne, di piccoli e grandi,
di amici e nemici, in atteggiamento di pari attonita sorpresa, anche se
con opposti sentimenti.
Così
il testo di mons. Escrivà s'illumina sulle tele di
Giandomenico Tiepolo del fascino smagliante della vita veneziana del
Settecento; e questa a sua volta, e con essa il dramma della vita
dell'uomo, mostra come l'arte della fede (che è la fede
dell'arte) possa incontrarsi col messaggio di consolazione e d'impegno
per la fede di un sacerdote santo. L'arte cristiana, quella che
s'illumina della fede come questa del Tiepolo, arriva molto
più in là della filosofia, perché
guarda a Cristo con gli occhi dell'amore e sa esprimere nella
figurazione la trascendenza di una speranza di suprema consolazione che
è offerta a ogni uomo: anche all'uomo d'oggi in cammino,
assordato dal fragore delle macchine e insidiato dalle trappole della
politica atea. Un libro quindi di meditazione singolare, un protrettico
per l'uomo d'oggi, che esige l'ascolto essenziale dal fondo dell'anima
che cerca, guardando alla Croce, l'itinerario che porta al golfo
misterioso dell'amore eterno.