Escrivá
e l'oscura traccia del volere di Dio
«Un
modo per potersi capire con Dio»: mi ha colpito leggere
questa espressione nella presentazione di una biografia del Beato
Josemaria Escrivà, scritta da Andres Vazquez de Prada
(«II Fondatore dell'Opus Dei», Leonardo
International, Milano 1999). L'autore applica tale espressione, che mi
pare assai felice, alla stesura degli «Appunti
intimi», alcuni quaderni dove quel giovane sacerdote (siamo
attorno al 1930), andava trascrivendo le ispirazioni interiori, le
preghiere, le attese spirituali, le ferme decisioni di penitenza, che
intessevano il suo rapporto personale con nostro Signore, il suo sforzo
sincero di comprenderne la volontà.
La
lettura del volume ha suscitato in me più di una volta una
risonanza immediata e molto concreta. Ad esempio nel seguire la fatica
e insieme la determinazione con cui Escrivà
affrontò e superò le difficoltà della
vita nel seminario, non sempre facile a motivo dei dileggi iniziali di
cui lo facevano segno i compagni: «il signorino»,
lo chiamavano a motivo del suo innato senso dell'ordine e della
pulizia, oppure «rosa mystica», appellativo
canzonatorio della sua trasparente vita di pietà e in
particolar modo della devozione alla Madonna del Pilar, che nella sua
Basilica di Saragozza ne riceveva le appassionate visite quotidiane.
Né mancarono le difficoltà da parte dei
superiori, solo in seguito conquistati dalla sua serenità,
che nascondeva appunto la ferrea determinazione di fare la
volontà di Dio, non ancora apertamente concretatasi nella
fondazione dell'Opus Dei: «E io, mezzo cieco, stavo ancora
aspettando il perché — annotava nel suo quaderno
—. Perché mi faccio sacerdote? Il Signore vuole
qualche cosa, ma che cosa? E in un latino decadente, afferrandomi alle
parole del cieco di Gerico, ripetevo: Domine, ut videam, ut sit! Che
sia ciò che tu vuoi e che io ignoro».
La
fatica del seminario la ritroviamo poi nei primi anni successivi
all'ordinazione sacerdotale, avvenuta nel marzo del 1925. Dapprima in
parrocchie rurali, poi qualche incarico di ripiego a Saragozza; infine
la decisione di andare a Madrid, per laurearsi in Legge, ma soprattutto
per seguire l'oscura traccia del volere divino che lo conduceva per
mano. Molto interessante per gli storici è la ricostruzione
dell'ambiente clericale della Madrid degli Anni 20 e 30, stracolma di
sacerdoti extradiocesani che il Vescovo cercava di allontanare. In
questo clima il Beato Josemaria si dedica all'apostolato con poveri e
malati. Mi limito qui a dire come egli in queste attività
abbia sottolineato in maniera molto bella il mistero eucaristico e
quello della riconciliazione, nel quale dedicò ore e ore di
confessionale; ritroviamo qui evidentemente una linea caratterizzante
il ministero dei sacerdoti dell'Opus Dei. Ma non solo: il ministero
sacerdotale veniva da lui concepito non come ministero di attesa delle
persone, ma come un ministero di andare in cerca di tutti, senza
discriminazione alcuna.
Anche qui a me pare di trovare un seme che troverà sviluppo
nella costruzione dell'Opus Dei.
E
si aggiunge la prospettiva della Croce, sotto forma della persecuzione.
A cominciare dall'assassinio del Cardinale di Saragozza, Soldevila, il
cui cadavere Escrivà vegliò tutta la notte, il
giovane sacerdote si trovò a dover fare i conti con la
persecuzione religiosa, dapprima sotto la forma di odio e vessazioni
contro i preti, poi con l'incendio di chiese e conventi e in ultimo (ma
questo volume, primo di tre, si ferma un attimo prima, al 1936) gli
assassini di sacerdoti, religiosi e laici cattolici. Croce?
Persecuzione? Nella Bolla di Indizione del Giubileo del 2000 il Santo
Padre ricorda il martirio come possibilità che rientra
nell'orizzonte normale di un cristiano che intende vivere la sequela di
Cristo; i martiri, scrive il Papa, non possono essere soltanto
l'oggetto della nostra ammirazione, della nostra preghiera, ma devono
essere anche un richiamo a tenere viva la disponibilità
personale al dono totale di sé per amore di Dio e per amore
dell'uomo. Con questa prospettiva vicina del martirio, il Beato
sopportò con gioia e fede tutte le innumerevoli croci che
ebbe. E qui entra l'aspetto della fedeltà, cioè
essere fedeli a Cristo, sempre; non soltanto nei momenti in cui si
è in qualche modo aiutati dal sentimento,
dall'emotività, ma anche nei momenti di fatica esteriore e
interiore.
L'ultima
prospettiva cui voglio fare riferimento è una che coglie
forse l'aspetto centrale del carisma dell'Opus Dei ed è la
vocazione universale alla santità. Una santità da
realizzarsi nel mondo e con le attività quotidiane. A questa
prospettiva il Beato fu preparato — certamente con la guida
dello Spirito — proprio dalla sua esperienza di vita.
Leggendo il volume è bello e significativo immetterci nella
scia di questa idea, segnalata, prima che con la costruzione dell'Opus
Dei, con la vita interiore del suo Fondatore. E penso che la grande
sfida del mondo attuale, che il Sinodo dei Vescovi sull'Europa si
accinge a definire per quanto riguarda il nostro continente,
è proprio la sfida della santità. Nel libro
«Solco», il Beato Josemarìa ha scritto
una cosa suggestiva: «La tua vocazione di cristiano ti deve
chiedere di stare in Dio e al tempo stesso di occuparti della cose
della terra, adoperandole oggettivamente così come sono, per
restituirle a lui».
Se
vogliamo che il nostro occuparci delle cose della terra risponda a
questa sfida prioritaria deve valere per tutti e per ciascuno questo
«stare in Dio»; ed è proprio il Papa,
nella «Tertio millennio adveniente» a definire la
religione cattolica come la religione del rimanere in Dio.