L'Opus
Dei, la donna, le famiglie
D
- Quanto si dice dell'Opus Dei vale a ugual titolo per l'uomo e per la
donna? Oppure la donna è tenuta in un ruolo subordinato?
R
- Il beato Josemaría ho propugnato come pochi il ruolo della
donna nella vita civile e nella Chiesa. L'Opus Dei ne dà
testimonianza pratica, aprendo alle donne tutte le prospettive
derivanti dalla santificazione in mezzo al mondo.
Non
ci sono professioni o situazioni in cui la donna non debba intervenire,
portando quel patrimonio di caratteristiche che le sono proprie e senza
le quali la società - tutte le società, dalla
famiglia al consorzio internazionale - sarebbero incomplete.
In
questa luce egli sottolineava l'incongruità di svalutare
ambiti sociali tipicamente femminili, nei quali la donna ha da sempre
apportato benefici insostituibili. Si riferiva anzitutto alla presenza
della donna in famiglia e nelle faccende domestiche, che non hanno
nulla di indecoroso. Tutt'altro: sono il mestiere esercitato dalla
Madonna, la più perfetta tra le creature, e un ambito di
servizio che contribuisce in maniera decisiva agli equilibri umani e
civili, fra i quali primeggia quello principalissimo della famiglia
cristiana, il cui consolidamento e arricchimento è
fondamentale per la sopravvivenza di una civiltà che possa
dirsi umana.
D
- Qualcuno sostiene che l'Opus Dei divide le famiglie. Questo
sia nel caso in cui uno soltanto dei coniugi appartenga
all'istituzione, sia quando si inducono alla vocazione persone giovani,
non ancora mature. E' vero?
R
- Quando a una persona viene concessa l'ammissione all'Opus Dei, devono
essere ben chiariti due aspetti: l'esistenza della "vocazione", che
è una chiamata di Dio e non un sentimento o un entusiasmo, e
la libera risposta dell'interessato. Se mancano la vocazione o la
libertà, non c'è materia per appartenere all'Opus
Dei.
D'altra
parte la vocazione è un fatto personale, che un uomo o una
donna considera alla presenza di Dio. Ed è un fatto che
indirizza la vita intera, specie quando, come in questo caso, deve
concretarsi nel mondo, che è il modo della famiglia e del
lavoro.
Nella
misura del possibile è bene accertarsi che da altri membri
della famiglia non vengano ostacoli insormontabili; ma non è
giusto che siano altri a decidere riguardo a una questione esistenziale
così intima. Circa i rapporti tra familiari, in primo luogo,
la vocazione alimenterà l'affetto e la comprensione.
Sarà
quello il modo per far conoscere e comprendere che è
cambiato qualcosa di profondo. Non c'è altra strada: l'Opus
Dei per il familiare di un membro dell'opera non sarà mai
una teoria; sarà quel membro: il coniuge, il padre, la
madre, il figlio. Se il membro dell'Opus Dei si sforzerà di
vivere bene la propria vocazione, darà, pur con tutti i
propri difetti, l'unico esempio che conta per i familiari.
Per
quanto riguarda la vocazione di figli giovani, conviene ricordare che
non si può essere incorporati all'Opus Dei prima della
maggiore età; è una norma prudente che la Chiesa
prescrive affinché scelte così importanti siano
prese con la dovuta maturità.
Le
altre considerazioni sono tradizionali, e coinvolgono da sempre
l'impegno costituito dalla risposta alla chiamata di Dio. Essa comporta
certamente rinunce e cambiamenti di piani; implica sempre sorpresa e
sconcerto nelle persone vicine. Ma quando la generosità
prevale non c'è motivo cristiano per ostacolare chi in tutta
libertà decide di dedicarsi a Dio, magari abbracciando il
celibato.
Alla
stessa età altre persone si orientano liberamente verso il
matrimonio, senza incontrare difficoltà di alcun tipo. La
prudenza, che è un dovere dei genitori, porterà a
verificare che le disposizioni siano serie e stabili; ma i genitori
devono ricordare che il figlio non è loro
proprietà, che è anzitutto figlio di Dio. Del
resto il fondatore dell'Opus Dei asseriva che ogni figlio deve il
novanta per cento della propria vocazione all'educazione ricevuta il
famiglia; e ai genitori diceva che "se ne aveste fatto un criminale
sarebbe in galera; invece ne avete fatto una persona per bene, ed
eccolo qui".