Opus
Dei tradizionalista?
D
- L'Opus Dei è accusata di essere una forza tradizionalista,
tenacemente attaccata ad aspetti superati in campo religioso e morale.
È vero?
R
- Tutto sta a intendersi su che cosa sia "tradizionalismo" quando si
parla di cristianesimo.
Il
fondatore dell'Opus Dei ha fortemente sottolineato e difeso, come una
caratteristica irrinunciabile dell'Opus Dei, la fedeltà alla
Chiesa come depositum fidei e come istituzione di diritto divino.
Ciò significa che nello spirito dell'Opus Dei è
incisa l'adesione all'integralità del messaggio di Cristo,
così com'è riportato dai Vangeli, riaffermato
dalla Tradizione e proposto dal Magistero.
Rivolgere
a tutti questo messaggio, come l'Opera istituzionalmente si propone,
è l'esatto contrario che ribassarlo o adattarlo
perché divenga un messaggio "di massa", più
accettabile. Il dogma e la morale non appartengono al cristiano;
intaccarli equivale a privarli del copyright divino che ne garantisce
verità ed efficacia. La santità è una
realtà esigente. L'Opus Dei vuole far eco alla Chiesa nel
segno della pienezza, anche quando fosse una pienezza scomoda.
Se
questo per qualcuno è tradizionalismo, pazienza: per i
cristiani è cristianesimo.
Del
resto, come già sottolineato, la novità e
fecondità del messaggio affidato a Josemaría
Escrivà sono stati pienamente evidenziati dalla storia
successiva al 1928, anno di fondazione dell'Opus Dei. Dal concilio
Vaticano II a oggi, dopo l'erezione in prelatura e la beatificazione
del fondatore, tutto dimostra che l'Opera è "segno dei tempi
nuovi" della Chiesa e nella Chiesa.
In definitiva, più che di tradizionalismo si può
in qualche modo parlare di "radicalismo": lo sforzo è di
essere pienamente fedeli, pienamente cristiani. Soltanto quando si
cerca di vivere in questo modo si comprende che cosa realmente sia il
pluralismo: pluralismo nell'unica verità, non pluralismo di
verità.
Qualcuno
trae partito da affermazioni come quest'ultima per accusare l'Opus Dei
(e certo non soltanto l'Opus Dei, ma molte altre istituzioni,
associazioni e movimenti che operano nella Chiesa cattolica) di
"fondamentalismo", vale a dire di assumere una posizione ciecamente
dogmatica e intransigente. Al di là di altre argomentazioni
- fra le quali primeggia la constatazione che gli "antifondamentalismi"
contemporanei si distinguono per avversare qualsiasi concezione globale
razionale, e dunque in definitiva gli obiettivi prediletti sono il
cristianesimo e la Chiesa in quanto tali -, si può osservare
che le caratteristiche salienti di istituzioni cristiane del genere,
pur nella diversità dei carismi, non risiedono nella
sottomissione rispetto alla Chiesa-istituzione o in un'assunzione
fanatica (appunto, fondamentalista) di verità parziali della
fede, bensì nella disposizione di ogni membro a confessare
la fede e a sforzarsi per viverla nelle sue concrete conseguenze.
Questo,
evidentemente, comporta effetti visibili in famiglia, nel lavoro, nella
vita sociale. D'altra parte, se essere coerenti con la fede non vuoi
dire obbligare chicchessia ad adeguare la propria coscienza
(intolleranza che non avrebbe niente di cristiano), la genuina
tolleranza non ha mai significato spogliarsi di ogni intima convinzione.