La santificazione del lavoro
1.
I grandi princìpi
Un testo del fondatore consente di cogliere nella
sua globalità la concezione della santificazione da lui predicata:
"Chi pensasse che la vita soprannaturale si edifica volgendo le spalle
al lavoro, non comprenderebbe la nostra vocazione; per noi infatti il lavoro
è il mezzo specifico di santificazione.
La nostra vita interiore - di contemplativi nel bel mezzo della strada - scaturisce e prende slancio dalla vita esteriore di lavoro di ciascuno. Non separiamo la nostra vita interiore dal lavoro apostolico; sono tutt'uno. Il lavoro esteriore non deve provocare nessuna interruzione nella preghiera, così come il battito del nostro cuore non distrae l'attenzione che dedichiamo alle nostre attività, quali che siano".
Mons. Escrivà mostra tutta la portata del passo del libro della Genesi (2, 15) dov'è scritto che l'uomo è stato creato ut operaretur, per lavorare. Se è questa la condizione dell'uomo, il lavoro ordinario è il perno della sua santificazione e lo strumento soprannaturale e umano appropriato per aiutare gli altri uomini, suoi fratelli.
L'affermazione divina è posta prima del peccato originale dei nostri progenitori. Pertanto il lavoro è una funzione che appartiene all'essenza dell'essere umano. Soltanto l'aspetto faticoso delle attività umane fa parte del castigo conseguente al peccato originale. Il lavoro, in sé stesso, è cosa buona e nobile. L'uomo si realizza pienamente lavorando in modo cosciente e responsabile; donde la sua superiorità sugli altri esseri creati.
Il lavoro, inteso nel senso più ampio, fa dunque parte del piano di Dio per l'uomo: "È il mezzo con cui l'uomo partecipa all'opera della creazione; pertanto il lavoro, qualunque esso sia, non solo nobilita l'uomo, ma è anche uno strumento per raggiungere la perfezione umana - terrena - e la perfezione soprannaturale".
Co-creatore, l'uomo è anche, in unione a Dio, corredentore. Il lavoro, infatti, essendo stato assunto da Cristo, che volle apprendere da san Giuseppe il mestiere di carpentiere, si presenta come una realtà a sua volta redenta. Non è soltanto una cornice nella vita dell'uomo, bensì strumento e cammino di santificazione: una realtà santificante e santificabile.
Il lavoro professionale appare allora come il perno attorno ai quale gira l'intero compito della propria santificazione. In base a questo principio, il fondatore dell'Opus Dei poteva sintetizzare il destino dell'uomo sulla terra con queste parole: "Santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro, santificare con il lavoro". L'ordine delle tre proposizioni non è casuale; esso esprime la convinzione di mons. Escrivà che la santità personale (santificarsi nel lavoro) e l'apostolato (santificare col lavoro) non si realizzano approfittando del lavoro, come se si trattasse di realtà fortuitamente giustapposte e pertanto separabili; bensì attraverso il lavoro, elemento imprescindibile dell'esistenza umana e pertanto destinato a essere santificato in quanto tale (5).
2.
Santificare il lavoro
"Santificare il lavoro" che si realizza nel mondo è il primo
elemento della triplice affermazione appena ricordata. Il mondo in sé
stesso è buono, perché fattura di Dio. L'odio, l'orgoglio, la
violenza, le rivalità, le passioni disordinate che vi si agitano sono
la conseguenza del peccato originale di Adamo ed Eva e dei peccati personali
di ogni uomo, che guastano il mondo e lo allontanano da Dio.
Lo spirito dell'Opus Dei è ottimista riguardo al mondo: il cristiano ha ricevuto la missione di restituirgli la bontà originale riconducendolo a Dio e facendone occasione di santificazione. Di fronte al "disprezzo del mondo" o al "distacco dal mondo" propri della vocazione religiosa, mons. Escrivà propone l'amore del mondo, "perché esso è l'ambito della nostra vita, perché è il luogo del nostro lavoro, perché è il nostro campo di battaglia - meravigliosa battaglia d'amore e di pace -, perché è in esso che dobbiamo santificarci e che dobbiamo santificare gli altri".
Per il fondatore si tratta di ricondurre a Dio tutta intera la creazione e, come il re Mida che cambiava in oro tutto quello che toccava, fare del lavoro umano "per amore, l'Opera di Dio, Opus Dei, operatio Dei, un lavoro soprannaturale".
Posto questo principio, si può affermare che tutte le mansioni oneste degli uomini, specialmente le loro attività professionali, possono e devono essere santificate. In quanto partecipazione all'opera creatrice di Dio, il lavoro deve essere compiuto dai cristiani in prospettiva soprannaturale, in modo che nessun mestiere possa essere considerato di poco conto. Al servizio di Dio, tutti i mestieri hanno valore, tutti sono di grande importanza perché, in fin dei comi, "la loro importanza dipende dall'amore di Dio che vi mette chi li esercita".
Mons. Escrivà reagiva contro ogni tendenza a dividere gli uomini secondo il maggiore o minor rilievo del loro lavoro: "Che cosa importa a me - diceva - che uno sia ministro o spazzino? Quello che mi importa è che si santifichi nel suo lavoro".
Tale concezione del lavoro permette di prendere in considerazione le possibilità di "mettere Cristo nel cuore di tutte le attività umane", di condurle, cioè, alla loro pienezza, con tutte le conseguenze spirituali che ne derivano. Ne consegue, nel cristiano, una duplice tensione:
A) Per prima cosa, egli deve compiere il suo lavoro con la maggior perfezione di cui sia capace, sia sotto il profilo naturale, sia sotto quello soprannaturale. Perché il lavoro sia santificato, è necessario che chi lo esegue abbia intenzione retta e soprannaturale, concetto che mons. Escrivà riassume così: "Da' un motivo soprannaturale alla tua ordinaria occupazione professionale, e avrai santificato il lavoro".
Per santificare la propria attività è necessario anche saper scoprire il suo ultimo fine - che è Dio, bene supremo -; essa va realizzata, pertanto, con carità e nella speranza. Questo fine ultimo soprannaturale si colloca sul piano della Redenzione; esso assume in sé e perfeziona i fini umani intermedi (fini naturali, sul piano della creazione) che vengono così elevati all'ordine della grazia. Una parte essenziale della santificazione del lavoro ordinario consiste, pertanto, nel curare "la buona realizzazione del lavoro, la sua perfezione naturale, l'esatto compimento di tutti i doveri professionali e sociali".
B) In secondo luogo al cristiano compete un giudizio di valore sull'ambiente in cui vive; potrà dare così il suo contributo ed esercitare il suo benefico influsso per "restituire al mondo la bontà divina del suo vero ordine", secondo la dottrina sociale della Chiesa. Il lavoro imprime sul creato l'orma dell'uomo: gli consente di provvedere ai bisogni della famiglia, di contribuire al perfezionamento della società e al progresso dell'intera umanità. Suscita infatti modi di vita, di coesistenza e di fraternità che, rendendo i propri simili più umani, li dispongono a ricevere il messaggio soprannaturale di salvezza.
3.
Santificarsi nel lavoro
II secondo aspetto della spiritualità del lavoro, nella concezione
dì mons. Escrivà, riguarda la santificazione personale realizzata
attraverso il compimento del lavoro stesso.
"Se mi dicono che Tizio è un buon figlio mio - un buon cristiano -, ma un cattivo calzolaio, che me ne faccio? Se non si sforza di imparare bene il suo mestiere, o di esercitarlo con cura, non potrà santificarlo né offrirlo al Signore; perché la santificazione del lavoro quotidiano è il cardine della vera spiritualità".
Il lavoro appare come il luogo privilegiato dove si forgiano tutte le virtù. Realizzato alla presenza di Dio, il lavoro è infatti preghiera continua, perché mette in esercizio le virtù teologali che costituiscono il vertice della vita cristiana.
A) La carità, in primo luogo, consiste "nell'impregnare ogni azione d'amor di Dio, nel prodigarsi generosamente al servizio degli uomini nostri fratelli, al servizio di tutte le anime". E infatti, chi compie il proprio dovere professionale con vero senso di responsabilità, rende un chiaro servizio alla società, allevia i pesi degli altri e giova anche alle opere di assistenza e di sviluppo a favore di persone e popoli meno fortunati.
I problemi dell'umanità non si risolvono facendo ricorso unicamente alla giustizia. È necessaria anche la carità, come ai tempi degli apostoli, che si sono aperti un cammino nel corrotto mondo pagano proprio per mezzo di questa virtù soprannaturale; la carità è infatti quel "generoso traboccare della giustizia" che porta l'uomo, con la grazia di Dio, a compiere innanzitutto i propri doveri di stato: "Si comincia con ciò che è strettamente giusto; si continua con il criterio dell'equità...". Ma poi, la carità porta a decidere di lavorare per il bene di tutti. Il Signore, in definitiva, pone l'uomo davanti a un'alternativa: o lavorare egoisticamente, o mettere tutte le forze al servizio degli altri.
B) Anche la fede è presente nel lavoro. Da una parte, mons. Escrivà è convinto che l'occupazione ordinaria, per quanto umile e irrilevante possa apparire, ha sempre un grande valore agli occhi di Dio e un suo posto preciso nel piano della salvezza.
D'altra parte, egli sa bene che la presenza di Cristo nel centro dell'anima attualizza la fede, la mette in opera costantemente, favorendo la contemplazione: "La nostra vita è lavorare e pregare e, inversamente, pregare e lavorare. Perché giunge il momento in cui non si sa più distinguere tra questi due concetti, tra queste due parole, contemplazione e azione, che finiscono per significare la stessa cosa nello spirito e nella coscienza". Senza il lavoro, senza il compimento dei doveri personali, non ci può essere per un comune cristiano vita di preghiera, vita contemplativa. Senza vita contemplativa non servirà a molto voler lavorare per Cristo.
C) In terzo luogo, la speranza: speranza di santificarsi per mezzo del lavoro e di ottenere da Dio il premio per il lavoro compiuto, perché quando si agisce nell'ordine della grazia nessuno sforzo è compiuto invano. Accanto alle virtù teologali, il lavoro da santificare mette in esercizio molte altre virtù. Richiede la fortezza per perseverare, giorno dopo giorno, a costo di duri sforzi e malgrado le circostanze avverse, fino a portare a compimento l'opera iniziata, superando le difficoltà e l'eventuale carenza di mezzi, e operando sempre in modo esemplare.
Richiede la prudenza, che ci fa riflettere, momento per momento, su che cosa fare e come convenga farla. Richiede diverse virtù sociali, quali la lealtà e la fedeltà agli impegni presi, ai legami d'amicizia, ai vincoli imposti dal lavoro stesso, ecc. Richiede la naturalezza, che esclude le eccentricità e tutto ciò che non si addice alla propria condizione. Quest'ultima virtù è un segno della maturità umana e spirituale di chi sa assumersi pienamente le proprie responsabilità, avendo però l'umiltà di non cercare di soddisfare sé stesso, perché ama soltanto la volontà di Dio: "Quando senti gli applausi del trionfo, fa' che risuonino nelle tue orecchie anche le risa che hai provocato con i tuoi insuccessi".
In questo modo la vita ordinaria, nella dottrina di mons. Escrivà, rivela la sua grandezza. "Se il fatto di compiere ogni giorno le stesse cose sembra privo di interesse, tedioso e monotono, ciò accade perché manca amore. Quando l'amore è presente, ogni giorno che passa ha un colore nuovo, una vibrazione nuova, un'armonia nuova".
La santità, pertanto, non è riservata a qualche privilegiato, a coloro che hanno ricevuto il sacerdozio o che la professione religiosa separa dal mondo. Il messaggio del fondatore dell'Opus Dei appare risolutamente ottimista, aperto e, insieme, rivoluzionario rispetto al momento storico in cui è stato proclamato: tutti, uomini e donne, di ogni condizione sociale, razza, cultura, lingua, professione o mestiere, giovani e anziani, sposati vedovi e celibi, malati e sani, sacerdoti e laici, possono e devono cercare la santità, come confermerà trentacinque anni più tardi il Concilio Vaticano II.
La santificazione è una sola, la stessa per tutti: consiste nell'"identificarsi" progressivamente con Dio, a immagine e somiglianza del quale l'uomo è stato creato. Ciascuno dovrà tendervi nelle circostanze che gli sono proprie: lavoro professionale, vita familiare, relazioni sociali, tempo libero, ecc.
4.
Santificare col lavoro
La vocazione professionale è intrinsecamente legata all'esistenza cristiana,
e il lavoro è "la lucerna che illumina" colleghi e amici.
Nel pensiero del fondatore, la santificazione delle strutture temporali è
un aspetto essenziale dell'apostolato, che si traduce in un rapporto confidenziale
e amichevole, a tu per tu, con le singole persone. La situazione professionale
e civile di ciascuno intesse la trama di una serie di legami con i colleghi
di lavoro, con altre persone interessate a questo stesso lavoro, con l'ambiente
sociale e familiare; si creano in questo modo rapporti di coesistenza e di
amicizia.
L'amicizia
sincera, vera, disinteressata, propone il bene più grande: Dio stesso.
Da questa amicizia, avvalorata dal sacrificio, nasce spontanea la confidenza.
II cuore dell'amico si apre ai problemi essenziali, agli aneliti più
profondi, alle esigenze intime dell'anima.
"Quelle parole lasciate scivolare proprio al momento giusto all'orecchio dell'amico che vacilla; quella conversazione orientatrice che hai saputo provocare così a proposito; e quel consiglio professionale che migliora il suo lavoro universitario; e la discreta indiscrezione che ti porta a suggerirgli orizzonti insospettati di zelo... Tutto questo è "apostolato della confidenza"".
Secondo l'espressione del fondatore, l'Opus Dei è "una grande catechesi" per combattere, con l'apostolato dell'esempio e della dottrina, contro l'ignoranza, "il più grande nemico di Dio". Tale attività apostolica è principalmente individuale è praticata da ciascuno con la propria presenza tra i colleghi di lavoro. Questa presenza suscita con naturalezza le occasioni per parlare di Dio, di temi spirituali e della vita che ogni cristiano deve condurre nella trama molteplice del quotidiano. Come chi ne ha ben fatto l'esperienza, il fondatore esortava i suoi ascoltatori:
"Lavora dove già sei, adempi i doveri del tuo stato, e compi fino in fondo gli obblighi corrispondenti alla tua professione o al tuo mestiere, maturando, migliorando ogni giorno. Sii leale, comprensivo con gli altri, esigente verso te stesso. Sii mortificato e allegro. Sarà questo il tuo apostolato. E senza che tu ne comprenda il perché, data la tua pochezza, le persone del tuo ambiente ti cercheranno e converseranno con te in modo naturale, semplice - all'uscita dal lavoro, in una riunione di famiglia, nell'autobus, passeggiando, o non importa dove -: parlerai delle inquietudini che si trovano nel cuore di tutti, anche se a volte alcuni non vogliono rendersene conto. Le capiranno meglio quando cominceranno a cercare Dio davvero".
Tale è il servizio che la Chiesa cattolica si attende dai membri dell'Opus Dei, servizio che si compie, come esplicitamente afferma il Decreto Primum inter di approvazione solenne dell'Opus Dei (16 giugno 1950), "per mezzo dell'esempio che essi danno ai loro concittadini, ai loro colleghi e compagni di lavoro, nella vita familiare, sociale e professionale, sforzandosi sempre e dovunque di essere i migliori".
Il lavoro ben fatto ha valore d'esempio. I cristiani vi devono trasfondere tutta la perfezione di cui sono capaci sia sul piano umano (competenza professionale) sia sul piano divino (amore di Dio e servizio alle anime), affinchè tale lavoro sia oggettivamente un'opera ben compiuta. Difficilmente potremo santificare un lavoro non compiuto fino in fondo, fino alla perfezione. Mancando questa compiutezza, sarà anche difficile acquistare quel necessario prestigio professionale che mons. Escrivà considera "la cattedra da cui si insegna agli altri a santificare il lavoro e a conformare la propria vita alle esigenze della vita cristiana".
Donde
il bisogno di una formazione professionale costante per acquisire, nel proprio
campo, tutta la scienza umana di cui si è capaci. Per essere d'aiuto
agli altri, ognuno dovrà cercare di adempiere il proprio compito come
lo adempie il migliore dei colleghi e, se possibile, meglio del migliore.
L'apostolato, pertanto, non può limitarsi a spingere gli altri a compiere
delle pie devozioni, senza legarsi a ciò che costituisce la parte più
cospicua dell'impiego del tempo.
In quanto l'apostolato è "ansia che consuma interiormente il cristiano della strada", esso è intimamente legato al lavoro quotidiano. Prima ancora che all'amicizia e all'apostolato personale a cui conduce, la preoccupazione di santificare gli altri col proprio lavoro si ricollega con l'idea di servizio che si rende al prossimo e alla società con la propria attività professionale ben compiuta.