Il cristiano e la politica
Josemaría Escrivá fin dal 1928 aveva insegnato a quanti gli stavano accanto che i laici cristiani non possono limitarsi a vivere la propria fede nell'ambito del privato. "Aconfessionalismo. Neutralità. Vecchi miti che tentano sempre di ringiovanire - scriveva. Ti sei dato la pena di pensare quanto è assurdo smettere di essere cattolici quando si entra nell'università, nell'Associazione professionale, in un'Assemblea di scienziati o in Parlamento, così come si lascia il cappello alla porta?" (1).
Il futuro santo era convinto che un cristiano avrebbe potuto comportarsi in modo coerente con la propria fede soltanto a patto di conoscerne bene i contenuti. Spiegava inoltre l'importanza della libertà personale, che "acquista il suo autentico significato quando viene esercitata a servizio della verità che redime, quando è spesa alla ricerca dell'Amore infinito di Dio" (2).
Conseguenza di questo spirito di libertà e del fine "eminentemente apostolico" dell'Opus Dei è la pluralità delle opzioni temporali. "Un pluralismo - si legge nella Positio - che risponde all'ampia varietà di estrazione culturale e sociale dei suoi membri e che impedisce in modo assoluto che l'Opus Dei possa svolgere un'azione "di gruppo" in qualsiasi campo, sia esso professionale, economico, sociale, politico, ecc. E pertanto appoggiare specifici interessi di parte".
Scriveva il futuro santo: "Qualora un socio dell'Opus Dei cercasse di imporre (direttamente o indirettamente) una scelta temporale agli altri soci, oppure tentasse di servirsi di loro per conseguire degli interessi umani, verrebbe espulso senza indugi; tale infatti sarebbe la reazione giusta, santa, degli altri soci" (3).
E aggiungeva: "Unità spirituale e varietà nelle cose temporali sono perfettamente compatibili... Un vero cristiano non pensa mai che l'unità delle fede, la fedeltà al Magistero e alla Tradizione della Chiesa, l'ansia di far giungere agli altri il messaggio di salvezza portato da Cristo... siano in contrasto con la diversità di atteggiamenti in quelle cose che, come si suol dire, Dio ha lasciato alla libera discussione degli uomini; anzi, è pienamente cosciente che questa varietà fa parte del progetto divino, è voluta da Dio il quale distribuisce i suoi doni e la sua luce come vuole. Il cristiano deve amare gli altri, e deve perciò rispettare le opinioni contrarie alla sua, convivendo in piena fraternità con coloro che la pensano in modo diverso".
Queste citazioni sono indispensabili per inquadrare le incomprensioni di cui l'Opera sarà fatta oggetto negli anni Cinquanta e Sessanta, in merito ad alcuni avvenimenti politici spagnoli: gli sarà infatti attribuita una "presa di posizione univoca nei confronti di un particolare regime politico", anche se Escrivá, nel corso di un'intervista concessa al quotidiano "ABC" avrà modo di smentire: "Un Opus Dei che entra in politica è un fantasma che non è mai esistito, che non esiste e che mai potrà esistere: l'Opera, se accadesse questo caso impossibile, si dissolverebbe immediatamente" (4).
Fra i membri dell'Opus Dei, ve ne furono alcuni che scelsero di impegnarsi in prima persona, occupando ruoli a diversi livelli della vita pubblica. Per qualcuno di essi ciò volle dire una collaborazione attiva alle strutture del regime instauratosi dopo la guerra civile del 1936-1939.
Altri adottarono invece posizioni critiche, facendo parte dell'opposizione e propugnando per la Spagna una soluzione politica diversa: ad esempio un regime democratico parlamentare. Tra i primi si trovano ad esempio il professor Alberto Ullastres e l'avvocato Mariano Navarro Rubio, che furono nominati ministri nel 1957. Fra i secondi ci sono il professor Rafael Calvo Serer, costretto all'esilio nel 1953 e nel 1971; il professor Antonio Fontàn, che dopo la scomparsa del generale Francisco Franco sarebbe diventato presidente del Senato; i giornalisti Manuel Fernàndez Areal e Antonio Herrero Losada.
"Il Servo di Dio rispettò le scelte politiche degli uni e degli altri, dal momento che pur essendo totalmente divergenti fra di loro, non erano in contrasto con la fede cattolica, né con le indicazioni del Magistero della Chiesa. Si limitò a difendere il diritto di questi suoi figli a intervenire nella vita politica, ribadendo che in nessun caso il loro specifico comportamento poteva essere fatto risalire all'Opus Dei" (5).
Questo comportamento fu considerato da alcuni incomprensibile. Si arrivò così, proprio in Spagna, a delle ingiustizie. La prima avvenne nel 1947, quando alcuni membri dell'Opera che avevano partecipato a un concorso per entrare nel Corpo diplomatico, furono oggetto di discriminazione: il ministro degli Esteri, Martin Artajio, dette infatti l'ordine di opporsi ad ammettere in diplomazia i membri dell'Opera anche se avessero vinto il concorso.
Un altro episodio fu l'attribuzione sic et simpliciter all'Opus Dei dell'opposizione al regime franchista espressa da alcuni suoi membri.
Nel 1953 il professor Rafael Calvo Serer pubblicò sulla rivista francese "Écrits de Paris" un saggio che conteneva critiche severe al governo spagnolo. Fu destituito dalla carica di membro del Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche e dalla direzione di "Arbor", la rivista culturale che aveva fondato; fu inoltre obbligato a lasciare il Paese.
"La reazione delle autorità fu molto dura - osserva Alvaro del Portillo - e lo costrinsero all'esilio. Su questo fatto il Servo di Dio non aveva nulla da ridire, poiché si trattava di questioni in cui egli non entrava perché riguardavano esclusivamente i suoi figli in quanto cittadini liberi e responsabili di se stessi.
Ma tra le altre ingiurie scagliate contro quel membro dell'Opera, dissero che "era una persona senza famiglia". Il nostro Fondatore reagì come un padre che difende i suoi figli. Si recò immediatamente da Franco e fu ricevuto subito; senza entrare nel merito delle divergenze politiche, affermò con molta chiarezza di non poter tollerare che di un suo figlio si dicesse che era un uomo senza famiglia: aveva una famiglia soprannaturale, l'Opera, ed egli si considerava suo padre..." (6).
Il fatto che alcuni membri dell'Opus Dei occupassero cariche pubbliche in Spagna fornì lo spunto per vari attacchi e accuse di sostegno al regime franchista. Mentre Escrivá difendeva la libertà delle opzioni politiche dei suoi figli, era altrettanto deciso, raccontano i testimoni, a respingere le ideologie che alzano barriere artificiose tra gli uomini o li discriminano, come ad esempio il nazionalismo che - diceva il futuro santo - non ha nulla a che vedere con l'amore cristiano per la patria e che è un peccato perché "porta a guardare con indifferenza, con disprezzo - senza carità cristiana né giustizia - altri paesi, altre nazioni" (7).
Risoluta, spiega monsignor del Portillo, fu la posizione nei confronti del razzismo: "II nostro Fondatore lo considerò sempre un grande peccato e non perdeva occasione per confermarlo nella predicazione. Abitualmente però preferiva esporre la dottrina in modo positivo, quindi riassumeva il suo punto di vista con una frase che gli ho sentito ripetere ovunque migliaia e migliaia di volte: "Nessuno vale più di un altro, nessuno! Siamo tutti uguali! Ognuno di voi vale lo stesso: vale il Sangue di Cristo. Pensate che meraviglia! Perché non vi sono razze diverse, non vi sono lingue diverse; vi è solo una razza: la razza dei figli di Dio"".