Parole di introduzione alla terza sessione plenaria

Pochi giorni fa celebravamo il Natale del Signore. Ancora risuonano in noi le parole angeliche, che abbiamo recitato con gioia nelle liturgie festive: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis!

Nelle recenti allocuzioni di fine anno, il Santo Padre Giovanni Paolo II, fedele al suo ministero petrino a favore di tutta l’Umanità, ha insistito davanti a pubblici molto diversi — Curia Romana, diplomatici, pellegrini, bambini — sulla necessità di cercare la pace nel mondo. Una pace che si fondi sulla giustizia. E una giustizia basata sul perdono. Come Presidente del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax non posso non ripetere in ogni sede l’accorato appello papale per la pace.

Il mondo contemporaneo, così pieno di speranze, al contempo presenta sfide e problemi urgenti, che esigono una risposta convincente dai cristiani. Perché, non possiamo dimenticarlo, Cristo è la nostra pace. Il cristiano, con lo sguardo fisso nella patria celeste, non si disinteressa dalle sorti della patria terrestre, perché è proprio qui che ci prepariamo, con la nostra fede vissuta e incarnata nella ricerca della pace e della giustizia, a godere della Pace eterna e della Giustizia divina, identificata con la Misericordia e l’Amore.

Le anteriori parole volevano inquadrare il mio breve intervento di questa mattina. È per me un motivo di soddisfazione e di autentica gioia spirituale presiedere questa terza giornata del Congresso La grandezza della vita quotidiana, in occasione del centenario della nascita del Beato Josemaría Escrivá. La tematica oggi affrontata è ampia ed essenziale. Si tratta di riflettere sulla missione apostolica del cristiano, secondo gli insegnamenti del Beato Escrivá. Più in concreto, il Professore Antonio Aranda ci parlerà sull’identità cristiana e la configurazione del mondo; la Professoressa Mireille Heers terrà la sua relazione sulla libertà dei figli di Dio; il sociologo Pier Paolo Donati, nella terza relazione, ci offrirà le sue riflessioni sul senso e il valore della vita quotidiana.

La presenza operosa dei cristiani nella società deve trasformare le speranze del mondo odierno in belle realtà di amore e di servizio; e deve fornire risposte certe ed autentiche ai problemi e alle sfide del mondo odierno. Se il cristiano deve essere operatore di pace e di giustizia, il Fondatore dell’Opus Dei voleva essere un seminatore di pace e di gioia. Lungo la sua vita, e attraverso il suo esempio e i suoi insegnamenti, il Beato Josemaría seminò efficacemente, giustizia, pace e amore. Semina feconda, che continua oggi vivente ed operante nello spirito apostolico dei suoi figli spirituali, e nelle tante iniziative sociali da lui direttamente promosse o da lui ispirate.

Il nucleo del suo messaggio gira attorno alla santificazione della vita ordinaria, attraverso il lavoro quotidiano. E dove, se non nella vita ordinaria, quella di tutti i giorni, si costruisce un mondo di pace e di giustizia? È nel focolare familiare, nella scuola, negli uffici pubblici, nelle aziende, nei campi, dove il cristiano deve testimoniare la sua fede e diventare un autentico seminatore di pace e di gioia, come — ripeto—, piaceva dire il Fondatore dell’Opus Dei. È proprio lì che bisogna configurare cristianamente il mondo: nella vita quotidiana, nelle relazioni sociali, con la libertà dei figli di Dio. «Il mondo ci aspetta — scriveva in Solco —. Sì!, amiamo appassionatamente questo mondo perché Dio ce l’ha insegnato: “Sic Deus dilexit mundum...” — così Dio ha amato il mondo; e perché è il luogo di nostro campo di battaglia — una bellissima guerra di carità —, affinché tutti raggiungiamo la pace che Cristo è venuto a instaurare» (Solco, n. 290).

Le tre relazioni di questa mattina offriranno spunti per la nostra riflessione. Non desidero allungarmi, per lasciare spazio ai relatori. Tuttavia, vorrei aggiungere un’ultima idea. So che il Beato Josemaría Escrivà voleva che nel catechismo della dottrina cristiana ci fossero alcuni riferimenti ai doveri sociali e politici dei cristiani nella comunità civile, così da formare sin dall’infanzia ai cattolici nell’unità di vita: un buon cristiano deve essere anche un buon cittadino. Il suo desiderio è stato esaudito, ed il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica il secondo capitolo della terza parte a questa tematica. Lì si può leggere: «La partecipazione è l’impegno volontario e generoso della persona negli scambi sociali. È necessario che tutti, ciascuno secondo il posto che occupa e il ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune. Questo dovere è inerente alla dignità della persona umana (n. 1913). La partecipazione si realizza innanzitutto con il farsi carico dei settori dei quali l’uomo si assume la responsabilità personale: attraverso la premura con cui si dedica all’educazione della propria famiglia, mediante la coscienza con cui attende al proprio lavoro, egli partecipa al bene altrui e della società» (n. 1914).

La missione apostolica del cristiano, secondo gli insegnamenti del Beato Josemaría, implica partecipazione sociale e responsabilità personale. Voglia il Signore, attraverso l’intercessione della Madonna Santissima e del Beato Josemaría, che noi cristiani diventiamo veramente operatori di pace e giustizia, fondata sul perdono, o con parole del Fondatore dell’Opus Dei, seminatori di pace e di gioia.

E io auguro che questi seminatori di pace e di gioia, con il soffio dello Spirito Santo venga anche nel nostro estremo oriente nel Vietnam.