Incolpata l'Opus Dei
Finora hanno risposto secondo il loro stile da gentiluomini, con molto fair play: il Codice da Vinci li dipinge come una setta che spinge un «monaco» albino, di nome Silas, a commettere omicidi nel nome di Dio? Loro con un certo humour diffondono l'intervista di un membro dell'Opus Dei che si chiama davvero Sìlas, che però è di origini nigeriane e quindi assai scuro di pelle...
In verità, l'Opus Dei avrebbe tutti i diritti di sentirsi offeso dal bestseller di Dan Brown, tante sono le fandonie e le inesattezze che ha sparso sul suo conto. Solo che sa benissimo come ogni polemica, alla fine, faccia pubblicità alla controparte e allora preferisce tenere i nervi saldi e intervenire solo quando è necessario; del resto, non esiste replica ragionevole che riesca a smantellare il pregiudizio di chi non vuole sentire. È dunque piuttosto rassegnato Giuseppe Corigliano, direttore dell'Ufficio informazioni della Prelatura in Italia: in pratica, il portavoce dell'Opus Dei nel nostro Paese.
D - Ingegner Corigliano, pare tuttavia che nel nuovo film sul «Codice da Vinci" non ci sarà alcuna allusione esplicita all'Opus Dei. Allora siete davvero potenti, se siete riusciti a tanto.
R - «Non ho conferme in tal senso. Non sappiamo se il riferimento ci sarà o meno. Quello che è sicuro è che abbiamo pregato fin dall'uscita del libro. Come a tutti i cristiani, ci è dispiaciuta la contraffazione dell'immagine di Gesù e la confusione che si sarebbe generata nei cuori di persone semplici che potevano credere a simili fandonie. D'altra parte la storia della Chiesa è piena di tentativi di discredito che, alla fine, portano a un rafforzamento della fede. Siamo sempre seguaci di Colui che è stato crocifisso. Poi c'è la resurrezione, quella storica e quella che avviene continuamente nei cuori di ogni uomo di buona volontà».
D - Quando uscì il libro di Dan Brown, lei si distinse per signorile ironia affermando che in tanti si sarebbero avvicinati all'Opus Dei dopo averlo letto. Ora, in previsione del film, ha ammonito invece che «presentare un membro dell'Opera come un assassino è un'ingiustizia. Non è esclusa l'azione legale». Ha dunque cambiato idea? E perché?
R - «Cosi è stato. Tanti si sono avvicinati all'Opera, in Italia e soprattutto in America, e ne hanno tratto un beneficio per la loro fede e per un maggiore affetto nei confronti dei familiari e compagni di lavoro. Indubbiamente l'Opus Dei aiuta a comprendere che la vita acquista il suo senso quando la si dona completamente agli altri. E grazie a Dio questa è una realtà commovente: basta fare un giro nei centri dell'Opera dove si fa del bene a tanta gente. Bene al fisico (penso, fra l'altro, agli ospedali) e bene allo spirito. Presentare un membro dell'Opera come uno che leva la vita agli altri è una menzogna paradossale e quindi un'ingiustizia.
Come ha detto Mare Carroggio, responsabile dei rapporti con la stampa estera, ci sono persone dell'Opus Dei in 60 nazioni. Alcuni di loro hanno fatto nascere, con i loro amici, centri di formazione professionale per contadini, o per giovani con scarse prospettive di lavoro, o anche ospedali in aree depresse. Tutte queste iniziative sì sostengono grazie all'aiuto economico di molte persone. È evidente che il romanzo e il film possono rendere più difficile il reperimento dei fondi. Per questo motivo non sarei sorpreso se alcune di queste organizzazioni richiedessero un indennizzo economico. C'è da considerare che un film è diverso da un libro. Ci sono le sale cinematografiche, la tv e i Dvd...».
D - Negli Stati Uniti avete avuto un milione di nuovi contatti al vostro sito web, e il «famoso" grattacielo dell'Opus Dei a New York ha dovuto assumere una guardia giurata per «difendersi» dalle comitive di giapponesi in visita. Tutto «merito» del «Codice da Vinci»... Che ne pensa?
R - «Fa piacere che le menzogne richiamino la curiosità per la verità e la realtà. Teniamo presente poi che a New York un grattacielo è un palazzo come gli altri e che il nostro è pure "bassetto" ed è stato solo un modo per concentrare le attività in un posto accessibile alla gente che lavora».
D - Resta il fatto, comunque, che l'Opus Dei non è ben vista in molti ambienti, anche cattolici. Come mai? Per invidia, perché è troppo ricca e potente, perché funziona con meccanismi che sembrano «segreti»...?
R - «Ho sempre riscontrato una cordiale, reciproca simpatia negli ambienti cattolici. L'Opera ha sempre svolto la sua attività in armonia con la gerarchia. Può darsi che qualche cattolico subisca l'influenza di alcuni organi di stampa laicista. Questi laicisti vedono con preoccupazione la testimonianza cristiana negli ambienti di lavoro e proiettano un'immagine distorta della realtà dell'Opera. Ecco i miti di potenza, che sono i loro miti ricalcati sul mondo cattolico. L'unico interesse dell'Opus Dei è il risveglio dell'amor di Dio e del prossimo nelle persone che svolgono le più comuni attività».
R- Parecchi particolari del «Codice» relativi all'Opus Dei sono semplicemente ridicoli, per chiunque conosca non dico l'Opera dall'interno ma semplicemente qualcosa della Chiesa cattolica. Il monaco albino (nell'Opus Dei non ci sono monaci), il cilicio obbligatorio, l'ordine di uccidere impartito dal vescovo dell'Opus Dei... Qual è stata però, per lei, la falsità più dolorosa?
R - "Per fortuna alla fine del romanzo si scopre che l'ordine di uccidere non è impartito dal vescovo ma dallo studioso inglese. La falsità più odiosa è quella relativa a Gesù. È antipatica la rappresentazione della gerarchia ecclesiastica impegnata con tutti i mezzi per nascondere la discendenza di Gesù e in genere per soffocare il ruolo della donna nella Chiesa. Mai come adesso è evidente che il cristianesimo crea un contesto culturale in cui la donna è valorizzata come non succede in nessun'altra cultura. In merito al cilicio: il vero cilicio per me è stato leggere il libro».
D - Come esce da tutta questa vicenda l'Opus Dei, a suo parere: danneggiata o rafforzata? Qual è la «morale» che ne avete tratto?
R - «La morale è che questi eventi alla fine fanno bene. Si prega di più e si impara, come diceva san Josemaria, a sorridere, perdonare, tacere e lavorare».
D - Qualcuno ha scritto che se Dan Brown l'avesse conosciuta, l'avrebbe messo tra i protagonisti del suo libro... Ma lei lo ha letto? E ora andrà a vedere il film?
R - «Il libro è una specie di "Indiana Jones", cioè un libro di avventure per ragazzi, che probabilmente ha raggiunto tale popolarità perché la gente è attratta dalla figura di Gesù. Per quanto riguarda me, mi chiamo Giuseppe ma mi hanno sempre chiamato Pippo. Mi basta Walt Disney... E preferisco Pluto e Paperino alle cabale di Dan Brown. Spero di risparmiarmi il film ma temo che dovrò vederlo perché mi chiederanno pareri... Offriremo al Signore anche questo sacrificio».