Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI
Nell'ampia intervista concessa dal prelato dell'Opus Dei al nostro direttore, mons. Javier Echevarrìa tratteggia la fisionomia del pontificato di Giovanni Paolo II e commenta l'alba del nuovo pontificato, attraverso i ricordi personali dei suoi incontri con il Papa «venuto da lontano» e con il celebre prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Com'è naturale, ne scaturisce anche una panoramica delle sfide che la Chiesa è chiamata ad affrontare in questi anni. La visione di mons. Echevarrìa è ricca di ottimismo soprannaturale, nella consapevolezza che la sfida principale è la proposta di santità che Giovanni Paolo II ha messo al primo posto nel programma pastorale della Chiesa del terzo Millennio, e che costituisce il nucleo del servizio ecclesiale a cui l'Opus Dei è chiamata.
Quattordici
encicliche, 15 esortazioni apostoliche, 11 costituzioni apostoliche,
45 lettere apostoliche, innumerevoli discorsi nelle udienze
settimanali, omelie... Il magistero di Giovanni Paolo II è
sterminato in estensione e profondità. Impossibile,
dunque, sintetizzarlo nella risposta a un 'intervista. Eppure,
quali sono, a Suo avviso, le linee portanti del pensiero del
compianto Pontefice in campo dogmatico? E in campo morale?
Direi che il pensiero di Giovanni Paolo II è sintetizzabile
in meno di una frase, in una sola parola. In una Parola da
scrivere in maiuscolo: Cristo, il Verbo di Dio fatto Uomo.
Nell'agire, Cristo come unico modello di comportamento. In
campo teologico, Cristo come oggetto e fondamento della fede.
Ma questa Parola, questa Persona, Cristo, non è soltanto
la chiave del pensiero del Papa: è la ragion d'essere
della sua vita.
Com'è difficile distinguere tra vita e magistero in Giovanni Paolo II! Lo ha detto chiaramente il Papa stesso nell'enciclica Redemptor hominis, documento programmatico del suo pontificato: «L'unico orientamento dello spirito, l'unico indirizzo dell'intelletto, della volontà e del cuore è per noi questo: verso Cristo, Redentore dell'uomo; verso Cristo, Redentore del mondo. A Lui vogliamo guardare, perché solo in Lui, Figlio di Dio, c'è salvezza» (n. 7). Nelle scorse settimane, tantissimi uomini e donne, cristiani o no, hanno espresso la loro riconoscenza alla figura di Giovanni Paolo II per motivi apparentemente diversissimi: per la sua santità, la sua denuncia dei totalitarismi, il suo impegno per la pace, la sua fiducia nei giovani, la sua difesa della vita, il sostegno alla famiglia, la preoccupazione per gli emarginati, il suo coraggio di fronte al dolore e alla malattia. A mio avviso, questa varietà di motivazioni, tutte giuste, significano che in Cristo si trovano le vie di soluzione per i grandi problemi dell'uomo. Allo stesso modo, è significativo che molte persone siano tornate a Cristo dopo la morte del Papa.
La
filosofia & i viaggi apostolici di Giovanni Paolo II
La solidità dell'impianto teologico del magistero
di Giovanni Paolo II si basa su una precisa antropologia.
È nota la simpatia con cui il filosofo Wojtyla ha studiato
le opere di Husserl e di Edith Stein, ma nel suo ultimo libro,
Memoria e identità, il Papa ha ridimensionato esplicitamente
l'apporto della fenomenologia, valorizzando il realismo tommasiano.
Qual è il rapporto tra ragione e fede, a cui il Pontefice
ha dedicato un'apposita enciclica?
Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, è andato in Cielo
con la stessa passione intellettuale che l'aveva indotto ad
addentrarsi nella fenomenologia, molto colpito dal misticismo
di Edith Stein. Nel contempo, tutto il suo Magistero è
impregnato della dottrina di Tommaso d'Aquino, come ha espressamente
dichiarato in una della sua visite all'«Angelicum»,
la Pontificia università san Tommaso d'Aquino. Penso
che il cambiamento a cui lei allude possa essere un oggetto
di studio per specialisti. Indipendentemente da queste sfumature,
mi sembra evidente che, per la sua capacità di dialogo
con le moderne correnti filosofiche, il pensiero di Giovanni
Paolo II sia in sé stesso un frutto dell'armonia tra
ragione e fede.
In questi tempi di esoterismo e di pessimismo dell'intelligenza, il Papa si è eretto in coraggioso difensore della ragione. Ha dimostrato fiducia nella possibilità della ragione umana di conoscere la verità. E ha presentato la fede come luce, non come limite: la fede cristiana illumina l'intelligenza nel suo sforzo di comprendere la realtà. In qualche modo, la fede protegge la ragione dalla superstizione e dalla paura, mentre invita a riconoscere l'esistenza del mistero. La fede aiuta la ragione a rendersi conto dei propri limiti, ma anche a ritrovare la fiducia nella grandezza delle sue possibilità.
Nei
suoi 104 viaggi apostolici nel mondo, nei 146 pellegrinaggi
in Italia, nelle visite a 317 delle 333 parrocchie romane,
Giovanni Paolo II ha esercitatlo in pieno il suo ruolo di
Pastore universale, di Primate della Chiesa italiana e di
vescovo di Roma. Questo Papa che viene dipinto come «mediatico»
per l'uso intelligente e approfondito che ha fatto dei mass
media, ha sempre privilegiato il contatto diretto con la realtà.
In che misura i mass media sono strumenti di evangelizzazione?
E quale sarà la ricaduta apostolica della straordinaria
ed efficace copertura mediatica delle esequie di Giovanni
Paolo II e dell 'elezione di Benedetto XVI?
Il ruolo che i mezzi di comunicazione rivestono nella società
spiega l'importanza che la Chiesa attribuisce loro. In senso
stretto, non si tratta di una questione strumentale, bensì
culturale: i mezzi di comunicazione sono fonti di conoscenza
e fattori di educazione; creano modelli di comportamento,
al punto di diventare «cattedre di moralità».
È lecito interrogarsi sulla legittimità e i
limiti del potere mediatico.
Ma, soprattutto, ì cattolici devono sentire la responsabilità di essere presenti in questo areopago, luogo privilegiato per esprimere la fede. Gli avvenimenti di questi giorni offrono un segnale inequivocabile: le televisioni, le radio, la stampa di tutto il mondo hanno raccontato con arte e con rispetto cerimonie liturgiche di grande bellezza, e hanno fatto sì che centinaia di milioni di persone si siano idealmente trasferite a Roma per pregare per il Papa, per prendere congedo da Giovanni Paolo II e per accogliere Benedetto XVI. La massiccia risposta dell'utenza ha confermato negli editori la decisione di dare generosa copertura agli avvenimenti. Il cosiddetto «sistema» dei mezzi di comunicazione si è adeguato come un guanto alla mano della Chiesa, che è universale, spirituale, eterna: non c'è niente di più vero e di più affascinante.
Le
ragioni delle emozioni & dei sentimenti
L'accorrere delle moltitudini, specialmente di giovani,
durante i viaggi apostolici e la toccante mobilitazione popolare
in occasione delle esequie del Pontefice hanno fatto dubitare
qualcuno dell'incidenza duratura nelle coscienze di questi
pur nobilissimi slanci emotivi. Lei che ne pensa?
Certamente è un errore confondere la religione
con il sentimento. Ma sarebbe altrettanto errato sottovalutare
le emozioni. Ho già accennato a questo argomento. Commuoversi
per la morte di un essere amato, anelare la presenza di un
padre, sono reazioni profondamente umane. Pertanto, la risposta
commossa di tante persone in queste settimane conferma che
la Chiesa è davvero una famiglia, giovane e viva, come
ha detto Benedetto XVI il 24 aprile.
Del resto, le profonde emozioni che abbiamo visto possono avere importanti conseguenze: si imprimono nella memoria del cuore; sono difficili da dimenticare; impressionano l'animo dei più giovani e lasciano un'impronta indelebile; rimuovono la freddezza che talvolta ci inonda col passare degli anni; ci salvano dallo scetticismo. La nostra storia personale è formata dalla vita quotidiana e anche da episodi memorabili. Ritengo che molta gente, passato il momento del sentimento, conserverà il ricordo dì aver partecipato a un momento storico, di aver sperimentato una realtà spirituale di grande intensità, un momento di grazia. In definitiva, si ricorderà di aver ascoltato una chiamata di Dio, che è tornato a bussare alla porta del cuore. Sono convinto che in questi giorni sono maturate molte risposte a questa chiamata, molte decisioni di donarsi a Dio, di amore fedele, di impegno, di coerenza cristiana e umana.
A
proposito dell'entusiasmo popolare suscitato da Giovanni Paolo
II qualcuno ha affermato che la gente accorreva ad applaudire
il cantante ma non apprezzava la canzone. Sono note, infatti,
le difficoltà con cui il magistero della Chiesa plasma
la condotta pratica anche dei cristiani in materia di diritto
alla vita, di morale sessuale, di stabilità familiare.
Come si configura oggi il problema della coerenza di chi non
esita a dichiararsi cattolico?
Quando ci mettiamo in ascolto di una persona con autorità
morale, stiamo esprimendo quello che cerchiamo, non quello
che possediamo già. Succede in ambito religioso, ma
anche in altri campi, perché l'esistenza è sempre,
in qualche modo, ricerca, cammino, desiderio, anelito di qualcosa
di meglio, di più bello, di più giusto.
A questo proposito mi vengono in mente le parole di Giovanni Paolo II, a commento della famosa frase di sant'Agostino: «Ci hai fatto, o Signore, per te ed è inquieto il nostro cuore, finché non riposa in te» (Confessioni, I, 1). «In questa inquietudine creativa», diceva Giovanni Paolo II, «batte e pulsa ciò che è più profondamente umano: la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del bello, la voce della coscienza» (Redemptor hominis, 18). Ascoltare il Papa con attenzione - con «inquietudine creativa» - oggigiorno è come un preambolo della fede, un principio di vita cristiana.
Dopo questo primo passo viene la decisione personale di coerenza, la ricerca della formazione che illumina, l'anelito di esercitare la carità che conforta, il ricorso ai sacramenti che fortificano. Arrivo a dire che il Papa svolge una missione importante nell'attrarre gli uomini di buona volontà; poi entra in gioco la responsabilità apostolica dei cattolici, sacerdoti e laici, che danno continuità alla presenza della Chiesa in ogni ambiente. Anziché pensare all'eventuale incoerenza da parte di qualcuno, preferisco pregare affinché gli avvenimenti che abbiamo vissuto ci incoraggino a rinnovare il proposito di essere più coraggiosi nell'annunciare Cristo, perché tante persone ci stanno aspettando, in molti modi, e vogliono conoscerlo, incontrarlo e amarlo.
Quella
visita del 23 marzo 1994
Lei ha incontrato più volte Giovanni Paolo II anche
al di fuori delle udienze «di tabella». Può
darci un Suo ricordo strettamente personale?
Un ricordo per me particolarmente toccante è legato
alla morte di mons. Àlvaro del Portillo, il mio predecessore
come prelato dell'Opus Dei, il 23 marzo 1994. Quel giorno,
Giovanni Paolo II venne nella chiesa prelatizia di Santa Maria
della Pace, dove avevamo allestito la camera ardente. Venne
a pregare e, certamente, anche per manifestarci il suo affetto
paterno in quel momento in cui nell'Opus Dei eravamo rimasti
senza padre. Questo episodio mi sembra un simbolo della figura
di Giovanni Paolo II: un padre fedele che ti è sempre
accanto quando ne hai bisogno, che ti consola con affetto
nel momento del dolore.
È
innegabile che la storia dell'Opus Dei sia ormai strettamente
legata al pontificato di Giovanni Paolo II che ha eretto l'Opera
in Prelatura personale il 28 novembre 1982, ha beatificato
il fondatore il 17 maggio 1992 e l'ha canonizzato il 6 ottobre
2002. Dove radica la sintonia di Giovanni Paolo II con lo
spirito dell'Opus Dei?
Prima di rispondere, mi consenta di ricordare che tutte
le istituzioni e tutti i fedeli della Chiesa si sono sentiti
amati da Giovanni Paolo II che ha sempre rivolto la massima
attenzione pastorale a ciò che lo Spirito Santo suscita
nella Chiesa. Inoltre, nell'Opus Dei desideriamo servire tutti
i successori di Pietro, seguendo l'esempio di san Josemaria.
Infine, non posso fare a meno di ricordare che Paolo VI, di
venerata memoria, ha manifestato in diverse occasioni sia
a mons. Escrivà, sia al suo primo successore, il suo
ardente desiderio di giungere alla soluzione giuridica dell'Opus
Dei.
Nella prima udienza concessa al mio predecessore, mons. Àlvaro del Portillo, Paolo VI commentò, perché lo riferisse a tutti noi, che riteneva mons. Josemaria Escrivà una delle figure del XX secolo che avevano risposto più eroicamente alla chiamata di Dio. Penso che la radice della sintonia con Giovanni Paolo II, a cui lei allude, sgorghi dalla passione evangelizzatrice del Papa, dal suo amore per il mondo, dalla sua consapevolezza del ruolo dei laici nella missione della Chiesa. Le preoccupazioni pastorali del Santo Padre, il suo amore per l'uomo, la sua elevata visione del lavoro che dignifica la persona, gli facevano apprezzare lo spirito dell'Opus Dei, il suo messaggio di santificazione del lavoro e della vita quotidiana. Quanto alla Prelatura, abbiamo cercato di corrispondere a questo affetto, a questo incoraggiamento di fedeltà alla Chiesa, col desiderio di non deludere le aspettative del Santo Padre e di assecondare lealmente i suoi insegnamenti. In questi momenti, tutti i ricordi di questi anni diventano motivo di gratitudine.
Il
significato della chiamata universale alla santità
1338 beati e 482 santi proclamati da Giovanni Paolo II.
È un aspetto dell'applicazione del Concilio Vaticano
II il cui nucleo consiste nella riproposizione della chiamata
universale alla santità?
Si, certamente. Qualcuno, inoltre, ha visto in questi
grandi numeri di beatificazioni e canonizzazioni uno sforzo
del Papa per mettere il messaggio di Cristo alla portata di
ogni uomo e di ogni donna. In effetti, in una società
secolarizzata come la nostra, bisogna aprire tutte le vie
di accesso alle anime, ai cuori. E la vita dei santi è
uno straordinario veicolo di comunicazione della fede: modelli
vivi, attraenti, comprensibili alle persone di ogni razza
e di ogni cultura. San Paolo chiamava «santi»
i primi cristiani. Il santo è, in certo modo, «uno
di noi». I santi dimostrano che è possibile seguire
Gesù Cristo. Il loro esempio alimenta la nostra speranza.
Ritengo che Giovanni Paolo II, anche in questo, abbia voluto
mettere in rilievo la realtà che Cristo, il Buon Pastore,
non fa discriminazioni, rivolge a tutti la grande chiamata
alla santità, scopo - non dimentichiamolo - per cui
è stato creato l'uomo, ogni uomo, ogni donna. Secondo
me, infine, Giovanni Paolo II ha voluto anche dire che il
Signore non è lontano da nessuno, che si interessa
di tutti.
Giovanni
Paolo II, il Papa del Totus tuus, ha intriso di devozione
mariana la sua vita. Senza cadere nella gematria, è
innegabile l'intreccio tra la vita del Papa e le apparizioni
della Madonna a Fatima: l'attentato avvenuto il 13 maggio,
il terzo segreto in cui il Papa si è riconosciuto,
la morte di suor Lucia (13 febbraio) poco prima di quella
del Papa... Non Le chiedo profezie, ma il tono apocalittico
di alcune interpretazioni delle apparizioni mariane, quasi
che fossimo alla fine dei tempi, lasciano pensosi.
Sono molto devoto della Madonna di Fatima, ho pregato
più volte davanti alla sua immagine semplice e materna,
mi commuove la storia dei pastorelli. Ma non saprei esprimere
opinioni su tali interpretazioni apocalittiche: non mi sento
portato, né preparato. Soltanto Dio riesce a leggere
tra le righe del libro della Storia. Io vivo la pagina di
oggi: ho fiducia nel Divino Scrittore e mi aggrappo con forza
alla realtà dei suoi disegni che invitano a una vita
piena di speranza, basata sul fatto che il Figlio di Dio ha
voluto dare la sua vita per noi.
Il
conclave che ha eletto Benedetto XVI
La brevità del conclave che ha eletto Benedetto
XVI dà l'immagine di una Chiesa molto unita, unanime.
Ritiene che sia passata la bufera postconciliare e che sia
definitivamente superata la distinzione spesso artificiosa
tra «progressisti» e «conservatori»?
Il conclave si è innalzato agli occhi di tutti come
una lezione magistrale di unità, che senza dubbio segnerà
il futuro. È stato come un'eco dell«ubi
Petrus, ibi Ecclesia» di sant'Ambrogio. Si è
realizzata ancora una volta l'aspirazione che san Josemaria
Escrivà formulava con le parole «omnes cum Petro
ad Iesum per Mariam». tutti, con Pietro, a Gesù
per mezzo di Maria.
Abbiamo visto come i cardinali, persone molto diverse fra loro, provenienti da zone geografiche, con mentalità ed esperienze molto dissimili, hanno saputo accantonare le loro differenze e si sono immediatamente stretti in unione con Pietro. La distinzione tra «conservatori» e «progressisti» è un a priori che deriva dall'applicazione di uno schema politico semplicistico a una realtà ricca e profonda. Interpretare il conclave in questo modo è come vedere la realtà in bianco e nero. Penso che anche in questo si osserva un notevole progresso, man mano che molti commentatori conoscono meglio la natura della Chiesa.
Dall'inizio della riunione, non ho smesso di considerare che tutta la Chiesa, con la sua preghiera e la sua mortificazione, era entrata nella Cappella Sistina, e che il Signore ha promesso di ascoltare sempre chi prega nel suo nome.
Le
chiedo un ritratto di Benedetto XVI come Lei l'ha conosciuto.
Lo vedo come una persona che spicca per la sua intelligenza
teologica, la sua nitida visione dei problemi della Chiesa
e della cultura, e la sua ampiezza di orizzonti. A questo
si sommano la sua esperienza di lunghi anni di servizio alla
Chiesa e la sua profonda vita spirituale. Della sua delicatezza
e della sua capacità di ascolto può testimoniare
chiunque abbia avuto occasione di frequentarlo anche poco.
Di fronte a un mondo contratto e conflittuale, il Santo Padre
si presenta lucido e sereno, preparato a rendere ragione della
speranza della Chiesa, della fede nel suo Maestro. Se a tutto
ciò si aggiunge il fatto che l'ha scelto lo Spirito
Santo, mi sembra che sia in sommo grado la persona adatta
per il nostro tempo.
Che
cosa Le suggerisce la scelta del nome del nuovo Papa?
Personalmente, la decisione di riferirsi sia a san Benedetto,
sia a Benedetto XV, mi ricorda l'importanza che la Chiesa
attribuisce alla cultura e all'impegno per la pace. Penso
che in questi anni noi cattolici abbiamo la responsabilità
di rendere comprensibile la fede davanti ai nostri simili,
appunto andando alle radici cristiane della cultura, soprattutto
europea. Mi riferisco alla cultura in senso ampio: il clima
che le famiglie cristiane sanno creare intorno a sé;
la diffusione delle opere di misericordia; e anche la ricerca
scientifica, il cinema e la letteratura. I cattolici di oggi
devono essere artefici di pace e di culture di vita.
Alla maggior parte di noi cattolici la scelta di quel nome
ha suscitato sorpresa, accanto a una sana curiosità
di conoscerne i motivi. La novità del nome è
dunque un altro promemoria per unirci ancora di più
alla persona e alle intenzioni del Papa, come egli stesso
non si stanca di chiederci.
Che
cosa l'ha maggiormente colpita del ruolo del card. Ratzinger
come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede?
La capacità di armonizzare la carità con il
servizio alla verità. È stato un bell'esempio
del veritatem facientes in caritate (Ef 4, 15) raccomandato
da san Paolo. Nel libro Rapporto sulla fede si legge: «La
definizione dogmatica è un servizio alla verità,
un dono offerto ai credenti dall'autorità voluta da
Dio. I dogmi - ha detto qualcuno - non sono muraglie che ci
impediscano dì vedere; ma, al contrario, sono finestre
aperte sull'infinito» (p. 72). Sono parole che il cardinal
Ratzinger ha scritto pochi anni dopo essere stato nominato
al vertice della Congregazione per la dottrina della fede.
Ritengo che siano una chiave della sua azione in quel dicastero.
Nel
primo articolo pubblicato dal prof. Joseph Ratzinger, non
ancora cardinale, su Studi cattolici (n. 69, dicembre 1966)
si legge una strenua difesa della riforma liturgica e anche
una messa in guardia contro alcune frettolose applicazioni.
Ritiene questo tema fra le priorità del nuovo pontificato?
Questa preoccupazione è spiegata da altre parole del
card. Ratzinger, pubblicate qualche anno fa: «L'inesauribile
realtà della liturgia cattolica mi ha accompagnato
attraverso tutte le fasi della mia vita: per questo, non posso
non parlarne continuamente» (La mia vita, p. 18).
Se prendiamo coscienza che la liturgia è azione di
Dio, aperta alla partecipazione dell'uomo, ne comprendiamo
meglio la centralità nella vita cristiana. Penso che
Benedetto XVI sia molto sensibile alla sacralità della
liturgia, dove cielo e terra si uniscono in così meravigliosa
bellezza, e che viva quotidianamente la forza del detto lex
orandi, lex credendi.
II
programma pastorale della Chiesa per il terzo Millennio è
stato tracciato da Giovanni Paolo II nella Novo Millennio
ineunte. Avrà un compito facile il nuovo Papa?
Mi sembra molto importante sottolineare che, oggi e sempre,
l'applicazione di questo programma è responsabilità
di tutta la Chiesa, non solo del Papa: abdicare da questo
compito da parte dei fedeli - sacerdoti e laici - denoterebbe
un'indolenza con gravi conseguenze. Nell'enciclica Redemptoris
missio, Giovanni Paolo II affermava: «Sento venuto il
momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova
evangelizzazione e per la missione ad gentes. Nessun credente
in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi
a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli»
(n. 3). Il lavoro di Benedetto XVI sarà meno difficile
quanto più noi cattolici sapremo sostenerlo con la
nostra preghiera e il nostro lavoro, dando testimonianza di
Cristo nel posto che ciascuno occupa nella società.
Anche sotto questo profilo risultano assai appropriate le
parole di san Leone Magno: «Agnosce, christiane, dignitatem
tuam!». Tutti siamo chiamati a fare la Chiesa, in piena
adesione al Santo Padre e al suo Magistero.
Nell'omelia
della messa pro eligendo pontifice, il cardinale decano, Joseph
Ratzinger, ha parlato di una «dittatura del relativismo
che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come
ultima misura solo il proprio io e le sue voglie»: quali
sono i principali problemi morali che i cristiani devono affrontare?
Non è semplice rispondere a una domanda così
vasta. Potremmo parlare di molti temi, ma preferisco ricordare
soltanto due virtù: la carità e la castità.
In primo luogo, penso che noi cristiani dobbiamo ravvivare
la convinzione che la carità è il culmine del
messaggio evangelico. Carità in senso pieno, vale a
dire, non soltanto il gesto straordinario, occasionale, bensì
la carità costante, in famiglia, con gli amici, fra
i colleghi; preoccuparsi dei malati, dei poveri, delle persone
sole, tristi, dei bisognosi; la carità nel lavoro,
in politica, nell'economia. In realtà stiamo parlando
di una virtù personale, di uno dei doni più
grandi che la Chiesa può offrire al mondo. E stiamo
parlando anche dello Spirito Santo, che è l'Amore increato,
e della sua azione nelle anime.
In molti ambienti la castità - se mi consente l'espressione - è una virtù assente, esiliata, il che provoca un danno devastante per la persona. Paradossalmente, si nota una certa vergogna di nominarla, mentre si è persa la vergogna di parlare in pubblico delle perversioni più contorte, dando così parvenza di normalità a qualunque disordine. La purezza cristiana ci riporta immediatamente a Cristo che chiede ai suoi discepoli limpidezza di sguardo, di cuore e di comportamento. Purtroppo, viviamo in una società erotizzata, in cui il sesso è diventato una merce che si compra e che si vende: stiamo vedendo le terribili conseguenze di questo penoso meccanismo, che animalizza la creatura razionale. I cattolici devono restituire al mondo l'apprezzamento per la castità, che è più unita alla carità di quanto a prima vista può sembrare. In certa misura, la castità è una forma della carità: dell'amore verso Dio, del rispetto verso sé stessi e verso gli altri.
L'Opus
Dei al servizio della Chiesa
San Leone IX, che gli storici considerano il miglior papa
germanico del medioevo, nel Sinodo di Vercelli (1050) condannò
Berengario di Tours per le sue erronee teorie sull'Eucaristia.
Forse non è un caso che Benedetto XVI, eletto il 19
aprile, festa liturgica di san Leone IX, abbia sottolineato
che la sua elezione avviene durante l'Anno dell'Eucaristia
voluto da Giovanni Paolo II.
Uno dei primi documenti di Giovanni Paolo II - la lettera
Dominicae Cenae, del 1980 - riguardava appunto l'Eucaristia.
La sua ultima decisione pastorale, altamente simbolica, è
stata di centrare quest'anno, che è stato l'ultimo
del suo pontificato, sull'Eucaristia. E così il primo
sinodo dei vescovi che il nuovo Papa presiederà sarà
dedicato all'Eucaristia. E così il primo sinodo dei
vescovi che il nuovo Papa presiederà sarà dedicato
allEucaristia, «centro della vita della Chiesa»
(Catechismo della Chiesa cattolica, 1343) e fonte della sua
missione evangelizzatrice. Davvero, tutto fa pensare alla
Provvidenza ordinaria di Dio, che trova sempre il modo di
aiutarci a guardare «verso il centro», verso l'Eucaristia.
In
una delle Messe di ringraziamento per la beatificazione dì
Josemaria Escrivà, il card. Ratzinger, il 19 maggio
1992, lo definì «un grande uomo d'azione, un
uomo che ha attraversato continenti per infondere questo coraggio,
il coraggio della normalità cristiana, che è
la santità, la vita che ci è stata donata nel
battesimo»...
Ho notato che a Benedetto XVI piace considerare la vita cristiana
come un seme deposto nell'anima al momento del battesimo.
Dapprima sembra insignificante, eppure si rivela efficace
di fronte al male e, soprattutto, porta il bene al mondo,
offre acqua limpida, per così dire: acqua che feconda
tutti i deserti. Si tratta, in fondo, della parabola evangelica
del granello di senapa, che sintetizza l'aspirazione di tutti
i cristiani, e dunque dei fedeli dell'Opus Dei, inseriti nel
mondo come noi siamo. La missione dei cattolici nella società
può esser vista cosi: di portatori di un piccolo -
e grande! - seme di pace e di gioia che matura nell'anima
e sì diffonde nel mondo.
In
quali campi l'Opus Dei svolge oggi prioritariamente il suo
servizio alla Chiesa?
Il servizio che la Prelatura presta può essere riassunto
in un compito formativo, aperto a sacerdoti e laici, uomini
e donne, di ogni cultura e professione. La formazione offerta
dall'Opus Dei tende a ricordare una verità essenziale:
che noi cristiani siamo chiamati a imitare Cristo nella nostra
vita quotidiana, che la nostra vocazione è servire
gli altri, voler loro bene, proprio attraverso la nostra professione
e la nostra vita di relazione. Servire gli altri nella vita
quotidiana, scoprire la dimensione di servizio di tutti i
lavori, è un modo eccellente di annunciare Cristo.
Vorrei anche precisare che il lavoro dell'Opus Dei si rivolge a chiunque, non si limita a un settore della società. Mira a che ogni cristiano si sforzi di portare la luce di Cristo alle persone del suo ambiente. Ciò significa sia trasmettere il tesoro della fede, sia imparare dagli altri, che sono stati amati e redenti da Cristo. Mi riempie di gioia affermare anche che un fedele dell'Opus Dei - uomo o donna - cerca di guardare a Maria, la donna eucaristica, che ha saputo fare di tutta la sua vita un'oblazione, in unione al sacrificio di Cristo per tutte le creature.