Il Padre che portava il ponce ai suoi figli
Città del Vaticano - "Lascia perdere con quell´ombrello, che mica sono il Negus". E giù risate. E´ un giorno di pioggerellina, e il Padre s´avventura in giardino insieme a due persone, parlottando fitto fitto. Un ragazzo, in un impeto di zelo, parte con un ombrello aperto e corre a riparare la sua testa.
Lui ringrazia, ma scherza e tira fuori quella battuta del Negus. Mi torna in mente questo episodio di san Josemaria Escrivà (a proposito, non si dovrà dire San Giuseppe Maria, dato che i nomi dei santi si traducono?) mentre sono a piazza San Pietro dove il «Romano Pontefice» (lo chiamava così il santo appena proclamato) decide con «decreto infallibile» che il prete che io ricordo divertente, brillante, delizioso e paterno, è santo, anzi, «santo fondatore», come Benedetto, Francesco, Chiara, Bernardo, Domenico, Teresa, Ignazio, Giovanni Bosco.
La sua faccia affidata ad un affresco un po´ di maniera - come si usa in questi casi - pende ora dalla loggia pontificale, proprio sopra la testa di Papa Wojtyla, di quattrocento vescovi, di un certo numero di cardinali di tutto il mondo, di una marea sterminata di fedeli. «Ecco qua, ti ho portato un ponce caldo».
Faceva così con i suoi «figli» quando l´influenza stagionale di Roma attecchiva anche al Collegio Romano dove i ragazzi dell´Opera venivano a studiare da tutto il Mondo. Il malato di turno, ovviamente, si schermiva.
«Una volta - raccontava - sono andato a trovare una anziana suora che era malata. Le chiesi se l´accudivano abbastanza. Lei mi rispose così: "mi trattano con carità, ma mia madre mi trattava con affetto". Ecco, da noi questo non si deve dare: dobbiamo sempre vivere una carità con affetto».
E quindi benvenga il ponce caldo portato da questo prete, paterno e premuroso. «Sei già stato a san Pietro» diceva a chi era appena arrivato a Roma. Aveva voluto l´Opera molto «romana», molto cioè vicina al papa, «al dolce Cristo in terra, come diceva la mia amica Santa Caterina».
Oggi dentro la basilica non mi fanno entrare, neppure col passi-stampa, e allora ripercorro mentalmente le tappe che il Padre indicava: «Vuoi sapere qual è l´itinerario che io seguo? Per prima cosa vado alla cappella del Santissimo e lì faccio una "visita" (pratica devozionale costituita da Pater, Ave e Gloria - ndr). Poi saluto la Madonna in un altare dove è venerata come Mater Ecclesiae. Quindi vado all´altare della Confessione (quello sotto il Baldacchino - ndr) e recito il Credo in ginocchio.
Forse gli altri stanno in piedi, ma io trovo più adatto alla mia devozione recitarlo in ginocchio. Bene! Quando esci manda una cartolina a tuo papà e a tua mamma, farà loro piacere riceverla con il timbro postale del Vaticano».
Il Padre andava in Vaticano solo per le esigenze del suo ministero di Presidente dell´Opus Dei. Neppure durante il Concilio - mi dissero - andava di frequente, «D´altronde ci andavano già molti miei figli, e se loro erano padri conciliari io del Concilio sarei stato almeno nonno». «Dov´è il Papa lì è la Chiesa e lì è Dio». Nutriva una devozione estrema per il sommo Pontefice. Ho alcuni ricordi di lui legati a Paolo VI.
Voleva che fosse chiara la sua fede nel primato petrino, per cui quando andava a trovarlo, invece di compiere la riverenza che il protocollo prevede, si metteva in ginocchio con tutte e due le ginocchia e il Papa doveva sollevarlo a forza. Poi, magari, gli dava un regalo, in genere semplice: una volta - se ricordo bene - disse che gli aveva portato una cassa di arance freschissime che aveva ricevuto quella mattina stessa da Palermo.
Lui invece di regali non ne voleva. Se qualche volta gliene facevano li distribuiva subito. Soltanto per l´Epifania accettava il dono di una agendina, di quelle minuscole tascabili, che riempiva di una scrittura minuta, precisa e vergata con la penna altrui. Perché lui non aveva neppure una penna: la stilografica che normalmente utilizzava, la considerava una dotazione dell´ufficio in cui lavorava (che era poi quello di don Alvaro Del Portillo, il suo «custode» nonché successore) e quindi, all´occorrenza, ne chiedeva una in prestito.
E pensare che era lo scrivere il suo mestiere «Escrivà escribia» (Escrivà scriveva) diceva di se stesso, quando parlava del suo lavoro, con un gioco di parole legato al suo cognome. Scriveva le istruzioni relative allo spirito e al governo dell´Opera, le omelie, le meditazioni. «Tutto sta scritto» ribadiva, se mai ci fossero state delle dispute o delle controversie di merito dopo la sua morte. Peraltro di cose ne aveva ben poche, in assoluto. Quando morì e andarono a sgombrare il suo armadio, trovarono pochissimo: biancheria essenziale, pantaloni alla zuava da portare sotto la talare, due tonache «mezza stagione» da utilizzare indifferentemente d´estate e d´inverno.
Alcune scatole riciclate per oggetti essenziali. Basta. Il Padre non aveva neppure l´orologio, affinché non disponendo del proprio tempo, potesse vivere un´obbedienza assoluta ai suoi due custodi incaricati di questo. Ho conosciuto il Padre nel `71, da quella data fino alla sua morte (26 giugno `75) credo di averlo incontrato una ventina di volte almeno, ma di lui avevo notizie pressoché costanti.
Se dovessi dire di aver notato qualcosa di eccezionale, mentirei. Il Padre non ha fatto mai nulla di eclatante, ha fatto solo straordinariamente bene le piccole incombenze di ogni giorno. Solo una cosa mi colpì enormemente l´unica volta che ne fui testimone: la sua Messa. Era un lavoro, una fatica, una partecipazione fisica. «Prega perché io possa dire bene la Messa». Mi sembrava curiosa questa sua richiesta fintanto che non lo vidi celebrare. Di recente ho saputo che erano così anche le Messe di san Giovanni Bosco e di san Pio da Pietrelcina.
Deve essere così la messa dei santi, o forse sono santi «anche» perché hanno detto Messa così. Quando sentiva parlare di fondatore dell´Opus Dei si schermiva, perché sosteneva che «l´Opera è di Dio». «Lascia perdere con questa storia del Fondatore, l´unico "Fundador" che conosco è quello in bottiglia». «Io sono un povero peccatore che ama Gesù Cristo - diceva - però Dio vi chiederà conto di aver conosciuto questo prete». Io, che nel frattempo ho preso tutt´altre strade, temo questo «redde rationem», e certamente non saprò rispondere.