La santità giorno per giorno

Conobbi Josemaría Escrivá leggendo i suoi libri, mentre stavo concludendo i miei studi di medicina. Ricordo ancora l’impressione di straordinaria novità che suscitavano i suoi scritti in un cattolico della metà degli anni Cinquanta.

L’associazionismo cattolico era allora molto popolare. Però al laico credente era estranea l’idea – diffusa da Escrivá sin dal 1928 – che potesse esistere una vera vocazione secolare, ossia che vi fosse una chiamata specifica alla santità per coloro che vivessero nel contesto di un’attività civile. Più stupefacente ancora era la sua insistenza che, per il laico credente, la "materia" della santità fosse proprio ciò che costituiva il suo lavoro e la totalità delle circostanze quotidiane della sua vita.

Alcuni anni dopo, nel 1960, ebbi l’opportunità di incontrarlo personalmente. L’occasione era solenne: l’Università di Saragozza gli conferiva il titolo di dottore honoris causa. Non esitai a intraprendere un viaggio di 500 chilometri per poterlo vedere: da alcuni anni, infatti, il Fondatore dell’Opus Dei si era trasferito a Roma e non erano molto frequenti i suoi viaggi in Spagna.

Potei parlare con lui solo un momento, quando era già sul punto di recarsi all’università, ma quel fugace colloquio mi permise di constatare la ricchezza di un carattere nel quale due aspetti risaltavano in modo particolare.

Innanzitutto un atteggiamento positivo, audace e ottimista nei confronti della vita e dell’esistenza umana. Si aveva la netta impressione che Josemaría Escrivá non avesse mai diffidato o sospettato della vita. In secondo luogo, una gioia che pervadeva tutte le manifestazioni della sua personalità. Entrambi i tratti sgorgavano dal suo carattere con tanta evidenza e costanza che senza dubbio affondavano le loro radici in convinzioni molto profonde, piuttosto che in stati d’animo.

Le brevi parole che mi diresse erano piene di tale affetto e di spontanea semplicità da sembrare in contrasto con la solennità di quel giorno. L’autore dei libri che avevano dato un nuovo orizzonte alla mia vita, senza cambiarne l’orientamento professionale, era un tutt’uno con quanto lui stesso scriveva. Josemaría Escrivá non teorizzava sulla vita cristiana: la viveva e, poi, la insegnava.

Cinque anni accanto a lui
Anni dopo mi trasferii in Italia. E per cinque anni, fino alla sua morte, nel 1975, vissi accanto a lui a Roma. L’esperienza di vita accanto a un santo è certamente singolare. Ebbi la certezza che i santi non nascono tali. La loro santità si costruisce giorno per giorno: con sforzo, con abnegazione, con l’ostinata determinazione di chi vuole svuotarsi di sé stesso per riempirsi della presenza di Dio… e degli altri. Per questo accanto a lui si vivevano momenti umanamente deliziosi. Era vivace e cordiale e, quando necessario, persino chiassoso.

Maestro di santità, intellettuale, con un dottorato in Diritto civile e uno in Teologia, scrittore finissimo, non esitava a farsi – sono sue parole – «giullare di Dio» se questo poteva aiutare una persona a lui vicina a dimenticarsi di un momento di difficoltà, di incomprensione, di malattia. Il passare degli anni sembrava dargli non solo le inevitabili limitazioni fisiche, ma soprattutto buon umore. Dato che era esigente – più con sé stesso che con gli altri –, era evidente che praticava un’esigenza amabile, di quelle che rendono facile vivere la virtù. In uno dei suoi libri si trova quel consiglio che sapeva vivere egregiamente: «Tutto ciò che adesso ti preoccupa trova posto in un sorriso, abbozzato per amore di Dio». E aveva più di un motivo per sapere ciò che la parola "preoccupazioni" significava…

Un giorno gli parlai di una persona della mia famiglia che, già anziana, era rimasta vedova, era ammalata e viveva da sola. Nella lettera che avevo ricevuto da lei, mi raccontava dei suoi malanni e della sua solitudine che ogni giorno offriva – con molta preghiera – per le intenzioni del Fondatore dell’Opus Dei. La cosa lo commosse profondamente. Subito mi disse: «Scrivile per ringraziarla di questo; ma dille anche che offra per me i momenti di gioia…».

Incontrare il divino che c’è in noi
Quando si è vissuto con un santo, si cambia l’idea della santità astratta, lontana, irraggiungibile, nella quale prevalgono solo gli aspetti inusuali, straordinari dell’esistenza. Josemaría Escrivá insegnava a incontrare quel "qualcosa di divino" che si trova nella vita di tutti i giorni. Non una vita straordinaria fatta di improbabili momenti stellari, ma la vita quotidiana – nel lavoro, nella famiglia, nelle relazioni umane, nella salute e nella malattia… –, in cui lo straordinario è il cercare Dio con tenacia. Non cose straordinarie, ma il fare straordinariamente bene le cose comuni di cui la vita è piena.

«Quando la fede vibra nell’anima», diceva, «ci si accorge che i passi del cristiano non si allontanano dalla vita normale e quotidiana di ogni uomo. E che la santità grande, che Dio ci richiede, è racchiusa nelle piccole cose di ogni giorno, qui e ora».

E questo è l’atteggiamento che può fare del presunto – o reale – monotono grigiore della nostra quotidianità una vera opera di Dio.