«Cancerizzazione da radiodermite cronica grave al terzo stadio, in fase irreversibile e con prognosi infausta». Questa la diagnosi formulata all'unanimità dalla Consulta Medica della Congregazione vaticana delle Cause dei Santi nel processo per valutare se la guarigione attribuita all'intercessione del beato Escrivà de Balaguer fosse da dichiarare «scientificamente inspiegabile».
Dopo molte visite sul paziente, precisi esami diagnostici, l'interrogatorio di decine di testimoni, l'esame di tutta la documentazione, i medici della Consulta, nessuno dei quali appartenente all'Opus Dei, ha risposto positivamente.
Ha cioè ricordato che non è documentato alcun caso di guarigione dalla radiodermite, una malattia della pelle determinata dall'esposizione ai raggi X e che porta a formazioni cancerose che provocano metastasi. Nel caso esaminato, poi, la malattia aveva avuto un decorso di quasi trent'anni ed era ormai nella fase più avanzata, tanto da avere reso invalido il paziente, rassegnato a una fine non lontana.
Malgrado questo, a partire dall'autunno del 1992, era iniziato improvvisamente un inesplicabile processo di guarigione, con sparizione delle piaghe cancerose, fino a permettere la ripresa totale delle attività lavorative. Un caso mai visto, sconosciuto agli annali medici. Da qui, la dichiarazione degli scienziati di «inspiegabilità» che i teologi traducono, nel loro linguaggio, in «miracolo».
Dunque, il fondatore dell'Opus Dei, Josemaria Escrivà de Balaguer y Albàs, sarà iscritto nell'elenco, il canone, dei santi per avere ottenuto da Dio la guarigione di un connazionale, Manuel Nevado Rey, 69 anni, medico traumatologo, colpito dalla malattia professionale dei suoi coetanei, costretti sino a tempi recenti a lavorare con apparecchiature radiologiche pericolose.
Già pochi anni dopo l'inizio della professione, si erano manifestati i primi sintomi della radiodermite cronica che, come gli confermeranno tutti i colleghi dermatologi, era implacabile, irreversibile, incurabile.
Nel novembre del 1992 aveva già da tempo abbandonato la chirurgia che le sue mani ulcerate non gli consentivano e aveva deciso di dedicare il poco tempo che gli rimaneva curandosi di certi suoi amati vigneti. Proprio per questo si trovava, cercando informazioni, al ministero dell'Agricoltura di Madrid dove un funzionario, scorgendo le sue piaghe, gli dette un'immaginetta di Escrivà de Balaguer, proclamato beato da pochi mesi, suggerendogli di pregarlo.
Il dottor Nevado non aveva contatti con l'Opus Dei e ne conosceva appena il fondatore: mise nel portafoglio l'immaginetta senza particolare convinzione.
Poco dopo, però, si recò a Vienna. Girando per le chiese, scoperse che, sparsi per panche ed altari, c'erano molti «santini» eguali a quello che gli era stato donato a Madrid. Colpito da quella devozione per uno spagnolo anche in terra germanica, cominciò a recitare la preghiera di intercessione scritta sul retro. Da subito, cominciò la remissione dei sintomi che sbalordì prima il paziente e poi i colleghi specialisti che lo visitarono.
Delle piaghe, come hanno constatato i medici della Consulta vaticana, restano solo le cicatrici e la funzionalità delle mani è tornata perfetta, tanto che ogni giorno il dottor Nevado opera nel suo ospedale presso Badajoz.
Nei dieci anni trascorsi dalla beatificazione di Escrivà la postulazione ha raccolto molte migliaia di segnalazioni di «favori» e «grazie» che sarebbero da attribuire alla sua intercessione. In questa massa imponente, è stata isolata una ventina di casi di guarigioni che sembravano già a prima vista inspiegabili e, dunque, prodigiose. C'è il caso, ad esempio, di un bambino guarito istantaneamente dalla restrizione, inoperabile, di un'arteria renale pochi giorni dopo la beatificazione.
Alla fine, si è deciso di concentrare l'attenzione sul caso del dottor Nevado. Perché? Certamente perché la radiodermite cronica è ancora oggi incurabile e dall'esito infausto (le metastasi tumorali, nell'ultimo stadio, come questo, finiscono per invadere il corpo) e per essa non possono certo valere sospetti di «guarigione per suggestione».
Non esiste alcun caso di remissione di questa malattia, che avanza sempre, lenta ma implacabile, sino alla fine. Poi, perché il paziente, medico, poteva giudicare egli stesso della sua situazione ed aveva consultato molti colleghi, chiamati poi a Roma a testimoniare. Il dossier, dunque, era ampio e scientificamente impeccabile.
Ma, poi, pare che sulla scelta di questo caso abbia influito anche una motivazione spirituale. Come si sa, cuore del messaggio della mitica Obra è la santificazione attraverso il lavoro quotidiano, quale che sia (dal manovale al banchiere), purché portato avanti al meglio delle proprie capacità.
Ebbene: questo è un miracolo che ha avuto per protagonista un lavoratore come tanti, un bravo ma oscuro ortopedico di provincia che, sin dall'inizio, si accorse a che cosa lo avrebbe portato la sua professione. Eppure, assunse volontariamente il rischio e continuò a favore degli ammalati, usando giorno dopo giorno apparecchiature radiologiche che aiutavano i pazienti a guarire ma avvelenavano lui.
Miracolo di Dio, certo; ma anche buona volontà, in qualche modo «santità quotidiana nel lavoro» del miracolato, pur ignaro della spiritualità dell'Opus Dei e semplice cristiano da messa domenicale.
Infine, sulla scelta deve avere influito anche il carattere sicuro, scientificamente inattaccabile ma, in fondo, poco «spettacolare» di questo miracolo.
Monsignor Escrivà («Nostro Padre» come tutti lo chiamano nella sua Opera) non amava l'esibizione del «prodigioso», convinto che il miracolo vero fosse una vita di lavoro, non sopportato ma affrontato, per amore di Dio, con impegno e con gioia. La guarigione per la quale salirà definitivamente agli altari non ha nulla del «colpo di teatro», nulla di melodrammatico: un miracolo «tranquillo», le mani di un lavoratore che guariscono e gli permettono di riprendere il lavoro. Un mistero, certo. Ma in un quadro di silenziosa quotidianità a lui assai caro.
Uno stile ben differente da quello di padre Pio che il «caso» (anche se la parola non ha senso in una prospettiva cristiana) ha voluto gli fosse accomunato nella proclamazione del miracolo per accedere agli altari.
Non che il Frate di San Giovanni Rotondo cercasse notorietà e clamore. Al contrario. Ma furono gli eventi che gli scatenarono intorno folle acclamanti, plotoni di giornalisti, squadre di inquisitori, sotto la luce implacabile dei riflettori.
Negli stessi anni, vissero vite ben diverse, ma che ora la Chiesa accomuna nella santità. In fondo, un'ennesima riprova dell'infinita varietà di destini e di carismi che convivono in quella che, malgrado tutto, resta la più grande comunità religiosa del mondo.