L'erezione
dell'opus Dei in Prelatura Personale
Un
semplice, breve comunicato: non di rado decisioni importanti per la
vita della Chiesa vedono in questo modo la luce e incominciano a
produrre i loro effetti per il bene delle anime. Così
avviene oggi con il testo della Santa Sede, che rende noto un
provvedimento pontificio di notevole rilievo ecclesiale: l'erezione
dell'Opus Dei in Prelatura personale in base a norme del Concilio
Vaticano II (Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10 § 2) e del
diritto postconciliare (Motu pr. Ecclesiae Sanctae, I, n. 4), e che fa
giustizia di una cospicua fioritura più o meno illustrata di
illazioni e di allarmi.
È
la prima volta che tali norme vengono applicate a una istituzione
ecclesiastica, e già questo fatto è di per
sé sufficiente a giustificare l'interesse per un avvenimento
sintetizzato in così poche righe. Ma esso contiene talune
novità sulle quali è opportuno fissare
l'attenzione per comprendere l'esatta portata di un evento che
costituisce una pietra miliare dello sviluppo promosso dal Concilio in
campo dottrinale e giuridico. L'originalità dell'iter
istituzionale dell'Opus Dei e la peculiarità della sua
fisionomia illuminano la rilevanza giuridica e pa sforale del
provvedimento oggi pubblicato.
Le
Prelature personali
Il Concilio Vaticano II precisa la specifica ragion d'essere delle
Prelature personali quando osserva che la loro erezione può
rivelarsi utile per "motivi apostolici", cioè per
"l'attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi
gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura in tutto il
mondo" (Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10).
Tali
Prelature - che per lo svolgimento delle loro peculiari iniziative
pastorali avranno sempre dei sacerdoti secolari incardinati - saranno
regolate - così il dettato conciliare - da norme appropriate
ai singoli casi, per specificarne la natura e le finalità, e
per salvaguardare, in ottemperanza alle esigenze della comunione
ecclesiale, i diritti dei Vescovi nel cui territorio opera una
Prelatura personale.
Queste
prelature, infatti, pur essendo delle strutture giurisdizionali di
carattere personale, vengono ad assumere una propria fisionomia, che le
diversifica sia dalle diocesi personali o dai Vicariati castrensi,
basati sul principio dell'indipendenza o autonomia nei riguardi delle
Chiese locali, sia dagli istituti di vita consacrata, religiosi od
altri, i cui membri professano un particolare stato di vita.
Le
citate disposizioni conciliari hanno ricevuto l'interpretazione
autentica del Motu pr. di Paolo VI Ecclesiae Sanctae, che le ha rese
esecutive. Le norme particolareggiate di applicazione precisano, fra
l'altro, che "nulla impedisce che dei laici [...] mediante convenzioni
con la Prelatura, si dedichino al servizio delle opere e delle
iniziative di essa".
Ciò
corrisponde meravigliosamente all'apertura degli orizzonti ecclesiali
operata dal Concilio, quando ha sottolineato che la missione apostolica
della Chiesa non può essere ridotta all'azione della Sacra
Gerarchia, ed ha così riconosciuto e promosso il ruolo dei
laici nell'unità di questa missione (cfr Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 10; Decr. Christus Domimis, n. 16; Decr. Apostolicam
actuositatem, nn. 2, 5 ecc.; Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 9).
La
rinnovata presa di coscienza della funzione insostituibile dei laici,
sempre operanti in intima comunione con i sacerdoti nell'adempimento
della missione affidata da Cristo alla sua Chiesa, è uno dei
frutti più preziosi del Concilio e trae con sé
varie conseguenze. La principale di esse è che l'azione dei
chierici e quella dei laici, fatte salve le rispettive caratteristiche
specifiche, convergono necessariamente, e si richiamano l'un l'altra in
modo non solo generico per il raggiungimento dell'unico e comune fine
della Chiesa - la salvezza delle anime -, ma anche specifico per la
realizzazione di peculiari finalità apostoliche, connotate
da speciali impegni e attività, come appunto avviene nelle
Prelature personali.
Un
problema istituzionale
Questo generale contesto normativo si è dimostrato molto
consono alla realtà sociale dell'Opus Dei, che trova
così un'adeguata e definitiva configurazione ecclesiale.
In
effetti l'Opus Dei, fondato a Madrid il 2-10-1928 da Mons. Josemaria
Escrivá de Balaguer, non aveva finora trovato nella
legislazione generale della Chiesa le norme adatte e sufficienti per la
sua adeguata sistemazione canonica. Ciò non deve
sorprendere, trattandosi di un peculiare fenomeno teologico e pastorale
che è nato, così scriveva Paolo VI al Fondatore
dell'Opera il 1° ottobre 1963, "come espressione vivace della
perenne giovinezza della Chiesa, sensibilmente aperta alle esigenze di
un apostolato moderno".
Già
nei primi anni di vita dell'Opus Dei due esigenze essenziali emersero
dalla sua identità e dal suo dinamico sviluppo: la
necessità di fare assegnamento su sacerdoti incardinati
nell'istituzione stessa - e dunque pienamente disponibili e preparati
per la specifica assistenza spirituale ai membri laici -, e la
necessità di una organizzazione e di un regime di governo a
carattere universale e centralizzato.
A
tali attese era stata data, nel 1943 e nel 1947, la soluzione giuridica
meno inadeguata per quegli anni, nel quadro del diritto comune, che
garantiva - per quanto allora possibile - la secolarità
dell'istituzione. Ma si trattò pur sempre di soluzioni
parziali, che non offrivano quella piena garanzia di
secolarità tanto necessaria e desiderata.
Perciò,
il Fondatore dell'Opus Dei, nel rilevare umilmente le
difficoltà oggettive di questa situazione, non
mancò di manifestare alla Santa Sede la filiale speranza
che, al momento opportuno, si potesse pervenire alla soluzione
giuridica oggi raggiunta, che lui stesso nel 1962 aveva auspicato e
richiesto.
I
documenti del Concilio Vaticano II, con le ricordate norme di
applicazione, aprivano finalmente nella legislazione generale della
Chiesa l'alveo giuridico adeguato alla giusta soluzione del problema,
evitando così il ricorso ad atti che avrebbero avuto
carattere di singolarità e di privilegio. Fu Paolo VI, nel
1969, a consigliare al Fondatore dell'Opus Dei la convocazione del
Congresso Generale speciale, che diede l'avvio agli opportuni studi in
vista della trasformazione dell'Opera in Prelatura personale.
Dopo
la scomparsa di Mons. Josemaria Escrivá de Balaguer (1975) e
di Paolo VI (1978), questi lavori furono espressamente confermati e
sollecitati da Giovanni Paolo I e da Giovanni Paolo II. Il regnante
Pontefice, nel 1979, diede incarico al competente Dicastero della Curia
Romana, la Sacra Congregazione per i Vescovi, di esaminare in base a
tutti i dati di fatto e di diritto la richiesta formale inoltrata
dall'Opus Dei.
Nel
corso di tale studio, protrattosi in successive fasi di lavoro per
oltre due anni, sono stati vagliati tutti gli aspetti, storici
giuridici dottrinali e pastorali, del problema. Ciò ha
consentito non solo di fugare ogni eventuale dubbio sulla fondatezza,
la possibilità e le modalità concrete
dell'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale, ma anche di
rilevarne l'opportunità e l'utilità sia
intrinseca (alla natura e finalità dell'Opera) sia
estrinseca (in rapporto alla Chiesa universale e alle Chiese
particolari).
Le
ricerche e le conclusioni di questo studio, raccolte in due volumi di
complessive 600 pagine, furono sottoposte all'esame e alla
deliberazione collegiale di una commissione cardinalizia. In base al
parere espresso da questo consesso, Giovanni Paolo II, nel novembre
1981, dispose che si muovessero i passi opportuni per procedere
all'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale.
Con
gesto di deferenza verso i Vescovi volle però che, prima
della realizzazione pratica del provvedimento, venisse inviata per il
tramite delle Rappresentanze pontificie agli oltre duemila Vescovi
diocesani delle nazioni in cui l'Opus Dei è presente con
Centri canonicamente eretti, una notificazione espositiva dei contenuti
essenziali del provvedimento stesso, lasciando ai destinatari un
considerevole margine di tempo per presentare eventuali osservazioni e
suggerimenti.
Numerose sono state le risposte di Vescovi che hanno manifestato la
loro soddisfazione per il modo in cui, in perfetta consonanza con le
norme applicative del Concilio Vaticano II, si è pervenuti
all'auspicata soluzione del problema istituzionale dell'Opus Dei. Non
sono mancate, anche se in numero assai minore, le lettere contenenti
osservazioni o richieste di chiarimento: accuratamente esaminate nella
sede competente, sono state tenute tutte nel debito conto, e si
è anche provveduto a soddisfare ogni domanda di nuove
spiegazioni.
La
consultazione dei Vescovi si è dimostrata utilissima
perché, in conseguenza di questo gesto di affetto
collegiale, si è proceduto ad un nuovo approfondito esame
degli Statuti redatti da Mons. Josemaria Escrivá. Detto
esame ne ha confermato la saggezza e la validità,
evidenziando in essi i chiari segni del carisma fondazionale e del
grande amore del Servo di Dio per la Chiesa.
La
configurazione giuridica definitiva dell'Opus Dei
L'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale corrisponde dunque
pienamente al suo carisma fondazionale ed alla realtà
sociale e apostolica dell'istituzione. L'Opera, infatti, costituisce
un'unità apostolica, organica e indivisibile
(un'unità, cioè, non soltanto di vocazione e di
spirito, ma anche di regime, di formazione e di finalità
specifica), con oltre mille sacerdoti incardinati e oltre 72.000 laici
incorporati, uomini e donne di 87 nazionalità, di tutte le
professioni, mestieri e condizioni sociali.
Va
ricordato in primo luogo - ed è un aspetto particolarmente
apprezzato dall'episcopato mondiale - che la nuova configurazione
giuridica dell'Opus Dei mantiene inalterate, precisandole
ulteriormente, le norme che finora hanno regolato i rapporti
dell'istituzione con i Vescovi diocesani e le Chiese particolari.
La
potestà del Prelato, pur se chiaramente esercitata in altro
campo, può essere considerata equivalente a quella dei
Superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto
pontificio. Solo equivalente, in quanto essa è
concettualmente diversa nel sistema giuridico ecclesiale: infatti la
natura delle Prelature personali (cfr Ecclesiae Sanctae, I, n. 4
§ 1) è nettamente secolare, come lo è la
natura dell'Opus Dei, i cui membri non cambiano la loro condizione
teologica e giuridica di chierici o di laici secolari.
I
sacerdoti incardinati nell'Opus Dei provengono dagli stessi fedeli
laici in esso incorporati, ricevono la formazione in appositi Centri
della Prelatura eretti secondo norme approvate dalla Santa Sede, e sono
chiamati ai sacri ordini dallo stesso Prelato al quale compete,
com'è ovvio, il regime dei propri sacerdoti. Essi, peraltro,
sono sottoposti nelle singole Chiese locali, e secondo le prescrizioni
del diritto, sia alle leggi che regolano la disciplina generale del
clero, sia alle norme riguardanti le direttive generali di carattere
dottrinale e pastorale e l'ordinamento del culto pubblico.
I
laici che si dedicano al servizio del fine apostolico della Prelatura
mediante un preciso vincolo contrattuale e non in forza di particolari
voti, rimangono fedeli laici nelle rispettive diocesi in cui risiedono;
sono quindi sotto la giurisdizione del Vescovo diocesano in tutto
ciò che il diritto stabilisce per la generalità
dei semplici fedeli. Solo per quanto concerne il compimento dei
peculiari impegni ascetici, formativi e apostolici da loro liberamente
assunti tramite il vincolo di dedizione al fine proprio della Prelatura
- impegni di per se stessi al di fuori della competenza dell'Ordinario
del luogo -, essi sono sotto la giurisdizione del Prelato.
Dato,
poi, che l'azione apostolica dell'Opus Dei si svolge entro l'ambito
delle Chiese particolari, gli Statuti della Prelatura, sanciti dalla
Santa Sede, assicurano anche il necessario e doveroso coordinamento
pastorale territoriale, nella piena salvaguardia dei legittimi diritti
degli Ordinari dei luoghi. Sono, ad esempio, le norme che prescrivono
l'autorizzazione del rispettivo Vescovo diocesano per poter procedere
all'erezione dei singoli Centri dell'Opus Dei; che contemplano le
convenzioni da stipularsi per l'eventuale affidamento di parrocchie o
di rettorie e l'assegnazione di uffici ecclesiastici diocesani; che
prevedono i contatti da mantenere regolarmente in tutte le nazioni con
il Presidente e gli organismi della Conferenza Episcopale, e in modo
frequente con i Vescovi delle diocesi in cui la Prelatura è
presente o lo sarà in futuro.
Un'ultima
precisazione appare opportuna, ad evitare possibili equivoci. Essa
riguarda quei sacerdoti incardinati in una diocesi che si associano
all'Opus Dei per essere aiutati a raggiungere la santità
personale nell'esercizio del proprio ministero. Non per questo tali
sacerdoti entrano a far parte del clero della Prelatura ma - in
virtù del diritto loro riconosciuto dal Decreto
Presbyterorum Ordinis, n. 8 § 3 - risultano semplicemente
ascritti alla Società Sacerdotale della Santa Croce,
l'associazione sacerdotale inseparabilmente unita alla Prelatura.
Perciò
l'unico loro Ordinario è e rimane il Vescovo diocesano, da
cui essi dipendono canonicamente.
La configurazione giuridica definitiva dell'Opus Dei, con l'iter che
l'ha preceduta, è una significativa conferma dell'intima
armonia esistente tra carisma e norma della vita della Chiesa. L'atto
pontifìcio di cui è stata data oggi pubblica
notizia, rappresenta pertanto un bene per la Chiesa universale. Esso
infatti non si limita a risolvere un problema istituzionale, ma
dà attuazione ad una nuova figura giuridica e pastorale
auspicata dal Concilio Vaticano II.
In questo atto di governo della Santa Sede si può inoltre
ravvisare un gesto di riconoscimento e di apprezzamento per
l'attività svolta dall'Opus Dei, che mira a diffondere in
tutti gli ambienti della società una profonda e personale
consapevolezza della chiamata universale alla santità e
all'apostolato. Più specificamente anche l'Opus Dei
(operatio Dei, "lavoro di Dio"), ricorda agli uomini di ogni tempo e di
ogni paese il significato e il valore cristiano del lavoro quotidiano,
manuale o intellettuale, compiuto alla presenza di Dio per il bene dei
fratelli.
Il
Santo Padre Giovanni Paolo II, rivolgendosi a un gruppo di
professionisti, membri dell'Opus Dei, ebbe a dire: "Grande ideale,
veramente, il vostro, che fin dagli inizi ha anticipato quella teologia
del laicato che caratterizzò poi la Chiesa del Concilio e
del post-Concilio" (Allocuzione, 20 agosto 1979). Si tratta, in
effetti, di un impegno apostolico che, inserendosi pienamente nella
missione totale ed unica del Popolo di Dio, esprime teologicamente la
volontà divina di mettere a fuoco - anche tramite una
speciale istituzione ecclesiastica - un aspetto molto concreto e di
particolare importanza pastorale della vita del cristiano: vale a dire,
il valore santificante e apostolico delle ordinarie attività
quotidiane.
La
Chiesa, infatti, vede un suo dovere particolare anche nella formazione
di una spiritualità cristiana del lavoro, componente
essenziale dell'esistenza umana e mezzo e occasione di santificazione
personale e di apostolato (cfr Cost. past. Gaudium et spes, nn. 34 ss.;
enc. Laborem exercens, parte IV). È la lezione del lavoro
che ci viene da Nazareth, dalla Casa del "figlio del carpentiere" (Mt
13, 55), di quel lavoro appunto che per tanti anni incentrò
le gioie, le fatiche e le speranze redentrici di Gesù, nella
bottega di Giuseppe, accanto a Maria, Madre sua e nostra.