Risposta
dell'onorevole Scalfaro
Queste
interpellanze e queste interrogazioni, che riguradano lo stesso
argomento, saranno svolte congiuntamente.
Avverto che gli onorevoli interpellanti hanno fatto sapere alla
Presidenza di rinunciare allo svolgimento delle proprie interpellanze e
di riservarsi di intervenire in sede di replica.
L'onorevole ministro dell'interno ha facoltà di rispondere
alle interpellanze e alle interrogazioni di cui è stata data
lettura.
OSCAR LUIGI SCALFARO, Ministro
dell'interno - Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, chiedo scusa
se la lettura della risposta non sarà breve.
D'altra
parte, un certo clamore che fu sollevato che sembra rilevato
più dalle assenza che dalle presenze numeriche, ed il tema
stesso, nella sua complessità, nella sua
difficoltà, nella sua delicatezza, nonché le
questioni di principio che il tema coinvolge, hanno doverosamente
impegnato il ministro per una risposta la più articolata e
precisa possibile.
A
questo proposito, per rendere meno difficoltoso l'ascolto della mia
risposta, ho chiesto che ne venisse consegnata agli interpellanti una
copia, perché siano facilitati nel seguirla.
La
questione sollevata dalle interpellanze e dalle interrogazioni investe
almeno due delle massime espressioni della libertà del
cittadino, quella di professare la propria fede religiosa e quella di
associazione.
La materia si intreccia insetricabilmente con le fondamentali garanzie
di libertà dell'uomo, ancor prima che del cittadino,
solennemente riconosciute nella nostra Costituzione come "inviolabili":
"la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo"
(così recita l'articolo 2 della Carta costituzionale).
Non
si può discutere, difatti, della natura dell'Opus Dei, delle
finalità che essa persegue, dei modi di organizzarsi, delle
forme di proselitismo seguite, non si può giudicare una
relatà aggregativa fatta di uomini che sono insieme
cittadini e fedeli, senza tenere bene in mente che si discute in buona
sostanza del principio stesso di libertà, nella sua assenza
ed in ogni sua espressione: libertà di opinione, di credo
politico, di impegno sociale; ma, innanzitutto e soprattutto,
libertà di fede religiosa.
Si
tocca qui il punto più delicato e profondo della
libertà dell'uomo: la libertà di credere nel
trascendente, di far spaziare il proprio pensiero oltre il contingente,
oltre la relatà quotidiana, di sperare in un domani senza
tramonto, di non aver dubbi che Qualcuno è da sempre e per
sempre, che Qualcuno per amore creò e crea, diresse e dirige
con mano onnipotente un mondo noto e ignoto di armonie e di apparenti
contrasti, nel quale la persona umana fragile e potente domina con il
pensiero e con l'amore.
Nessuno al mondo ha titolo per entrare in questa delicata, essenziale
libertà della persona umana: chi nella dolorosa storia
dell'umanità decise di entrarvi, rimase e rimarrà
violatore, dissacratore di quanto di più geloso e segreto e
vitale è nell'uomo. Guai a costoro! Sono stati, sono
tutt'oggi i più terribili ed infausti nemici della persona
umana.
Il
principio della libertà costituisce il fondamento e
l'essenza del nostro ordinamento costituzionale, la ratio che ispira ed
illumina la Carta costituzionale, della quale è anima,
respiro e vita.
E
il principio viene solennemente enunciato, nella nostra Costituzione,
in ogni sua espressione: dalla sacralità della persona al
diritto di riunione, di manifestazione del pensiero, di scelta della
attività di lavoro, di partecipazione alla vita sociale e
politica.
In
ognuna di tali enunciazioni il costituente, nell'intento di offrire
ogni possibile garanzia, ha definito espressamente le limitazioni che
è consentito eccezionalmente imporre all'esercizio di
ciascun diritto, in modo che non fosse dato ammetterne altre, neanche
da parte del legislatore ordinario.
Chi ha vissuto la preparazione di quelle solenni enunciazioni non
dimentica il travagli sofferto per generare ed esprimere la
volontà politica di tradurre in norme fondamentali, con
scienza e coscienza, le espressioni vive del supremo bene della
libertà.
Si
sentiva il delicato compito di porre le mani su quanto di
più sacro integri la dignità della persona umana,
valore qualificante, senza misura, che l'uomo prepotente aveva
conculcato, e dolori e glorie, lacrime e sangue, sacrifici, eroismi
noti e ignoti avevano riconquistato.
Nacuqe
così una costituzione architettonica di princìpi
che, snodandosi per successive argomentazioni e votazioni, dette vita
alla nostra Carta costituzionale, prodotto finito di luminosa e
paziente cesellatura.
Rileggiamo insieme gli articoli direttamente attinenti al nostro tema:
"I
cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi"
(articolo 17, primo comma); "I cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai
singoli della legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche
indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere
militare" (articolo 18); "Tutti hanno diritto di professare liberamente
la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata,
di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto,
purché non si tratti di riti contrari al buon costume"
(articolo 19);
"Il
carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una
associazione od istituzione non possono essere causa di speciali
limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per
la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di
attività" (articolo 20);
"Tutte
le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le
confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i proprio statuti, in quanto non contrastino con
l'ordinamento giuridico italiano" (articolo 8, primo e secondo comma);
"Lo
Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani" (articolo 7, primo comma). Di tali norme
anzitutto dobbiamo tener conto.
Il
processo ragionativo si è basato: sotto il profilo della
"libertà religiosa", sull'intrinseco valore attribuito alla
professione di fede - in forma individuale o associata, esercitata o
propagandata in privato o in pubblico - da uno Stato aconfessionale che
riconosce, in regime di reciprocità, l'indipendenza e la
sovranità della Chiesa cattolica, nel proprio ordine,
estendendo il principo di uguaglianza, di fronte alla legge, a tutte le
confessioni religiose sotto il profilo della "libertà di
associazione", sull'ampio riconoscimento del valore associativo che
trova ostacoli soltanto in presenza di fini vietati ai singoli della
legge penale e si sviluppa in un insieme armonico, volto a non
disattendere la "socialità" e l'"umanità" della
singola persona, cittadino libero e volenteroso di comunanze e di
liberi rapporti con i suoi simili, anche in disegni trascendenti,
definiti legittimi, e, come tali, tutelati.
Si
ha qui l'applicazione del principio più generale
solennemente proclamato nella seconda parte dell'articolo 2 che
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, anche "nelle
formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità".
La
libertà di pensiero, di religione, di fede politica, di
associazione, sono assolute e intangibili e danno vita alla democrazia:
non si possono disattendere, alterare, intaccare senza minare alla base
le fondamenta stesse della civile convivenza.
Di
ciò il Parlamento ha avuto sempre somma consapevolezza,
tant'è che esso, anche negli anni sanguinosi del terrorismo,
non ha ceduto all'impulso di sacrificare i principi di
libertà neanche in parte o limitatamente nel tempo.
La questione sollevata dagli onorevoli interroganti va
altresì inquadrata in un altro contesto non meno
fondamentale: quello dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa
cattolica così come delineati dall'articolo 7 della
Costituzione, che li vuole "ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani", e come solennemente ribaditi con l'accordo di Villa Madama
del 18 febbraio 1984.
Con
tale accordo, infatti: le due parti hanno riaffermato il principio
costituzionale della rispettiva indipendenza e sovranità
impegnandosi al pieno rispetto di tale principio; mentre lo Stato ha
riconosciuto alla Chiesa cattolica la piena libertà di
svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di
evangelizzazione e di santificazione, assicurandole libertà
di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del
magistero e del ministero spirituale, ed ha garantito ai cattolici,
alle loro associazioni ed alle loro organizzazioni, piena
libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Questi
i presupposti, che ineriscono a rapporti tra soggetti di diritto
internazionale, che di questo diritto seguono i principi e la
disciplina.
Lo Stato, che nella sua Costituzione ha assunto solennemente l'impegno
di garantire, su basi di reciprocità, l'indipendenza e la
sovranità della Chiesa, nel momento in cui estende la sua
attenzione ed il suo giudizio su una relatà come l'Opus Dei,
non può non porsi il problema della collocazione di tale
istituzione nel quadro generale dei rapporti tra i due ordinamenti.
E'
da tener presente che l'Opus Dei, eretta dalla Santa Sede nel 1982 in
prelatura personale di ambito internazionale, ha carattere
istituzionale e fa parte della Chiesa quale estrinsecazione appunto del
potere di auto-organizzazione della Chiesa stessa espresso al
più alto livello.
Ora
non vi è dubbio che un sistema di rapporti tra Stato e
Chiesa cattolica così come disegnato dalla Costituzione,
ribadito poi da un accordo liberamente stipulato dalle parti e
ratificato dal Parlamento, non può lasciare spazio alcuno a
poteri inquisitivi o coercitivi dello Stato verso la Chiesa, a meno che
lo Stato non infranga gli impegni liberamente e solennemente assunti.
Il
Governo ha il dovere di rispondere con verità e chiarezza
alle domande dei parlamentari nell'esercizio del loro delicato potere
ispettivo, ma ha egualmente quello di non turbare, neppure con
apparenti incrinature, il dettato costituzionale che garantisce alla
Chiesa cattolica la piena libertà e, nel suo ordine,
l'indipendenza e la sovranità.
Questo
rapporto costituzionale e pattizio, mentre è del tutto
inconciliabile con eventuali indagini di qualsiasi genere condotte
dallo Stato, impone, per dovere di correttezza e di lealtà,
la via maestra della richiesta ufficiale alla Santa Sede di ogni
elemento di diritto e di fatto relativo agli interrogativi che i
parlamentari hanno posto al Governo per quanto attiene alla presenza in
Italia dell'Opus Dei.
Il
Presidente del Consiglio, nel conferirmi questo incarico, mi ha
consegnato atti, dichiarazioni ed attestazione trasmessigli dalla
Segreteria di Stato del Vaticano.
Il
fatto che tali documenti non avessero il crisma della
ufficialità, né una esplicita assunzione di
responsabilità da parte della Santa Sede, mi hanno indotto
ad interpellare la Santa Sede, che il 6 giugno scorso mi ha risposto
con la lettera di sua eccellenza reverendissima monsignor Achille
Silvestrini, segretario del Consiglio per gli affari pubblici della
Chiesa, facendomi pervenire un apposito "Officio" della competente
congregazione per i vescovi e specificando che "le risposte ivi
espresse rappresentano la posizione ufficiale della Santa Sede e sono
impegnative per la prelatura dell'Opus Dei".
Tutto
ciò premesso vediamo in sintesi che cosa le interrogazioni e
le interpellanze chiedono al Governo: anzitutto, di riferire in merito
alla natura, ai fini ed all'attività dell'Opus Dei,
chiarendo in particolare se essa sia retta da statuti e codici che la
qualifichino come associazione segreta e se gli affiliati siano legati
alla istituzione da particolari obblighi di obbedienza.
In
secondo luogo, chiedono di disporre indagini al fine di: accertare
detti elementi; verificare se operino nell'ambito dell'Opus Dei
funzionari civili e militari, dirigenti di enti pubblici economici e di
imprese pubbliche, rendendone noto, in caso positivo, l'elenco;
adottare, ove ne ricorrano i presupposti, nei confronti della
istituzione e dei singoli, le misure di cui alla legge n. 17 del 1982.
In
termini diversi gli interroganti chiedono: di chiarire che nei fini e
negli stauti dell'istituzione non c'è alcunché di
segreto o di illecito; di prendere posizione a salvaguardia della
libertà religiosa; di affermare la impossibilità
per lo Stato di interferire nelle attività istituzionali
della Chiesa; di dichiarare le istituzioni ecclesiastiche non
suscittibili di valutazioni politiche.
Anzitutto è opportuna una migliore conoscenza della natura,
dei fini e delle attività dell'Opus Dei.
L'Opus
Dei fu fondata il 2 ottobre 1928 a Madrid allo scopo di diffondere il
messaggio cristiano della chiamata universale alla salvezza attraverso
la santificazione del lavoro quotidiano e si configurò come
una associazione di cattolici, laici ed ecclesiastici, particolarmente
impegnati in azioni di apostolato nel campo della promozione culturale
e professionale; nel 1941 venne riconosciuta canonicamente come "pia
unione" dal Vescovo di Madrid, il quale poi, nel 1943, a seguito di
nulla osta della Santa Sede, eresse canonicamente anche la
Società sacerdotale della Santa Croce, costituita da
appartenenti alla pia unione che si stavano preparando al sacerdozio.
Successivamente la Santa Sede conferì regime giuridico
universale all'ente: il 24 febbraio 1947 erigendolo in istituto
secolare di diritto pontificio con la denominazione di
società sacerdotale della Santa Croce ed Opus Dei; il 6
giugno 1950 approvandone gli statuti, denominati "Costitutiones
Societatis Sacerdotalis Sanctae Crucis et Operis Dei".
In
Italia conseguirono la personalità giuridica civile, negli
anni 1947, 1952 e 1953, quali entità locali dell'istituto
secolare la cui casa madre era, come detto, in Spagna, rispettivamente
la Procura generalizia della Società sacerdotale della Santa
Croce, la Regione italiana della Società sacerdotale della
Santa Croce ed il collegio romano della Santa Croce.
La
Santa Sede, infine, con la Costituzione apostolica "Ut sit" del 28
novembre 1982, atto con dignità di "legge istitutiva",
eresse l'Opus Dei in prelatura personale e ne approvò lo
statuto, che si denomina "Codex iuris particularis" o "Statuta" della
prelatura personale della Santa Croce e Opus Dei; l'Opus
cessò così di dipendere dalla Congregazione per i
religiosi e gli istituti secolari per passare sotto la competenza del
dicastero per i vescovi, e quindi del Papa; si vide confermare la
caratteristica della internazionalità ed assegnare come sede
centrale la città di Roma.
La
natura, come appena detto, è quella di prelatura personale,
di un ente cioé di carattere istituzionale, avente
personalità giuridica pubblica canonica, facente parte della
struttura costituzionale della Chiesa, non circoscritto in un ambito
territoriale, retto da un prelato con potestà
giurisdizionale, che è ordinario dell'ente stesso.
Le
finalità codificate dell'ente sono: la santificazione dei
fedeli della prelatura, secondo la sua specifica secolarità
secolare, attraverso l'esercizio delle virtù cristiane nello
stato, professione e condizione di vita di ciascuno; fare in modo che
persone di ogni condizione e stato della società pratichino
gli insegnamenti di Cristo, anche attraverso il valore santificante del
lavoro professionale ordinario; diffondere in tutti gli ambienti della
società una profonda presa di coscienza della chiamata
universale alla santità.
Per
quanto concerne l'attività della istituzione, sono stati
eretti canonicamente, in Italia, nel contesto dell'Opus Dei, centri in
diverse città italiane (oltre Roma: Milano, Palermo, Napoli,
Bologna, Bari, Catania, Genova, ed altre). Trattasi, per lo
più, di iniziative di tipo educativo, assistenziale, nel cui
contesto l'Opus Dei assume responsabilità formative e di
direzione spirituale: tali attività sono pubblicamente note.
Alcune
hanno forma nazionale o addirittura internazionale (come, ad esempio,
il centro internazionale della gioventù lavoratrice, con
sede a Roma, creato per iniziativa della Santa Sede e affidato all'Opus
Dei da Paolo VI nel 1965).
Il
vicariato dell'Opus Dei per l'Italia ha sede in Milano, Via Alberto da
Giussano 6, mentre a Roma opera un ufficio informazioni, individuabile
anche attraverso quel normale strumento di lavoro quotidiano che
è l'elenco telefonico.
Si
è chiesto di conoscere se l'Opus Dei sia retta da statuti e
codici che la qualifichino come "associazione segreta", vietata ai
sensi dell'articolo 1 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, recante norme
di attuazione dell'articolo 18 della Costituzione. Al riguardo la Santa
Sede dichiara testualmente (e cito esattamente la risposta ufficiale
della Santa Sede): "La prelatura Opus Dei è un'istituzione
della Chiesa, pubblicamente eretta a norma del codice di diritto
canonico e dotata di statuti ufficialmente sanciti dalla Santa Sede,
nei quali sono espresse anche le finalità ad essa proprie.
Gli organi direttivi dell'Opus Dei sono pubblici e ben noti,
così come le rispettive sedi.
Tutti
gli appartenenti all'Opus Dei - sia i sacerdoti incardinati nella
prelatura, sia i laici ad essa canonicamente vincolati con contratto
come numerari, aggregati e soprannumerari, sia i sacerdoti non
incardinati nella prelatura ma associati alla Società
sacerdotale della Santa Croce (ente intrinsecamente unito alla
prelatura) - sono tenuti ad evitare la segretezza e la
clandestinità in forza dell'articolo 89, paragrafo 2 del
"Codex iuris particularis" dell'Opus Dei; richiesti legittimamente
circa la loro appartenenza, hanno pertanto il dovere di manifestarla".
Do
lettura del paragrafo 2 dell'articolo 89 del "Codex iuris particularis".
"Quo efficacius suum finem assequatur Opus Dei, uti tale, humiliter
vivere vult: quare sese abstinet ad actibus collectivis, neque habet
nomen vel denominationem communem quibus Praelaturea fideles
appellentur; nec ipsi aliquibus publicis manifestationibus cultus, uti
processionibus, in tererunt collective, quin ex hoc occultent se ad
Praelaturam pertinere, quia spiritus Operi Dei dum fideles ducit ad
humilitatem collectivam enixe quaerendam, quo impensiorem atque
uberiorem efficaciam apostolicam attingant, omnino simul vitat secretum
vel clandestinitatem. Quapropter universis in circumscriptionibus
ominbus nota sunt nomina vicariorum praelati nec non eorum qui consilia
ipsorum efformant; Episcopis petentibus nomina communicantur non solum
sacerdotum praelaturae, qui in respectivis diocesibus suum ministerium
exercent, sed directorum etiam centrorum quae in diocesi erecta
habentur".
ANTONIO
GUARRA - Onorevole ministro, dopo la riforma del
centro-sinistra, di latino se ne insegna poco nelle scuole.
Qui solo Olindo del Nonno può capire!
(commenti al centro)
Ci sono deputati che sono venuti dopo la riforma, e il latino non lo
capiscono.
OSCAR
LUIGI SCALFARO, Ministro dell'interno - Non sempre,
onorevole, l'italiano che noi pronunciamo in quest'aula è
comprensibile per gli altri.
ANTONIO
GUARRA - Questo è vero!
OSCAR
LUIGI SCALFARO, Ministro dell'interno - Grazie.
CLAUDIO
PETRUCCIOLI - Da quella parte si sono sollevate obiezioni a
proposito dell'uso, negli atti ufficiali, di una lingua diversa da
quella latina.
MAURO
BUBBICO - Avanti così, onorevole ministro, che va
bene!
OSCAR
LUIGI SCALFARO, Ministro dell'interno - Lei è
addetto al traffico, onorevole?
Dicevo
che quanto dichiarato dalla Santa Sede costituisce di per sé
risposta esauriente, ma non esime il rappresentante del Governo dallo
svolgere talune considerazioni.
Si
è già detto che per la nostra costituzione, e
precisamente per l'articolo 20, "il carattere ecclesiastico e il fine
di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono
essere causa di speciali limitazioni legislative, né di
speciali gravami fiscali per la costituzione, capacità
giuridica e ogni forma di attività".
L'Opus
Dei è senza dubbio una istituzione ecclesiastica, le cui
norme attengono all'ordinamento canonico e non possono quindi formare
oggetto di censure da parte dell'ordinamento statale.
Ciò
non significa che il problema, specie per quanto attiene i membri laici
di nazionalità italiana, non debba essere esaminato alla
luce delle leggi italiane.
E' bene quindi considerare il problema stesso secondo il dettato
dell'articoo 18 della Costituzione e dell'articolo 1 della legge 25
gennaio 1982, n. 17, secondo il quale "si considerano associazioni
segrete quelle che, anche all'interno di organizzazioni palesi,
occultano la loro esistenza, ovvero tenendo segrete congiuntamente
finalità e attività sociali ovvero tenendo
sconosciuto, in tutto o in parte, ed anche reciprocamente, i soci,
svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio
delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche,
anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici,
nonché di servizi pubblici essenziali di interesse
nazionale".
Chi
ha partecipato ai lavori parlamentari per l'approvazione di tale legge
ricorderà certamente come si sia giunti a tale formulazione
muovendo da una generale concordanza sulla necessità di
qualificare segreta solo quella associazione per la quale concorresse,
oltre ad una volontà di occultamento, anche l'esercizio di
forme di interferenza sui pubblici poteri, e come si sia discusso a
fondo se tale interferenza, per integrare la fattispecie da vietare e
da perseguire, dovesse riguardare genericamente l'esercizio delle
pubbliche funzioni, o non, piuttosto, il "corretto" esercizio di tali
funzioni.
Nella
seduta del 4 dicembre 1981, la Camera soppresse tale aggettivo,
giustificando l'intervento emendativo - secondo l'illustrazione che ne
fece il proponente - con la "necessità di eliminare un
equivoco": quello secondo cui la formula originaria potesse portare al
risultato che "forme di interferenza su un esercizio non corretto delle
pubbliche funzioni, sarebbero ammissibili". Sono, queste, le parole del
relatore.
Tornato
il provvedimento al Senato, non furono poche le perplessità
e le riserve in ordine alla nuova formula.
Infatti in occasione della discussione presso la Commissione affari
costituzionali, nella seduta del 16 dicembre 1981, il relatore non
mancò di evidenziare che "l'articolo 1, nella sua
formulazione, presenta gravissimi problemi di distorsione applicativa,
giacché l'interferenza nelle funzioni degli organi non
è di per sé un disvalore, come attesta
l'attività dei sindacati, della stampa".
Le
perplessità vennero poi superate nella considerazione che il
concorso obbligato sia del requisito dell'occultamento degli elementi
costitutivi dell'associazione sia di quello dello svolgimento di
attività di interferenza sull'esercizio di pubbliche
funzioni, offrissero adeguate garanzie di salvaguardia delle esigenze
di libertà.
Nella
formula vigente, dunque, il limite tra il lecito e l'illecito, tra il
sacrosanto esercizio del diritto e la consumazione del reato
è individuabile nel nesso di preordinazione o, quanto meno,
di conseguenzialità che deve intercorrere tra l'azione di
occultamento dell'associazione e quella di interferenza nell'esercizio
di pubbliche funzioni, di talché la prima azione possa
essere considerata strumentale alla seconda. Fuori di questi limiti,
ogni fenomeno associativo non può che essere considerato
lecito.
E'
opportuno al riguardo il richiamo alle parole con le quali il relatore,
nella seduta del 10 aprile 1947, riferì all'Assemblea
Costituente sull'argomento: "... il diritto di associazione
è riconosciuto senza limitazioni, per fini che non sono
vietati ai singoli da leggi penali, ... ed è la forma
più ampia che si trovi in qualsiasi Costituzione". Sono le
parole del relatore all'Assemblea Costituente.
Questo
patrimonio di libertà tanto dovizioso da porre la nostra
Carta costituzionale a modello degli altri Stati e da far esaltare il
nostro paese per spirito di tolleranza costituisce il massimo bene
comune da salvaguardare e da difendere sopra ogni cosa.
Resta
evidente il fatto che nessuno dei requisiti voluti dall'articolo 1
della legge n. 17 del 1982 perché un'associazione possa
ritenersi segreta si attaglia all'Opus Dei, né sotto il
profilo della sua organizzazione, né sotto quello delle sue
regole, né relativamente alle attività poste in
essere.
In che consista l'attività dell'Opus Dei si è
già detto e non è dato ricondurla
all'attività del tipo descritto nell'articolo 1 richiamato.
Quanto
all'organizzazione e alle sue regole è noto che l'articolo 1
della legge n. 17 del 1982 ipotizza in proposito una serie di
alternative. Vi è quella di occultamento della stessa
esistenza dell'associazione: l'ipotesi, con riguardo all'Opus Dei,
è talmente priva di riscontro da non richiedere alcuna
particolare osservazione.
Vi
è anche quella di tener segrete congiuntamente
finalità e attività sociali: anche qui siamo
fuori di ogni riscontro nella realtà, essendo chiare e
proclamate le finalità e le attività sociali
dell'Opus Dei nel campo della formazione religiosa, secondo le
direttive spirituali del capo della Chiesa cattolica e in assonanza con
la sua opera ecumenica; e per quanto attiene ai fedeli non religiosi
l'Opus Dei - come dice il primo paragrafo dell'articolo 2 del citato
"Codex iuris particularis" - se ne propone la santificazione attraverso
l'esercizio delle virtù cristiane nello stato, professione e
condizione di vita di ciascuno, precludendosi però
espressamente di dar loro direttive o consigli nel campo delle loro
scelte in materia professionale; così infatti recita il
Codex: "Praelatura sibi proponit suorum fidelium, iuxta normas iuris
particularis, santificationem per exercitium in proprio cuisque statu,
professione ac vitae condicione virtutum christianarum, secundum
specificam ipsius spiritualitatem, porsus saecularem".
Vi
è ancora quella di rendere, in tutto o in parte, ed anche
reciprocamente sconosciuti i soci; ma neanche sotto tale profilo l'Opus
Dei può qualificarsi come associazione segreta;
né secondo la Costituzione né secondo la legge
vigente può pretendersi infatti che un'associazione, per
essere lecita e non segreta, sia tenuta a pubblicizzare all'esterno
l'identità dei propri associati; divieto di segretezza non
significa obbligo di pubblicizzazione; è anzi da considerare
al riguardo che proprio la legge n. 17 del 1982 ha abrogato,
all'articolo 6, l'articolo 209 del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza che consentiva all'autorità di pubblica sicurezza
di ottenere la consegna dell'elenco dei soci da parte
dell'associazione; sulla improponibilità della tesi che
segretezza si identifichi con mancanza di pubblicità
è del resto concorde anche la dottrina ed il punto non
sembra meritare altre attenzioni.
Al
secondo quesito, se gli aderenti dell'Opus Dei siano legati da
particolari obblighi di obbedienza, la Santa Sede risponde
testualmente: "I fedeli dell'Opus Dei, quale sia la loro funzione nella
società civile, hanno verso lo Stato gli stessi doveri di
fedeltà di tutti gli altri cittadini.
Tale
fedeltà viene espressamente indicata nell'articolo 3,
paragrafo 2, n. 2 del "Codex iuris particularis", che per tutti i
fedeli della prelatura stabilisce: "Si sforzano di compiere con la
massima fedeltà i doveri del proprio stato, i compiti
professionali e sociali, sempre col più grande rispetto
delle legittime leggi della società civile: lo stesso vale
per le attività apostoliche ad essi affidate dal prelato
("Quam maxima fidelitate adimpere satagunt officia proprii status
necnon actionem seu professionem socialem cuisque propriam, summa
semper cum reverentia pro legitimis societatis civilis legibus; itemque
labores apostolicos perficiendos, a Praelato ipsis commissos": questo
il testo del richiamato articolo 3, punto 2 del paragrafo 2 del "Codex
iuris particularis").
Inoltre
l'articolo 88, paragrafo 3, del "Codex iuris particularis" stabilisce:
per ciò che concerne l'agire professionale, le dottrine
sociali, politiche, eccetera, ciascun fedele della prelatura gode,
ovviamente entro i limiti della dottrina cattolica in materia di fede e
di morale, della medesima piena libertà degli altri
cittadini cattolici.
Le
autorità della prelatura, invero, devono astenersi del tutto
dal dare anche solo consigli in queste materie. Pertanto tale piena
libertà potrà essere limitata solo da norme
eventualmente date per tutti i cattolici, in una determinata diocesi o
circoscrizione, dal vescovo o dalla Conferenza episcopale;
perciò la prelatura non fa sue in alcun modo le
attività professionali, sociali, politiche, economiche,
eccetera, di nessuno dei suoi fedeli (così recita il terzo
paragrafo dell'articolo 88 del "Codex": "Ad
professionalem autem actionem quod attinet, itemque ad doctrinas
sociales, politicas, etc. unusquisque Praelaturae fidelis, intra
limites utique catholicae doctrinae fidei et morum, eadem plena gaudet
libertate qua ceteri gaudent cives catholici. Auctoritates vero
Praelaturae a quibuslibet vel consiliis dandis his in materiis omnino
abstinere debent. Proinde illa plena libertas tantum minui poterit a
normis quas forsan dederint pro omnibus catholicis, in aliqua dioecesi
aut ditione, Episcopus vel Episcoporum conferentia; quadropter
Praelatura labores professionales, sociales, politicos, oeconomicos,
etc., nullius omnino sui fidelis suos facit").
Ne consegue che i doveri di fedeltà dei membri della
prelatura verso di essa e di doveri di fedeltà dei medesimi
verso lo Stato si pongono su piani diversi, non interferentisi".
Fin
qui l'attestazione ufficiale e responsabile della Santa Sede; anche in
merito a tale aspetto del problema si ritiene di dover formulare talune
osservazioni.
Secondo
il nuovo codice di diritto canonico la Santa Sede, udite le Conferenze
episcopali dei paesi interessati, può erigere prelature
personali allo scopo di promuovere un'adeguata distribuzione di
sacerdoti o di realizzare speciali opere pastorali o missionarie in
relazione a regioni diverse o a diverse classi sociali (canone 294); le
prelature sono rette da statuti approvati dalla Santa Sede e ad esse
è preposto un "prelato", come ordinario proprio, il quale ha
diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, di
incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini, provvedendo sia
alla loro formazione spirituale, sia al loro sostentamento (canone
295); quanto ai laici - e veniamo così al punto che qui
interessa - essi possono stipulare convenzioni con la prelatura per
dedicarsi alle opere di apostolato della medesima.
Sotto
tale profilo particolare, in relazione all'articolo 3 della
Costituzione apostolica "Ut sit" recita al riguardo: "Praelaturae
iurisdictio personalis afficit clericos incardinatos necnon, tantum
quoad peculiarium obligationum adimpletionem quas ipsi sumpserunt
vinculo iuridico, ope conventionis com Praelatura initae, laicos qui
operibus apostolicis Praelaturae sese dedicant, qui omnes ad operam
pastoralem Praelaturae perficiendam sub auctoritate praelati exstant,
iuxta praescripta articoli praecedentis" e cioè "La
giurisdizione della prelatura personale si estende ai chierici in essa
incardinati nonché ai laici che si dedicano alle opere
apostoliche della stessa prelatura, limitatamente per questi ultimi
all'adempimento dei peculiari obblighi che essi hanno assunto con
vincolo giuridico, mediante una convenzione con la prelatura: gli uni e
gli altri, chierici e laici, dipendono dall'autorità del
prelato nello svolgimento dell'opera pastorale della medesima
prelatura, a norma di quanto prescritto nell'articolo precedente".
Nell'atto
di convenzione prelatura e fedeli dichiarano i reciproci diritti e
doveri, che consistono: per la prelatura, nel dare al laico la
necessaria preparazione religiosa, spirituale, ascetica ed apostolica.
Leggiamo infatti al secondo paragrafo dell'articolo 27 del "Codex": "1)
ad praebendam eidem christifideli assiduam institutionem doctrinalem
religiosam, spiritualem, asceticam et apostolicam, necnon peculiarem
curam pastoralem ex parte sacerdotum Praelaturae; 2) ad adimplendas
ceteras obligationes quae, erga eiusdem christifideles, in normis
Praelaturam regentibus statuuntur"; per il laico che aderisce alla
prelatura, nell'obbligo di rimanere nella giurisdizione del prelato per
le materie connesse con il fine specifico della istituzione e di
adempiere ai doveri spirituali propri della sua condizione personale,
nel rispetto delle norme che regolano il regime, lo spirito e
l'apostolato della prelatura (terzo paragrafo) del citato articolo 27:
"Christifidelis... seque obligabit... 1) ad manendum sub iurisdictione
praelati aliarumque Praelaturae competentium auctoritatum, ut fideliter
sese impendat in iis omnibus quae ad finem peculiarem praelaturae
attinent; 2) ad adimplenda omnia officia quae secum fert condicio
numerarii vel aggregati vel supernumerarii Operis Dei atque ad
servandas normas Praelaturam regentes necnon legitimas praescriptiones
praelati aliarumque competentium auctoritatum Praelaturae quoad eius
regimem spiritum et apostolatum".
Secondo
l'articolo 88 del "Codex iuris particularis", richiamato nella
dichiarazione della Santa Sede e del qual vi ho già dato
lettura, l'atto dell'adesione del laico alla prelatura investe
esclusivamente i fini spirituali della prelatura stessa, restando
tassativamente escluso tutto ciò che possa determinare
interferenze nelle attività civili, svolte dai membri
dell'Opus Dei in quanto cittadini.
L'attività
della prelatura è infatti, dichiara la Santa Sede,
assolutamente rispettosa dell'autonomia dell'ordine temporale
tant'è - è bene ribadirlo - che: gli articoli 2 e
3 del "Codex iuris particularis" prescrivono che i fedeli della
prelatura compiano i doveri del proprio stato e si comportino nella
loro attività o professione sociale "summa semper cum
reverentia pro legitimis societatis civilis legibus"; l'articolo 89 del
"Codex" stesso impone di non nascondere l'appartenenza alla prelatura e
di rifuggere da ogni clandestinità o segretezza (...quia
spiritus Operis Dei, dum fideles ducit ad humilitatem collectivam enixe
quaerendam, quo impensiorem atque uberiorem efficaciam apostolicam
attingant, omnino simul vitat secretum vel clandestinitatem..."); in
base all'articolo 88 del "Codex", il potere delle autorità
della prelatura è limitato esclusivamente al campo
religioso-spirituale, essendo ad esse proibito "del tutto di dare
qualsiasi consiglio" in materia professionale e nelle scelte sociali,
politiche ("... auctoritates vero Praelaturae a quibuslibet vel
consiliis dandis his in materiis omnino abstinere debent...").
Da
ultimo: qualche interrogativo è sorto in relazione al punto
2 delle disposizioni finali del "Codex", che parrebbe voler far
sopravvivere, per i fedeli della istituzione, diritti e doveri
acquisiti nel regime giuridico, e, quindi, implicitamente anche
disposizioni di quel regime.
L'assoluta
infondatezza di tali dubbi è affermata dalla Santa Sede nel
proprio "Officio", ove in proposito si dichiara: "Per tutti coloro che
hanno aderito all'Opus Dei prima che fosse eretto in prelatura
rimangono in vita soltanto diritti e doveri contemplati dalle
prescrizioni del vigente "Codex iuris particularis". Tali diritti e
doveri appaiono assonanti con le norme costituzionali della Repubblica
Italiana.
La
disposizione finale, n. 2, secondo capoverso, del "Codex iuris
particularis", stabilisce: "Tutti coloro (vale a dire, tutti i fedeli
già incorporati all'Opus Dei, sia sacerdoti sia laici,
così come tutti i sacerdoti associati alla
Società sacerdotale della Santa Croce) sono astretti dagli
obblighi e mantengono i diritti che avevano nel precedente regime
giuridico (vale a dire, quando l'Opus Dei era istituto secolare), a
meno che le norme di questo Codice non dispongano espressamente in modo
diverso o si tratti di quelli (obblighi e diritti) che provenivano da
norme abrogate da questo nuovo diritto ("Hi omnes iisdem obligationibus
tenentur et eadem servant iura, quae habebant in regimine iuridico
praecedent, nisi aliud expresse statuant huius Codicis praescriptiones
vel de iis agatur quae ex normis novo hoc iure abrogatis proveniebant").
Come
noto, a norma del canone 20 del Codice del diritto canonico
(sostanzialmente identico al canone 22 del Codice del 1917), con
l'entrata in vigore del "Codex iuris particularis", che riordina
integralmente tutta la materia già regolata dai precedenti
statuti dell'Opus Dei, i precedenti statuti sono stati abrogati. Si
rendeva pertanto necessaria una disposizione a salvaguardia di diritti
e doveri assunti dai membri durante il precedente regime, in
particolare per quanto concerneva i termini della decorrenza.
Con la citata disposizione transitoria si fanno pertanti salvi i
diritti e doveri preesistenti, ma non quelli su cui il "Codex iuris
particularis" dispone diversamente (criterio specifico), né
quelli derivanti da norme ora abrogate (criterio generale).
Si
deve quindi dedurre che i membri della prelatura conservano soltanto
quei diritti e doveri preesistenti che sono confermati dalle presenti
norme, ma che hanno avuto origine per essi dalle corrispondenti norme
precedenti. La citata norma di transizione ha dunque significato non
tanto circa i diritti e i doveri in sè, quanto circa la loro
decorrenza: stabilendo che sono "conservati", ne stabilisce il valore
ex tunc".
La
precisazione della Santa Sede è di tale chiarezza da non
richiedere altre osservazioni.
A
questo punto, onorevoli colleghi, non resta che tirare le conclusioni:
l'Opus Dei non è segreta né in linea di diritto
né in linea di fatto; il dovere di obbedienza riguarda
esclusivamente materie spirituali; non vi sono diritti e doveri oltre
quelli previsti dal "Codex iuris particularis", e anche questi sono di
natura strettamente spirituale; nessun diritto e dovere del vecchio
regime, se non è previsto nel nuovo, è
sopravvissuto all'istituzione della prelatura.
Dunque,
né il Governo, né il Ministero dell'interno in
particolare possono legittimamente assumere iniziative nei riguardi
dell'Opus Dei, o disporre a suo carico indagini o verifiche; infatti,
sulla base dei precetti della Costituzione e dei diritti fondamentali
di libertà da essa garantiti; sulla base dell'impegno,
solennemente riaffermato con l'accordo di Villa Madama, al pieno
rispetto del principio di sovranità ed indipendenza della
Chiesa cattolica; sulla base degli atti che regolano la prelatura;
sulla base, infine, delle dichiarazioni della Santa Sede che, come
detto, ne rappresentano il pensiero ufficiale e sono impegnative per la
prelatura stessa, quelle indagini e quegli accertamenti, non potendo
trovare giustificazione in alcun elemento di fatto atto a confortare
anche semplici indizi, si risolverebbero in una inammissibile
compromissione del diritto di libertà del cittadino ed in
una altrettanto inammissibile ingerenza dello Stato nell'"ordine"
interno della Chiesa.
La
pace religiosa, alla quale come valore supremo puntò
l'Assemblea costituente nel discutere e votare l'articolo 7 della Carta
costituzionale, si attua rispettando parole e spirito di quella norma
in un contesto essenziale di verità , unico fondamento di
giustizia e di pace (applausi al centro).