"Un
patrimonio di tutta la Chiesa"
Intervista
di P. Lo Celso a mons. Echevarría.
D
- A distanza di tre mesi, Lei che diagnosi può
fare della canonizzazione di Josemaría Escrivá,
nei confronti della Chiesa e del mondo?
R
- Un cardinale tedesco ha dichiarato che la canonizzazione
presuppone la "sprivatizzazione" del fondatore
dellOpus Dei, nel senso che adesso il suo insegnamento
e il suo esempio si estendono a tutta la Chiesa, e non
solo ai fedeli della Prelatura. Mi sembra una immagine
adeguata. Potremmo anche aggiungere che tale realtà
risale ai primi anni dellattività sacerdotale
di Josemaría Escrivá: fin da allora indusse
moltissime persone a prendere sul serio la vita cristiana,
a darsi completamente a Dio, a servire la Chiesa.
Evidentemente,
da adesso in poi questo fenomeno acquista nuove caratteristiche.
Lo hanno sottolineato in molti: gli insegnamenti di san
Josemaría sulla santificazione del lavoro e della
vita ordinaria costituiscono ormai un patrimonio di tutta
la Chiesa. La presenza di centinaia di migliaia di persone
in piazza S. Pietro, i milioni di cittadini dei più
diversi Paesi che hanno seguito la cerimonia per radio,
televisione o internet; linteresse dei media, le
dichiarazioni di numerose personalità: sono tutti
segnali che confermano che la santità non è
un concetto dimenticato, che la Chiesa ha e avrà
sempre - non può essere che così - un messaggio
significativo per il mondo.
Negli
ultimi secoli si è prodotto un processo di secolarizzazione
che propugna uno stile di condotta privo della dimensione
soprannaturale, "come se Dio non esistesse";
eppure ai nostri giorni stiamo osservando un processo
di segno contrario, che alla "secolarizzazione"
contrappone la "secolarità" rettamente
intesa: cioè un modo più profondo di comprendere
i rapporti tra la fede e la vita ordinaria. Il messaggio
del nuovo santo si pone in questo contesto di inizio depoca,
di perenne rinnovamento della Chiesa, di far capire che
Cristo non passa mai di moda.
D - La canonizzazione di mons. Escrivá indica
un momento speciale per lOpera?
R
- Senza dubbio la canonizzazione rappresenta un momento
molto importante per la Prelatura dellOpus Dei.
Dal punto di vista personale, per ciascuno dei fedeli
della Prelatura, la canonizzazione è una nuova
conferma dei propri aneliti e una sfida santa per riuscire
a dare tutto ciò che Dio gli chiede. Lo spirito
di san Josemaría non è solo una promessa,
ma un cammino assai concreto ed efficace per raggiungere
la santità. Inoltre, la canonizzazione rappresenta
una chiamata alla responsabilità: gli insegnamenti
di questo sacerdote debbono dare frutti di santità,
di virtù, di donazione a Dio e agli altri.
Molti
cardinali e vescovi lo hanno ripetuto nelle messe di ringraziamento
successive al giorno 6: la Chiesa si attende dai fedeli
della Prelatura il loro specifico servizio a favore delle
Chiese locali e della società in cui si trovano.
Soprattutto, e il Papa lo sottolinea sempre, ciascuno
si sente spinto a servire quanti si trovano in situazioni
di maggiore necessità materiale o spirituale, e
pure - è cosa molto importante - a imparare dagli
altri.
D - Ora che il fondatore è stato canonizzato,
quali altri passi deve fare lOpus Dei, guardando
al futuro?
R
- La Prelatura esiste per servire la Chiesa, non persegue
una propria strategia. E Giovanni Paolo II ha definito
le priorità per tutta la Chiesa, per lattuale
momento storico, nella sua Lettera apostolica Novo millennio
ineunte. Sono questi gli orientamenti che tutti noi cristiani
dobbiamo tenere presente per far andare per la strada
giusta il lavoro pastorale della Chiesa, e pertanto anche
quello della Prelatura dellOpus Dei. In tale contesto,
per evidenti ragioni, i fedeli dellOpus Dei sanno
di essere impegnati in modo molto speciale per la diffusione
della ricerca della santità nella vita ordinaria.
In particolare lavorano con slancio per mostrare che la
santità non è confinata in un ideale, per
così dire, "spiritualista", bensì
porta con se frutti di giustizia e di pace, quando i cattolici
si sforzano di cercarla.
D - Monsignor Escrivá affermava, a proposito
della situazione delluomo e della società
del secolo XX, che "queste crisi mondiali sono crisi
di santi". Che cosa ci può dire su questo?
È un concetto ancora valido per luomo e la
società del secolo XXI?
R
- Certamente è ancora valido. Direi di più:
penso che ogni giorno sia sempre più evidente la
densità e la verità di queste parole. Basta
ripercorrere tanti eventi recenti, segnati dalla violenza,
dalla corruzione o dallingiustizia. Non mi riferisco
solo alle guerre e al terrorismo internazionale.
Alludo
anche a fatti molto vicini a ognuno di noi, che si possono
leggere tutti i giorni sulle pagine di cronaca dei giornali.
Ci accorgiamo che non vi sono più limiti allaggressività
di cui è capace lessere umano quando si dimentica
di Dio, delle norme morali, del rispetto per la vita e
per la dignità degli altri. E il male non può
essere combattuto solo con la minaccia del castigo. Bisogna
seminare e proclamare il bene e la verità attraverso
le piccole e grandi azioni della carità e della
giustizia, ciascuno dal suo posto, anche se bisogna andare
controcorrente.
Perché
vi sia la pace nel mondo bisogna che prima ci sia la pace
nei cuori, diceva san Josemaría. E la pace interiore
non la si ottiene con una vita leggera ed egoistica, ma
con il sacrificio, con la rinuncia allegoismo. Diventa
santo proprio chi, seguendo il modello di Cristo, trasforma
la propria vita in una offerta a Dio e agli altri: paradossalmente,
chi dichiara "guerra" a se stesso e alluomo
vecchio", trova il riposo della propria coscienza,
la pace interiore, che poi necessariamente diffonde attorno
a sé.
D - Lei conosce bene la difficile situazione che
il nostro Paese sta attraversando. Che tipo di messaggio
il fondatore dellOpus Dei darebbe a noi argentini,
se stesse fra di noi come avvenne nel 1974?
R
- Nel viaggio del 1974, durante una riunione con migliaia
di persone, gli fecero una domanda simile. Il momento
storico era diverso, ma penso che la risposta sia valida
anche per la situazione attuale. La so quasi a memoria:
"Seminate la pace e la gioia dappertutto; non dite
mai neppure una parola antipatica a nessuno; sappiate
andare a braccetto con chi non la pensa come voi. Non
trattate mai male nessuno; siate fratelli di tutte le
creature, seminatori di pace e di gioia..."; e non
tralasciò di avvertire che questo stile di convivenza
cristiana non significa cedere allerrore, alla falsa
dottrina.
Ricordo
che ripeté, e credo che lo fece apposta, di seminare
la pace e la gioia. Chi vive in questo modo, impegnandosi
a diffondere attorno a sé sentimenti di pace e
di gioia, riesce a superare i momenti umanamente difficili.
Lavorando duramente, certo, ma anche scoprendo nel lavoro
la presenza amorevole di Cristo. Perciò sono convinto
che san Josemaría direbbe ancora le stesse cose,
anche nellattuale situazione, agli uomini e alle
donne dellArgentina. Nei momenti di difficoltà
cè ancora più bisogno, e lo si nota
di più, del valore della fraternità.