Don
Ernesto, la voce dell'Opus Dei
«Più
bello di così c'è solo il Paradiso!».
A Roma, il 6 ottobre scorso, fra i trecentomila in piazza
San Pietro, c'era anche monsignor Ernesto Zanin, 75 anni,
da 52 anni sacerdote e da 27 guida della parrocchia del
Cristo di Udine.
Ma
anche, dal 1983, come membro della Società sacerdotale
della Santa Croce, punto di riferimento della comunità
dell'Opus Dei della provincia di Udine. Che, quella domenica,
ha festeggiato a Roma la canonizzazione del discusso fondatore
dell'Opera, l'ormai santo Josè Maria Escrivà
de Balaguer.
«Dal
Friuli abbiamo fatto una corriera con una cinquantina
di persone. È stata una cosa impressionante: 300mila
persone che fanno silenzio durante una messa di due ore.
La potenza spirituale della Chiesa che si tocca con mano»,
dice monsignor Ernesto. Ma per gli altri, i profani, quella
cerimonia è stata un palcoscenico impagabile: forse
la prima volta che gli aderenti dell'Opus sono usciti
allo scoperto.
Non
male per la potente e segretissima "massoneria cattolica",
etichetta che l'Opera si è vista affibbiare più
di una volta. «L'Opus Dei non è segreta come
la massoneria. Specialmente all'inizio, il fondatore aveva
ricevuto accuse in questo senso. Ma il segreto non c'è.
La riservatezza sì, quella sempre. San Escrivà
voleva che l'Opus Dei fosse come il lievito nella pasta:
non lo vedi, ma se non c'è il pane non viene»,
spiega lui.
E
chiamiamola pure riservatezza. Quella che non fa dire
a monsignor Ernesto dove precisamente si trovi a Trieste
l'unico centro dell'Opera in regione che ospita i numerari,
«ingegneri, medici e professori universitari, che
hanno donato tutto all'Opus e vivono in due appartamenti
del centro da 200 metri quadri: uno per le donne, uno
per gli uomini. Dove? Meglio non dirlo».
La
stessa riservatezza che non gli consente di citare per
nome neanche i "vip" dell'Opera friulana. Neppure
«il primario di ginecologia del Policlinico universitario,
ora trasferito» o «il direttore di banca,
che ora lavora a Verona», o «il professore
di pediatria di Montevideo che, ogni volta che passa in
Friuli, viene a trovarci».
È
per «riservatezza» che, «non mandiamo
mai comunicazioni ufficiali: tutto funziona con il passaparola.
L'Opera pretende, diciamo preferisce, il rapporto interpersonale».
Gli uomini, «in tutto una ventina: 7 o 8 membri
dell'Opus, in gran parte medici e professori, più
i "cooperatori" che non appartengono all'Opera
ma danno una mano» si riuniscono nella parrocchia
del Cristo ogni ultimo lunedì del mese, le donne,
«una decina: una sola, un medico, è membro
dell'Opus», si radunano l'ultimo martedì
del mese, sempre con l'assistenza spirituale di monsignor
Zanin.
«In questi anni sono passate di qui quasi un'ottantina
di persone: non abbiamo mai saltato un incontro in 15
anni. I ritiri, che durano un paio d'ore, incominciano
nella sala, poi si passa nella cripta per la meditazione,
si torna nella sala per la conversazione e quindi di nuovo
nella cripta per l'esame di coscienza finale». Monsignor
Ernesto ci tiene a ricordare «la vita spirituale
intensa» dei membri dell'Opus (in regione c'è
anche il centro di Pordenone e ci sono cinque sacerdoti,
uno per provincia più due a Pordenone): meditazione,
rosario e messa quotidiana, letture spirituali, circoli
settimanali, ritiri e convivenze annuali.
Ma
i denigratori dell'Opus hanno puntato l'indice contro
quella che, negli anni '60-70 fu definita dai detrattori
la "Santa mafia": troppo potente, troppo ricca,
quasi una lobby. A Udine, dei fasti legati più
o meno direttamente all'Opera, attraverso gli enti fondati
dai suoi membri è giunta solo l'eco. Non c'è
un Campus biomedico, non un centro giovanile come Elis,
entrambi nella capitale, non il magnifico palazzo che
a Palermo ospita i membri dell'Opera.
«A
Udine non c'è nulla. Qui in Friuli siamo tra gli
ultimi. So che recentemente nella sala della Fondazione
Crup hanno fatto un incontro divulgativo su san Escrivà,
con la proiezione di filmati e la presenza di alcune autorità.
E so che un membro si interessa molto alla formazione
pre-matrimoniale a San Cromazio». Certo è
che, anche in Friuli, intorno all'Opus, ruotano quasi
solo professionisti, tutti laureati o almeno diplomati.
Medici,
forse non celebri come il chirurgo Cortesini, uno dei
pochi ad aver rivelato di appartenere all'Opera, professori
universitari, ma «nessun politico», assicura
don Ernesto a chi gli ricorda simpatizzanti potenti come
Andreotti, Cossiga, Fazio. Già, perchè l'Opera
«santifica il lavoro.Tutti, professori, medici,
ingegneri, possono diventare santi nel loro posto di vita».
E
con lavori così remunerativi i soldi che girano
sono tanti. «L'Opera viene aiutata economicamente
dai suoi membri con una certa periodicità. Una
volta ogni due o tre mesi danno liberamente: se uno è
un riccone può dare milioni, se un poveretto, 20
o 50 euro». Vige l'ascetismo e la mortificazione:
niente alcol se non a pasto, «il fumo viene accettato
solo fra gli uomini», un abito dignitoso, «ormai
anche i pantaloni per le donne».
E
i medici con i macchinoni dove li mettiamo? «Se
uno è soprannumerario (e quindi non legato al voto
di castità nè alla vita in un centro ndr)
è libero di comprarsi anche una macchina in più,
anche se, seguendo lo spirito dell'Opera dovrebbero moderarsi
anche in questo». È indulgente monsignor
Zanin, anche quando si tocca il tasto "raccomandazioni".
«Se uno vuole raccomandare suo figlio per un lavoro,
mi pare normale che riceva un appoggio. Ma non in quanto
membro dell'Opus, in quanto cristiano».
Nega
però recisamente compromissioni politiche. «Sono
tutti liberi di votare quello che vogliono, purché
non diano il loro assenso a un partito marxista».
Eppure, quando parla del dopo-canonizzazione se ne esce
con un «ha letto l'articolo di D'Alema? Meraviglioso:
ha detto della Chiesa cose incredibili». Proprio
D'Alema Massimo il diessino, l'uomo forgiato alla scuola
di partito del Pci? «Sì, lui. Come si dice,
"Amicus Plato, sed magis amica veritas"».