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Data: 26/10/2001
Autore: -
Fonte: Pensamiento y Cultura (Colombia)
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La testimonianza del senatore a vita Andreotti

 

D - Presidente Andreotti, oggi Josemaría Escrivá de Balaguer diventa santo. Lei l´ha conosciuto; che ricordo ne ha?

R - «L´ho incontrato una volta, perché sono amico di quello che è il primo sacerdote che lui ha ordinato qui a Roma, don Francesco Angelicchio, che è stato parroco nella capitale per molti anni e adesso è a Verona in un pensionato universitario. Mi colpì di questa persona lo sguardo».

 

D - Perché?

R - «Era uno sguardo elettrico, ne venivano fuori come dei raggi. Non mi ricordo di nessun´altra persona che mi abbia fatto questa impressione, uno sguardo metallico, ma non duro, quasi, non so, quasi fosse un´onda che emanava. Mi ha colpito.

Poi ho avuto occasione di occuparmi molte volte dell´Opus, e in particolare dei pensionati universitari, e in particolare del Centro Elis, a Roma, che è una cosa veramente bella. Ci sarebbe bisogno di averne molte altre di queste iniziative di preparazione professionale. E poi sono affascinato dal "Cammino", l´opera forse più famosa di Escrivá».

 

D - Si dice che lei lo porti sempre in tasca. Perché lo giudica così importante?

R - «Perché in due, tre righe, offre un concentrato di indirizzi di vita, di riflessione. Alcuni spirituali, altri di comportamento. Poi tutta la filosofia dell´Opera è quella di far bene quello che uno deve fare».

 

D - Perché una personalità come quella di Escrivá ha avuto tanta incomprensione?

R - «Credo per la novità della formula. Per questa piattaforma, questo denominatore che non è religioso. Perché può aderire all´Opera anche chi non è cattolico. Qui si tratta di una convergenza di posizioni di valori naturali, umani e civili che prescinde dalla vocazione o dalla professione religiosa. Ha creato una cosa nuova, e se non ha turbato gli equilibri ha certo introdotto un fattore...

E anche questo rigore, quest´eleganza - lo dico in senso buono - che il Signore si deve servire non da straccioni, con decoro. E ciò è verissimo, c´è stato nell'interpretazione del Concilio, legata non a documenti, e neanche a posizioni conciliari, ma a posizioni di esperti dei padri conciliari, si è data un´immagine non giusta: "ecclesia pauperum", che deve essere considerata non come semplicità, ma come povertà di strutture.

Se fosse valso questo criterio noi non avremmo i tre quarti dell´arte italiana. Avremmo delle baracche. E su questi temi l´Opus è andata contro corrente, sempre con una fedeltà rigorosa ai Papi, ricambiata. Siccome poi hanno avuto molto successo, hanno avuto anche delle ostilità».

 

D - E non solo all´interno della Chiesa...

R - «Ma anche in maniera curiosa. Leggevo nella biografia di Tornielli che il ministro degli esteri franchista Martin Ratio, che conobbi nel 1947, e che tutti dicevano fosse dell´Opus, aveva vietato di immettere nella carriera diplomatica membri dell´Opus Dei».

 

D - Che cosa l´ha colpito nella vita di Escrivá?

R - «Per me la parte più attraente è quel lungo momento della persecuzione, della clandestinità, nella guerra civile, quando passa i monti e poi dalla Francia ritorna nella Spagna che secondo i punti di vista si poteva dire "liberata". Da questo si capisce, ma non è un fatto nuovo, da questa durezza nei confronti del clero, delle organizzazioni cattoliche, dell´esistenza stessa del culto, l´intensità di quella che era un´espressione di marxismo puro».

 

D - E che è valso all´Opus l´accusa di franchismo...

R - «Sì, ma c´è un certo semplicismo nel valutare la guerra di Spagna. Leggevo, negli appunti inediti di un collaboratore di Grandi, l´ambasciatore a Londra durante il fascismo, che il governo inglese inizialmente per ragioni di legalità internazionale appoggiò il governo repubblicano.

Ma poi diede incarico a Grandi, che doveva andare in Spagna, di organizzare un compromesso con il generale Franco. Se Franco si impegnava a non toccare la questione di Gibilterra (come in effetti accadde) Londra o l´avrebbe aiutato, o comunque non avrebbe aiutato la Repubblica: qui la frase degli appunti è ambigua. Ecco, il tempo ci aiuta a comprendere una vicenda non semplice, spesso fuorviata da pregiudizi e schieramenti».

 

D - Quanto ha giocato la politica nell´avversione all´Opus?

R - «Certo i cattolici nella guerra civile presero posizione, ma fu una questione di difesa. Li ammazzavano a vista. Escrivá de Balaguer si dovette mettere una tuta, per poter girare, per nascondersi ogni sera da qualche parte. C´è stato poi anche da noi un periodo di grande polemica, negli Anni 70, e Scalfaro ministro dell´Interno rispose in Parlamento; perché c´erano stati una serie di articoli, mi sembra sull´Espresso. Sempre pensando che fosse un´attività politicizzata, quella dell´Opus. Il che non è: ho fatto per molti anni il democristiano, e non ho mai visto che questi si occupassero di Democrazia cristiana».

 

 

 

Giulio Andreotti