La
testimonianza del senatore a vita Andreotti
D
- Presidente Andreotti, oggi Josemaría Escrivá
de Balaguer diventa santo. Lei l´ha conosciuto;
che ricordo ne ha?
R
- «L´ho incontrato una volta, perché
sono amico di quello che è il primo sacerdote che
lui ha ordinato qui a Roma, don Francesco Angelicchio,
che è stato parroco nella capitale per molti anni
e adesso è a Verona in un pensionato universitario.
Mi colpì di questa persona lo sguardo».
D
- Perché?
R
- «Era uno sguardo elettrico, ne venivano fuori
come dei raggi. Non mi ricordo di nessun´altra persona
che mi abbia fatto questa impressione, uno sguardo metallico,
ma non duro, quasi, non so, quasi fosse un´onda
che emanava. Mi ha colpito.
Poi
ho avuto occasione di occuparmi molte volte dell´Opus,
e in particolare dei pensionati universitari, e in particolare
del Centro Elis, a Roma, che è una cosa veramente
bella. Ci sarebbe bisogno di averne molte altre di queste
iniziative di preparazione professionale. E poi sono affascinato
dal "Cammino", l´opera forse più
famosa di Escrivá».
D
- Si dice che lei lo porti sempre in tasca. Perché
lo giudica così importante?
R
- «Perché in due, tre righe, offre un concentrato
di indirizzi di vita, di riflessione. Alcuni spirituali,
altri di comportamento. Poi tutta la filosofia dell´Opera
è quella di far bene quello che uno deve fare».
D
- Perché una personalità come quella di
Escrivá ha avuto tanta incomprensione?
R
- «Credo per la novità della formula. Per
questa piattaforma, questo denominatore che non è
religioso. Perché può aderire all´Opera
anche chi non è cattolico. Qui si tratta di una
convergenza di posizioni di valori naturali, umani e civili
che prescinde dalla vocazione o dalla professione religiosa.
Ha creato una cosa nuova, e se non ha turbato gli equilibri
ha certo introdotto un fattore...
E
anche questo rigore, quest´eleganza - lo dico in
senso buono - che il Signore si deve servire non da straccioni,
con decoro. E ciò è verissimo, c´è
stato nell'interpretazione del Concilio, legata non a
documenti, e neanche a posizioni conciliari, ma a posizioni
di esperti dei padri conciliari, si è data un´immagine
non giusta: "ecclesia pauperum", che deve essere
considerata non come semplicità, ma come povertà
di strutture.
Se
fosse valso questo criterio noi non avremmo i tre quarti
dell´arte italiana. Avremmo delle baracche. E su
questi temi l´Opus è andata contro corrente,
sempre con una fedeltà rigorosa ai Papi, ricambiata.
Siccome poi hanno avuto molto successo, hanno avuto anche
delle ostilità».
D
- E non solo all´interno della Chiesa...
R
- «Ma anche in maniera curiosa. Leggevo nella biografia
di Tornielli che il ministro degli esteri franchista Martin
Ratio, che conobbi nel 1947, e che tutti dicevano fosse
dell´Opus, aveva vietato di immettere nella carriera
diplomatica membri dell´Opus Dei».
D
- Che cosa l´ha colpito nella vita di Escrivá?
R
- «Per me la parte più attraente è
quel lungo momento della persecuzione, della clandestinità,
nella guerra civile, quando passa i monti e poi dalla
Francia ritorna nella Spagna che secondo i punti di vista
si poteva dire "liberata". Da questo si capisce,
ma non è un fatto nuovo, da questa durezza nei
confronti del clero, delle organizzazioni cattoliche,
dell´esistenza stessa del culto, l´intensità
di quella che era un´espressione di marxismo puro».
D
- E che è valso all´Opus l´accusa di
franchismo...
R
- «Sì, ma c´è un certo semplicismo
nel valutare la guerra di Spagna. Leggevo, negli appunti
inediti di un collaboratore di Grandi, l´ambasciatore
a Londra durante il fascismo, che il governo inglese inizialmente
per ragioni di legalità internazionale appoggiò
il governo repubblicano.
Ma
poi diede incarico a Grandi, che doveva andare in Spagna,
di organizzare un compromesso con il generale Franco.
Se Franco si impegnava a non toccare la questione di Gibilterra
(come in effetti accadde) Londra o l´avrebbe aiutato,
o comunque non avrebbe aiutato la Repubblica: qui la frase
degli appunti è ambigua. Ecco, il tempo ci aiuta
a comprendere una vicenda non semplice, spesso fuorviata
da pregiudizi e schieramenti».
D
- Quanto ha giocato la politica nell´avversione
all´Opus?
R
- «Certo i cattolici nella guerra civile presero
posizione, ma fu una questione di difesa. Li ammazzavano
a vista. Escrivá de Balaguer si dovette mettere
una tuta, per poter girare, per nascondersi ogni sera
da qualche parte. C´è stato poi anche da
noi un periodo di grande polemica, negli Anni 70, e Scalfaro
ministro dell´Interno rispose in Parlamento; perché
c´erano stati una serie di articoli, mi sembra sull´Espresso.
Sempre pensando che fosse un´attività politicizzata,
quella dell´Opus. Il che non è: ho fatto
per molti anni il democristiano, e non ho mai visto che
questi si occupassero di Democrazia cristiana».