Il
laicato ha il suo santo. Armato. E' il Fondatore dell'Opus
Dei
Rosari,
kit in dieci lingue, siti Internet. Tutto pronto per il
grande evento: la consacrazione definitiva di Escrivá
de Balaguer.
Il sacerdote che lottava con la fede e la cultura.
Un
santo in più
Eroico nelle virtù e autore di miracoli come esigono
le regole severe di Santa Romana Chiesa, ma tanto pesante
nel significato storico della sua elevazione agli altari
da aprire un nuovo capitolo nel Cattolicesimo.
Domenica
6 ottobre il sacerdote Josemaría Escrivá
de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei, riceverà
da Giovanni Paolo II la consacrazione definitiva. Oltre
300 mila fedeli provenienti dai cinque continenti si daranno
appuntamento in piazza San Pietro, come avvenne il 17
maggio di dieci anni fa, giorno della beatificazione.
Ma
mai come in questo caso l'aureola della santità
riuscirà a riunire, nell'alone di luce che circonderà
Escrivà nelle immaginette preparate a migliaia,
una serie di elementi tanto eterogenei quanto decisivi:
modernità e tradizione, professioni mondane e fedeltà
alla Chiesa, sale manageriali e profili di confessionali,
Internet e rosari. In altre parole, per usare una definizione
cara al neosanto, «secolarità e cammini divini».
Il
fondatore dell'Opus Dei è il profeta armato dell'apostolato
dei laici
Armato di fede ardente, di robusta preparazione giuridica
e delicata sensibilità letteraria (il best-seller
Cammino è tradotto in una cinquantina di lingue
e in continua ristampa) capace, vent'anni prima del Concilio,
di dare fondamento spirituale e normativo all'intuizione
che il lavoro dei laici sarebbe diventato questione decisiva:
il campo di battaglia sul quale la Chiesa avrebbe vinto
o perso la sfida con la modernità.
Basta
dare un'occhiata al programma del 6 ottobre per trovare
il volto inconfondibile dell'Opera.
Macchina organizzativa rigorosa, molto curata la presenza
online (http://www.escriva-canonization.org/), fittissimo
il calendario di messe con celebrazioni, confessioni e
rosari previsti nella settimana della santificazione.
Nel kit in dieci lingue che in questi giorni viene distribuito
a ogni famiglia dei partecipanti ci sono una biografia
del beato, testi del Vangelo commentati da lui, una guida
con ristoranti e modalità per il pranzo al sacco
(per almeno 55 mila paladini del panino), il libretto
della messa celebrata dal Papa.
Ma
c'è anche una busta con una strana intestazione:
Harambee 2002. «In lingua africana swahili significa
tutti insieme» spiega Giuseppe Corigliano, responsabile
dell'ufficio stampa dell'Opus Dei.
Si tratta di un'iniziativa nello spirito ecumenico del
fondatore: a ogni fedele che interverrà alla cerimonia
chiederemo un contributo minimo di 5 euro per finanziare
progetti educativi, scuole, istituti professionali, università
a favore dei paesi poveri dell'Africa subsahariana.
La
vera sfida, in questi paesi, è che siano gli uomini
e le donne africane gli autentici artefici della propria
emancipazione e del proprio sviluppo. E perché
ciò avvenga la chiave è una sola: l'educazione».
Il
piano è pronto nei dettagli: almeno una dozzina
i progetti in cantiere, 40 mila euro il tetto massimo
di spesa per ogni programma; 750 mila euro (ma saranno
di più) l'obiettivo delle entrate previste il 6
ottobre.
Educazione, formazione umana e cristiana: più che
sentirsi a proprio agio nelle sacrestie, i discepoli di
sant'Escrivà preferiscono percorrere gli insidiosi
sentieri del mondo, anche se presidiati dal Maligno.
Agricoltori, meccanici, medici, ballerine, giardinieri,
commesse, manager che, imparando da Gesù falegname
negli anni trascorsi nella bottega di San Giuseppe, realizzano
la propria santità nel lavoro ben fatto.
Le
teste d'uovo dell'Opus hanno inventato una definizione
che suona come un obiettivo: «Professionalizzare
le classi povere, spiritualizzare le classi ricche».
Una
dichiarazione d'intenti che se per l'uso del termine «classe»
fa sentire un brivido agli ultimi marxisti, dimostra in
realtà come nella strategia della «grande
armada» l'obiettivo della nuova evangelizzazione
sia al primo posto. «Un obiettivo che si traduce
in un programma semplice» dice Corigliano «formare
ingegneri, filosofi e manager che somiglino a Giovanni
Paolo II».
Nel
Terzo millennio della cristianità assediata dalla
secolarizzazione e dall'indifferenza religiosa, nell'epoca
delle grandi povertà e delle ingiustizie globali,
è nelle aule delle università e nelle sale
della politica, nei laboratori della scienza, nelle redazioni
dei media e nei corridoi della finanza che si decide la
partita.
Il
cristiano plasmato dall'Opus Dei farà fino in fondo
il suo dovere.
«Il lavoro umano, anche il più umile, se
offerto a Dio» insegna Escrivà «contribuisce
a ordinare cristianamente le realtà temporali e
si integra nell'opera prodigiosa della creazione e della
redenzione del mondo».
Messaggio di fortissimo impatto: il cristiano santifica
se stesso con il proprio lavoro trasformandolo in opera
di Dio.
Un
messaggio che dal 2 ottobre 1928, data in cui il fondatore
ha «visto» l'Opus Dei, ha portato l'armada
a dimensione planetaria: 84 mila membri (il 70 per cento
sposati), 1.950 sacerdoti, 25 vescovi, 1 cardinale (il
primate del Perù Luis Cipriani).
Supporter
italiani ed estimatori di Escrivà sono Giulio Andreotti
e Francesco Cossiga, il governatore di Bankitalia Antonio
Fazio, Ettore Bernabei e Giovanni Trapattoni, Leonardo
Mondadori, Vittorio Messori, Alberto Sordi e il diessino
Cesare Salvi, Irene Pivetti, Giovanni Minoli, Fabrizio
Del Noce e Alberto Michelini.
Giovanni
Paolo II ha voluto con forza questa santificazione. Sfidando
gli ambienti della Chiesa che dimostravano perplessità,
elevando nel 1982 l'Opus Dei a prelatura personale (figura
giuridica prevista dal Concilio Vaticano II per particolari
compiti apostolici), accelerando il processo di beatificazione.
Dal
6 ottobre la creatura di Escrivà sarà ancora
più forte.
E per il fondatore si sta preparando un altro decreto
ufficiale: quello di dottore della Chiesa. Come San Tommaso
d'Aquino e Santa Teresa d'Avila.