Escrivá,
fede e maniche rimboccate
Le
storie di tutti i giorni nascondono in realtà un
tesoro. «I piccoli eventi della giornata racchiudono
in sé un'insospettabile grandezza». Il quotidiano
non è solo «apparente grigiore», ma
anche via soprannaturale per la santità. Sono le
espressioni scelte da Giovanni Paolo II per sottolineare
il messaggio spirituale del beato Josemaría Escrivá
de Balaguer, proprio nell'anno in cui ricorre il centesimo
anniversario della sua nascita e, con molta probabilità,
il fondatore dell'Opus Dei verrà canonizzato.
Il
Papa ha ricevuto ieri in udienza i partecipanti al congresso
organizzato dalla Prelatura in occasione dell'anniversario.
Cinquemila persone che hanno gremito l'aula «Paolo
VI» in Vaticano, sottolineando le parole del Pontefice
con i loro applausi. E il prelato, monsignor Javier Echevarria,
nel suo saluto ha precisato: «Non ci si proponeva
di esaltare la memoria del beato Josemaría, che
pure viene riconosciuto come una figura di spicco nella
Chiesa ai nostri giorni», ma piuttosto «di
approfondire il suo messaggio».
Così
ha fatto anche Wojtyla nel suo discorso. Ha ricordato,
ad esempio, che impegnarsi quotidianamente per costruire
«una società più degna dell'uomo»
è un obiettivo possibile e doveroso per tutti i
credenti. A patto però che nessuno consideri «l'impegno
spirituale come un qualcosa di riconducibile alla sfera
privata e pertanto irrilevante per l'agire pubblico».
Si
è soffermato sugli «aspetti più attuali
del messaggio del beato Escrivá, specialmente per
quanto concerne - ha fatto rilevare - la grandezza della
vita quotidiana come via verso la santità».
E soprattutto ha ribadito come, «per ogni battezzato
che voglia seguire fedelmente Cristo, la fabbrica, l'ufficio,
la biblioteca, il laboratorio, l'officina, le pareti domestiche
possono trasformarsi in altrettanti luoghi di incontro
con il Signore, che scelse di vivere trent'anni in nascondimento».
Vivere
bene la quotidianità, ha quindi suggerito Giovanni
Paolo II, può aiutare a «superare in radice
ogni frattura tra fede e vita; frattura che il Concilio
Vaticano II denuncia come uno dei "più gravi
errori del nostro tempo"».
Perciò,
ha spiegato ancora il Papa, «santificando il proprio
lavoro nel rispetto delle norme morali oggettive, il fedele
laico contribuisce efficacemente a edificare una società
più degna dell'uomo. Egli coopera così a
plasmare il volto di una umanità attenta alle esigenze
della persona e del bene comune».
Così,
la condotta personale di ognuno finisce per avere delle
inevitabili ripercussioni sull'ordinamento della società.
«Anche per noi - ha spiegato Wojtyla - il quotidiano,
nel suo apparente grigiore, nella sua monotonia fatta
di gesti che sembrano ripetersi sempre uguali, può
acquistare il rilievo di una dimensione soprannaturale
ed esserne in tal modo trasfigurato».
E
sempre per questa via si evita anche la mondanizzazione.
«Siate uomini e donne di mondo, ma non mondani»,
raccomandava Escrivá. Giovanni Paolo II, riprendendo
questo esortazione, ha invitato a sua volta a «evitare
il pericolo del condizionamento di una mentalità
mondana, che - ha sottolineato - concepisce l'impegno
spirituale come un qualcosa di riconducibile alla sfera
privata e pertanto irrilevante per l'agire pubblico».
Per
andare in questa direzione la strada è una sola.
«Se l'uomo non accoglie nel proprio intimo la grazia
di Dio - ha ricordato infatti Papa Wojtyla -, se non prega,
se non si accosta frequentemente ai sacramenti, se non
tende alla santità personale, smarrisce il senso
stesso del suo pellegrinaggio terreno».
Al
contrario, ha detto Giovanni Paolo II, «l'esistenza
d'ogni credente, pur con i suoi pesi e limiti, deve diventare
un vero tempio in cui abita il Figlio di Dio fatto uomo».
Infine, rivolgendosi ai membri dell'Opus Dei, il Pontefice
ha concluso: «Operate sempre in fraterna e solidale
comunione con tutti gli altri membri del popolo cristiano
e con le diverse istituzioni ecclesiali».