Escrivá,
la grandezza di essere santi nella vita di ogni giorno
Cardinali
e vescovi, ministri ed ex ministri, politici di centro
di destra e di sinistra, magistrati e uomini di cultura
insieme a 1.200 delegati provenienti da 57 dei 65 paesi
dove l'Opus Dei è diffusa. Tutti riuniti per celebrare
il centenario della nascita di Josemaría Escrivá
de Balaguer, il beato che fra pochi mesi Giovanni Paolo
II proclamerà santo.
Tutti
ad ascoltare, in religioso silenzio, la presentazione
della figura del Padre fondatore tracciata dal suo secondo
successore, il prelato Javier Echevarría, che di
Escrivá fu segretario. Nel complesso monumentale
di Santo Spirito in Sassia, a due passi da via della Conciliazione,
l'inizio dei lavori del congresso internazionale intitolato
"La grandezza della vita quotidiana" è
scandito da una preghiera, un'Ave Maria in quella che
fu la lingua internazionale della Chiesa, il latino.
La
intona monsignor Echevarría e dal parterre rispondono
non soltanto politici che si sentono perfettamente a loro
agio tra porpore e sacri palazzi, come Giulio Andreotti
o il ministri Rocco Buttiglione, ma anche insospettabili
fan dell'Opera come il diessino Cesare Salvi.
In
che cosa consiste il messaggio del sacerdote spagnolo
nato cent'anni fa a Barbastro, una località ai
piedi dei Pirenei.
"Dovete comprendere - diceva Escrivá in un'omelia
del settembre 1967 all'università di Navarra, intitolata
"Amare il mondo appassionatamente"- che Dio
vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti
civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio,
nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla
cattedra di una università, in fabbrica, in officina,
sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato
panorama del lavoro".
"Dio
ci aspetta ogni giorno - aggiungeva - sappiatelo bene:
c'è qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle
situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno
di voi scoprire".
Queste
parole, che ben sintetizzano l'intuizione originaria del
fondatore dell'Opus, hanno offerto al vescovo Echevarría
lo spunto iniziale della sua relazione. "E' abituale
- ha detto il prelato - contemplare la vita quotidiana,
quella che si presenta nella semplicità e nella
normalità di ogni giorno, come il luogo e il tempo
di ciò che ha poco valore, di ciò che rappresenta
solo ripetizione e monotonia, di ciò che manca
di significati trascendenti.
La
religione stessa, la relazione con Dio, è stata
vista come un uscire dalla quotidianità, come un
compiere azioni straordinarie, lontane dall'esperienza
concreta". "Dio resta dunque fuori dalla vita
quotidiana - ha aggiunto - che finisce per essere identificata
con il profano. Ancora oggi, ampi strati della cultura
dominante considerano la vita quotidiana come qualcosa
di opposto a ciò che fa sorgere grandi uomini e
grandi donne, la identificano con un ostacolo alla libertà
personale e alla propria realizzazione".
Al
contrario, il messaggio di Escrivá è centrato
sulla chiamata universale alla santità, proprio
nelle circostanze della vita ordinaria, ed è una
chiamata rivolta a tutti, in qualunque condizione vivano
e qualsiasi professione svolgano, senza distinzioni. "Dà
una motivazione sovrannaturale alla tua occupazione professionale
- ha detto Echevarría citando il fondatore - e
avrai santificato il tuo lavoro".
La
relazione introduttiva è stata anche l'occasione
per sottolineare alcune peculiarità dell'Opera,
come il rispetto per il pluralismo e l'autonomia delle
realtà terrene. "Noi amiamo il pluralismo
- ha detto il prelato -, il pluralismo è voluto
e amato dall'Opus Dei, non semplicemente tollerato, e
meno che mai osteggiato. I fedeli dell'Opera possono difendere
e di fatto difendono posizioni anche opposte in tutto
ciò che è opinabile nella vita di un Paese".
Parole
pronunciate per sfatare l'immagine spesso evocata dai
media di un'Opus Dei monolitica e influente, che agisce
come lobby di potere. Per descrivere l'attualità
del pensiero del beato, è stato scelto uno storico
che non appartiene all'Opera, Giorgio Rumi. Lo studioso,
nella seconda parte del convegno, ha sostenuto che "il
pensiero di Escrivá innova radicalmente mezzo millennio
di atteggiamento verso il "mondo", superando
l'abituale concezione del lavoro come castigo, e mostrando
tutto il valore civile e religioso dell'attività
umana".
Rumi,
paragonando il fondatore dell'Opera a don Primo Mazzolari,
ha infine ricordato che Escrivá ha ben spiegato
come l'essere "poveri" non significhi soltanto
non avere ricchezze, ma anche essere distaccati da esse.
E questo "distacco" viene proposto e insegnato
dall'Opus Dei ai tanti vip che entrano in contatto con
lei.