Questa
intervista, raccolta da Gioacchino Navarro, è stata
concessa dal Prelato dell'Opus Dei in esclusiva per "ABC"
di Madrid, e per "Avvenire" di Milano, che l'ha
pubblicata in due puntate il 30 novembre e il 1° dicembre.
La riproduciamo per cortese concessione del quotidiano
italiano.
In questi mesi si è parlato, e scritto, molto sulla
trasformazione giuridica dell'Opus Dei. Vorrei tuttavia
che lei ci illustrasse sinteticamente questo evento.
Si tratta, in poche parole, solo di un cambiamento
di veste giuridica. Fino a questo momento, l'Opera era
- di diritto, anche se non di fatto - un Istituto secolare.
Adesso il Papa ha decretato che si dia all'Opus Dei una
configurazione giuridica conforme al suo spirito e alla
sua realtà sociale. Lo ha eretto pertanto in Prelatura
personale, in base alle norme emanate dal Concilio Vaticano
II, nel Decreto Presbyterorum ordinis, n. 10, ed applicate
con maggiori dettagli in due successivi documenti pontifici:
il Motu proprio Ecclesiae Sanctae, del 6-VIII-1966, e
la Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae,
del 15-VIII-1967.
In
queste norme si stabilisce l'opportunità che, per
la cura di speciali necessità pastorali ed apostoliche,
la Santa Sede eriga queste Prelature personali. Che cosa
sono? Sono delle istituzioni ecclesiastiche di carattere
giurisdizionale (governate, cioè, da un Prelato
o Ordinario con potestà di regime o di giurisdizione),
che, senza ledere minimamente alcuno dei diritti dei Vescovi
diocesani, hanno la facoltà di incardinare sacerdoti
secolari ed alle quali possono anche incorporarsi i laici
attraverso un vincolo di carattere contrattuale. Tutti
questi sacerdoti e laici si dedicano a perseguire, secondo
Statuti propri approvati dalla Santa Sede e sotto l'autorità
del Prelato, il concreto fine pastorale della Prelatura.
Come è costituita la Prelatura Opus Dei e quali
sono i suoi fini?
La Prelatura Opus Dei è una Prelatura personale
di ambito internazionale, con sede centrale a Roma e dipendente
dalla Sacra Congregazione per i Vescovi.
Essa
è costituita da un Prelato; dal clero o presbiterio
della Prelatura, che sono i sacerdoti incardinati nell'Opus
Dei; e dai laici che liberamente si sono incorporati o
si incorporeranno ad essa nel futuro. I sacerdoti provengono
esclusivamente dai laici dell'Opus Dei che ricevono i
sacri ordini dopo aver svolto gli studi ecclesiastici
necessari. Con ciò, pertanto, non si vengono a
sottrarre sacerdoti, né candidati al sacerdozio,
a nessuna diocesi.
I
laici della prelatura sono uomini e donne, celibi o sposati,
di ogni razza e condizione sociale, senza limite alcuno
per ragioni di salute, di età, di circostanze familiari
o professionali, ecc. Ciò che si richiede naturalmente
a ciascuno di essi è che abbiano ricevuto dal Signore
tanto la vocazione specifica per dedicarsi al fine proprio
dell'Opus Dei, quanto le condizioni necessarie per assumere
responsabilmente gli impegni che questa dedizione comporta.
Per
quanto concerne la finalità della Prelatura, un
documento della Santa Sede la definisce "doppiamente
pastorale" ed aggiunge la seguente spiegazione:
"In effetti il Prelato ed il suo presbiterio svolgono
un peculiare lavoro pastorale al servizio del laicato
- peraltro ben circoscritto - della Prelatura; e tutta
la Prelatura - presbiterio e laicato insieme - realizza
un apostolato specifico al servizio della Chiesa universale
e delle Chiese locali.
Sono
dunque due gli aspetti fondamentali della finalità
e della struttura della Prelatura, che spiegano la sua
ragione di essere ed il suo naturale inserimento nell'insieme
delle attività pastorali ed evangelizzatrici della
Chiesa:
a) da una parte, il peculiare lavoro pastorale del Prelato
con il suo presbiterio per la cura ed il sostegno dei
fedeli laici incorporati all'Opus Dei nel compimento degli
impegni ascetici, formativi ed apostolici, che hanno assunto
e che sono particolarmente esigenti;
b) dall'altra, l'apostolato che il presbiterio ed il laicato
della Prelatura portano avanti inseparabilmente uniti
al fine di diffondere in tutti gli ambienti della società
una profonda presa di coscienza della chiamata universale
alla santità ed all'apostolato e, più concretamente,
del valore santificante del lavoro professionale ordinario".
Unità
con i Vescovi diocesani
In alcuni ambienti è sorta, tempo addietro,
una certa perplessità relativamente allo studio,
allora in corso, del cambiamento della situazione giuridica
dell'Opus Dei. Vi fu addirittura qualcuno che arrivò
a parlare del fatto che l'Opus Dei poteva convertirsi
in una "chiesa parallela" o in una "chiesa
dentro la Chiesa". Che cosa potrebbe dirci su ciò?
Questa domanda mi permette di chiarire alcuni equivoci
che sono sorti durante gli ultimi tre anni nell'ambito
di alcuni pochi gruppi di persone. Desidero comunque premettere
che non intendo assolutamente polemizzare con nessuno.
A
mio parere l'errore di affermare che cercavamo di essere
indipendenti dai Vescovi poggia sul fatto che il tema
della nostra trasformazione giuridica risultava difficile
a capirsi se non si possedeva, assieme a certe nozioni
di diritto canonico, la necessaria conoscenza dei documenti
conciliari e di quelli della Santa Sede sulle nuove Prelature
personali volute dal Concilio Vaticano II.
Cercherò
di spiegarmi meglio. A quanto pare, alcuni di coloro che
manifestarono il loro disaccordo con la richiesta di cambiamento
dello status giuridico dell'Opus Dei si soffermavano solamente
sull'esistenza di un tipo di Prelatura, le cosiddette
Prelature territoriali, altrimenti dette nullius dioecesis,
che sono le uniche contemplate nel Codice di Diritto Canonico
del 1917, ancora in vigore, e che, in effetti, sono assolutamente
indipendenti dai Vescovi diocesani. Non sapevano - o non
tenevano conto - che il Concilio Vaticano II aveva aperto
il cammino ad un altro tipo di Prelature, non territoriali
ma personali, che sarebbero state erette per svolgere
specifici compiti apostolici, restando debitamente salvaguardati
tutti i diritti dei Vescovi dei luoghi ove esse lavorassero.
Altri
- probabilmente la maggioranza - ignoravano che tipo concreto
di richiesta avesse avanzato l'Opus Dei, e immaginavano
richieste mai fatte come quella della Prelatura nullius
dioecesis o quella della Diocesi personale che comportano
una autonomia totale dai Vescovi diocesani. E si lanciarono
contro questi fantasmi.
Immagino
che con l'espressione "chiesa parallela" intendessero
riferirsi alla possibile esistenza di un gruppo, privo
dell'autorità e del controllo della Gerarchla diocesana:
una specie di "Diocesi personale mondiale",
o di "microchiesa" a livello universale. Indubbiamente
queste espressioni non hanno nulla a che vedere con l'alveo
che ha aperto il Concilio Vaticano II approvando questo
nuovo tipo di Prelature, né con quello utilizzato
dall'Opus Dei fino a questo momento, né tanto meno
con quello che l'Opus Dei aveva richiesto alla Santa Sede.
E'
comunque certo che qualcuno ha divulgato la notizia che
l'Opus Dei cercava di rendersi completamente indipendente
dai Vescovi. I fatti hanno smentito questa calunniosa
accusa che noi abbiamo negato tante volte attraverso comunicati
ufficiali di stampa, dichiarazioni, ecc., e soprattutto
con la testimonianza della nostra vita e del nostro servizio
alla Chiesa.
Lei mi ha premesso che non desidera entrare in polemica
con nessuno, potrebbe comunque dirmi se quelle affermazioni
di una pretesa separazione dai Vescovi diocesani, rese
pubbliche almeno in due occasioni, obbedivano ad una campagna
organizzata per impedire lo studio che si stava svolgendo
nella Santa Sede?
Questo è risultato evidente, ma io preferisco
dimenticarlo e perdonare come abbiamo fatto fin dal primo
momento, seguendo la norma di condotta del nostro Fondatore.
Desidero insistere nel sottolineare che l'Opus Dei non
ha mai preteso alcuna separazione né esenzione
riguardo ai Vescovi diocesani.
La
nostra ragione di essere e il nostro spirito consistono
nel servire la Chiesa come la Chiesa desidera essere servita.
E perché questo servizio sia concreto ed efficace,
in ogni diocesi dove lavoriamo, trainiamo il carro - così
si esprimeva con frequenza Mons. Josemaria Escrivá
- nella stessa direzione in cui lo traina il Vescovo,
con lo spirito ed i modi apostolici che la Santa Sede
ci ha approvato. Perciò, se in qualche luogo sorgesse
un conflitto o un malinteso con il Vescovo diocesano,
seguiremmo sempre - lo dico senza orgoglio - il consiglio
del nostro Fondatore: non discutere - e tanto meno pubblicamente
-; ma non solo, cederemmo sempre in tutto ciò che
ragionevolmente si potesse cedere. E sono certo che non
ci pentiremmo mai di esserci comportati in tal modo in
quanto questo atteggiamento, che potrebbe sembrare, in
un primo momento e umanamente parlando, pregiudizievole
per l'Opus Dei, in breve tempo si dimostrerebbe sempre,
grazie a Dio, fecondo.
Con il nuovo status giuridico l'Opus Dei ottiene maggior
autonomia rispetto ai Vescovi diocesani?
Non abbiamo mai cercato di ottenere ciò, perché
certamente non lo vuole Dio né la Santa Sede l'avrebbe
ammesso, e noi stessi non lo vogliamo e neppure ne abbiamo
bisogno. L'Opus Dei era già, fin dal 1947, una
istituzione di diritto pontificio, con un regime di governo
centralizzato, di ambito internazionale e che godeva della
necessaria potestà ed autonomia per realizzare
il proprio lavoro al servizio della Santa Chiesa e pertanto
delle diocesi.
I
nostri Statuti non hanno cambiato nulla su questo punto,
e l'Opus Dei continua a mantenere con i Vescovi diocesani
gli stessi rapporti di prima, come per esempio la richiesta
previa di autorizzazione del Vescovo del luogo per l'erezione
di un Centro della Prelatura; il rilascio da parte dell'Ordinario
del luogo ai sacerdoti dell'Opus Dei - come avveniva in
precedenza - delle licenze necessarie per esercitare il
loro ministero con persone non incorporate alla Prelatura,
ecc.
Mi
è comunque grato precisare che - seguendo fedelmente
la volontà del nostro Fondatore - abbiamo sollecitato
espressamente la Santa Sede affinchè queste norme
rimanessero immutate negli Statuti della Prelatura; con
l'aiuto di Dio, nutriamo l'orgoglio santo di pregare,
amare, venerare, rispettare ed obbedire, in ogni momento
ed in qualsiasi circostanza, i legittimi Pastori della
Chiesa, il Papa cioè ed i Vescovi in comunione
con la Santa Sede.
Perciò
- e lei non si può immaginare con quanta gioia
lo affermi - abbiamo contato sempre, e concretamente nei
recenti momenti d'incomprensione che ho appena ricordato,
sull'incoraggiamento e sull'affetto della Santa Sede e
di migliaia di Vescovi che conoscono e stimano i nostri
desideri di lealtà e di servizio.
Il
carisma fondazionale
Ma non rimane adesso l'Opus Dei più direttamente
vincolata alla Santa Sede? Secondo quanto si è
detto in questi mesi, sarebbe quasi un esercito personale
del Papa in ogni diocesi.
Nei rapporti con la Santa Sede l'unico cambiamento
consiste nel fatto che l'Opus Dei, come le altre prelature,
viene adesso a dipendere da un altro dicastero: la Sacra
Congregazione dei Vescovi.
Il
resto può considerarlo come una nota di colore
o l'espediente di qualche giornalista per "spiegare"
questa decisione, senza voler entrare a fondo nelle questioni
pastorali e giuridiche che il grande pubblico non conosce,
e a cui forse nemmeno interessano. Ciò non toglie,
ovviamente, che ogni membro dell'Opus Dei, e tutta l'Opera
nel suo insieme, si impegni ad essere pienamente fedele,
in ogni situazione e luogo, al Romano Pontefice. Ed è
altrettanto ovvio che questa fedeltà al Papa significa
pure fedeltà e stretto legame di unione con ciascuno
degli Ordinari diocesani.
Ma quali motivi allora hanno spinto l'Opus Dei a chiedere
il mutamento di forma giuridica?
Questa trasformazione giuridica dell'Opus Dei fu
richiesta per risolvere una grave questione istituzionale
la cui soluzione era da tempo pendente. Si trattava di
rendere corrispondente la configurazione dell'Opera a
quello che potremmo chiamare "il carisma fondazionale";
e cioè a ciò che fin dal principio Mons.
Escrivá vide che doveva essere l'Opus Dei.
Dal
1928 infatti, dall'anno cioè della fondazione,
egli intuì che esso doveva muoversi in un alveo
similare a quello recentemente approvato, senza comunque
precisare, come è logico, tutti i dettagli giuridici
di questa soluzione. La precedente situazione giuridica
ci collocava in uno stampo che non corrispondeva al nostro
cammino ed obbligava il nostro Fondatore a fare costanti
chiarimenti davanti alle autorità ecclesiastiche
e civili, e davanti alla stessa opinione pubblica, al
fine di difendere continuamente la nostra vocazione e
di puntualizzare le caratteristiche della nostra specifica
secolarità.
Il
nuovo status quindi non rappresenta un desiderio di singolarità,
ma, proprio al contrario, la necessità di uscire
finalmente da questa singolarizzazione che venivamo costantemente
assumendo nella precedente configurazione giuridica a
forza di spiegare, una volta dopo l'altra, quello che
non eravamo affinchè non ci si identificasse con
i religiosi. Come si vede non era proprio un capriccio!
Inoltre, fino al 1975, il nostro Fondatore - con tutto
il peso della sua autorità morale - vigilava affinchè
questa mancanza di corrispondenza fra lo spirito dell'Opera
e la norma giuridica che ci era stata applicata, non producesse
una deviazione dello spirito.
Ma
con la sua morte questo pericolo poteva accentuarsi e
cresceva pertanto il rischio che l'Opera, con il passar
del tempo, perdesse il suo genuino carisma fondazionale
e finisse per snaturarsi. Desidero inoltre aggiungere
che la confusione che a volte si produceva a causa delle
affermazioni di alcuni sul fatto che i laici dell'Opus
Dei fossero "persone consacrate", portava erroneamente
a dubitare della loro reale autonomia nell'ambito sociale
e professionale, determinando incredibili incomprensioni
e discriminazioni. Come è logico, questa situazione
forzata nella quale ci trovavamo, appannava la vera natura
dell'Opus Dei e limitava, in misura non irrilevante, l'efficacia
e l'incisività apostolica dei laici dell'Opera.
A che scopo tanto impegno per non essere confusi con i
religiosi?
La sua domanda tocca l'essenza dello spirito dell'Opus
Dei e pertanto, per non dilungarmi, le risponderò
molto semplicemente invitando i lettori che desiderassero
una spiegazione più profonda a rimettersi ai chiarimenti
che fece il nostro Fondatore in diverse interviste alla
stampa, durante gli anni sessanta, e che sono state raccolte
successivamente in un volume dal titolo Colloqui con Mons.
Escrivá.
Lì
si descrive che cos'è l'Opus Dei. Ora invece mi
limiterò a dirle che dal 1928 il Signore ha voluto
servirsi dell'Opus Dei per ricordare ai cristiani - ed
è tornato a ricordarlo, in modo impressionante,
nel Magistero solenne dell'ultimo Concilio ecumenico -
che possono e devono essere santi in mezzo al mondo, senza
abbandonare il proprio lavoro né i loro rapporti
familiari e professionali, facendo di tutte queste realtà
umane occasioni e mezzo per l'esercizio delle virtù,
materia prima della propria santità e del proprio
apostolato. È molto semplice pertanto la ragione
del nostro impegno a non essere considerati religiosi,
perché non lo siamo, né conviene alla Chiesa
che ci considerino più o meno assimilati ad essi.
Ma
mi consenta di approfittare di questa occasione per manifestare
ancora una volta tutto l'amore e la venerazione che provo
per i religiosi e che nell'Opus Dei abbiamo appreso da
Mons. Escrivá. Sono sicuro che tutti i membri dell'Opus
Dei vivono questo stesso spirito, dato che tutti portiamo
impresse nell'anima quelle parole che abbiamo udito ripetere
dal nostro Fondatore con moltissima frequenza: nell'Opus
Dei amiamo con tutto il cuore e veneriamo i religiosi
e se qualcuno non vivesse questa norma di condotta non
vivrebbe fedelmente la sua vocazione.
Uguale
affetto nutriamo anche per tutti coloro che, uomini e
donne, attraverso la professione dei consigli evangelici,
si consacrano a Dio in mezzo al mondo.
Perché non si è cercata una forma giuridica
più conosciuta?
È questo un tema che il nostro Fondatore, e tutta
l'Opera rappresentata nei nostri Congressi, ha studiato
molto a fondo e sul quale si è fatta molta orazione.
Perciò le posso assicurare che qualsiasi altra
forma non era adeguata.
Tenga
presente che lo studio giuridico non è stato una
costruzione campata in aria o realizzata su basi puramente
teoriche, il suo fondamento è ben concreto e risponde
in primo luogo alla necessità di salvaguardare
il carisma fondazionale che conteneva la volontà
di Dio e, successivamente, la realtà attuale dell'Opus
Dei nel suo aspetto spirituale, sociale e giuridico.
Il
nostro spirito ed il nostro modo apostolico, nettamente
secolare, escludevano di per sé tutte le soluzioni
proprie dei religiosi e delle istituzioni che professano
quel particolare stato ecclesiale che prima si chiamava
"stato di perfezione", e ora viene denominato
"di vita consacrata". D'altra parte l'Opus Dei,
al fine di garantire il suo sviluppo apostolico, aveva
bisogno di continuare ad essere un'organizzazione internazionale
con una potestà ecclesiastica di regime, con governo
centralizzato e con la possibilità di continuare
ad incardinare i propri sacerdoti; non poteva quindi essere
strutturata come un movimento apostolico o come una semplice
associazione di fedeli.
Pertanto,
anche solo per esclusione, se ci si può esprimere
così, bisogna arrivare a concludere che la formula
adottata era l'unica possibile, e a questa conseguenza,
dopo anni di studio, è giunta anche la Santa Sede
decretando l'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale.
Un
cammino iniziato nel 1928
Come si può interpretare il fatto che l'Opus Dei,
almeno secondo alcuni giornali, abbia negato di aver richiesto
la trasformazione in Prelatura personale?
Nessun ufficio informazione dell'Opus Dei, in nessun Paese,
ha mai negato che avessimo richiesto la nostra trasformazione
in Prelatura personale. In un caso concreto l'Opera venne
accusata di voler trasformarsi in una Prelatura personale
indipendente dai Vescovi.
Fu
allora che un comunicato dell'Opus Dei, di sole quattro
o cinque righe, affermò che l'Opera non aveva mai
richiesto di essere riconosciuta come Prelatura o Diocesi
personale indipendente dai Vescovi residenziali. Tutta
la ragione di essere della smentita stava proprio in queste
ultime parole, che peraltro alcuni non raccolsero, forse
per non essere riusciti a captarne la portata, che era
invece decisiva. Per fortuna lo fecero altri giornalisti,
e in questi casi nessun lettore cadde in inganno. Desidero
comunque aggiungere che questi comunicati stampa furono
sempre concordati previamente con la Santa Sede.
Se il Fondatore dell'Opus Dei aspirava a questa soluzione,
come mai si è tardato tanto tempo per ottenerla?
Potrebbe riassumere il cammino che si è seguito
per questo studio?
La storia è lunga, dato che comincia nel 1928
con la fondazione dell'Opera. Il nostro Fondatore, solo
per ragioni di urgente necessità - come il fatto
di dover risolvere il problema dell'incardinazione dei
sacerdoti nell'Opus Dei stesso e il poter disporre di
una organizzazione di regime universale che garantisse
l'unità dell'Opera - si vide costretto a ricorrere
provvisoriamente a formule giuridiche inadatte ma che
erano anche le sole che consentiva il diritto allora vigente.
Nell'accettare
queste soluzioni, sia nel 1943 che nel 1947, egli fin
d'allora fece tuttavia notare all'autorità competente
che sperava che si aprissero nuovi alvei giuridici che
potessero risolvere soddisfacentemente il problema istituzionale
dell'Opus Dei, in accordo cioè con la sua genuina
natura. Il Concilio Vaticano II aprì provvidenzialmente
l'alveo giuridico necessario e fu in considerazione di
queste nuove possibilità che Mons. Escrivá,
con l'incoraggiamento di Paolo VI, convocò nel
1969 un Congresso Generale dell'Opus Dei, allo scopo di
effettuare gli studi necessari in ordine alla soluzione
giuridica definitiva.
Questi
studi sono proseguiti - senza fretta, ma anche senza pause
- durante questi ultimi anni, e non furono interrotti
neppure in seguito alla morte di Mons. Escriva, avvenuta
nel 1975, né in seguito a quella di Paolo VI, nel
1978. Giovanni Paolo I, nel suo breve pontificato, dispose
espressamente che si proseguisse l'esame della definitiva
configurazione giuridica dell'Opera, e Giovanni Paolo
II mi comunicò nel novembre del 1978 che considerava
una necessità improrogabile che si risolvesse il
problema istituzionale dell'Opus Dei.
Poco
dopo, presentata ufficialmente tutta l'opportuna documentazione,
il Santo Padre affidò lo studio della questione
alla Sacra Congregazione per i Vescovi, che è il
dicastero della Curia Romana competente in materia. È
stata questa Congregazione, con la collaborazione di una
speciale Commissione tecnica - nella quale eravamo rappresentati
anche noi -, a realizzare l'incarico dopo una attenta
e minuziosa valulazione di tutti gli elementi necessari
di carattere storico, giuridico, dottrinale, apostolico,
pastorale, ecc. Tutto questo lavoro è durato tre
anni. L'ampio studio fu infine sottoposto all'esame personale
del Santo Padre che prima di assumere le decisioni definitive
volle contare anche sul parere di una Commissione cardinalizia
ad hoc, presieduta dal Prefetto della Sacra Congregazione
per i Vescovi.
Il
Santo Padre indicò allora che venissero informati
della sua decisione i Vescovi delle nazioni in cui l'Opus
Dei, con l'autorizzazione dei rispettivi Ordinari del
luogo, aveva eretto dei Centri, affinchè - se lo
volevano - facessero giungere alla Santa Sede le proprie
osservazioni. È già di pubblico dominio
che la stragrande maggioranza dei Vescovi manifestò
la propria soddisfazione per tale decisione, e che quanti
inviarono delle osservazioni o chiesero chiarimenti su
qualche punto, furono adeguatamente ascoltati e tenuti
in debito conto.
Penso
di aver risposto con ciò anche alla sua domanda
sul perché si sia tardato tanto - secondo la sua
espressione - per giungere a questa soluzione. È
comunque logico che costituendo l'Opus Dei un fenomeno
pastorale di caratteristiche realmente nuove, e trattandosi
di applicare per la prima volta una formula giuridica,
anch'essa nuova nel diritto generale della Chiesa, la
Santa Sede abbia voluto procedere con la massima prudenza
e sicurezza.
Il Papa ha approvato anche i nuovi Statuti dell'Opus Dei.
Può dirci che novità comportano?
Questi Statuti sono praticamente gli stessi che Pio
XII approvò ad experimentum nel 1947, e definitivamente
nel 1950. Incoraggiato da Paolo VI, il nostro Fondatore
convocò nel 1969 un Congresso Generale dell'Opus
Dei, allo scopo di introdurre in questo testo legale le
modifiche strettamente necessarie, per il momento in cui
si sarebbe chiesto alla Santa Sede la trasformazione dell'Opera
in Prelatura personale.
All'interno
di tali modifiche, il cambiamento più importante,
anch'esso desiderato da moltissimi anni dal nostro Fondatore,
consiste nell'incorporazione all'Opera, che avviene ora
per mezzo di un vincolo di carattere contrattuale. È
l'esistenza di questo preciso accordo, tra la Prelatura
e i fedeli che si incorporano ad essa, che consente di
chiarire maggiormente l'ambito degli obblighi mutui, che
sono - non mi dispiace ripeterlo ancora una volta, anche
se si tratta di una realtà ben nota - obblighi
di carattere unicamente spirituale, formativo ed apostolico.
Parallelamente
allo stabilirsi di questo vincolo contrattuale, vengono
soppressi negli Statuti gli elementi propri degli Istituti
di vita consacrata - quelli relativi cioè alla
professione dei consigli evangelici -, che si trovano
al margine del cammino che vide il nostro Fondatore nel
1928, ma che dovette includere nel diritto particolare
dell'Opus Dei, anche se non li aveva mai voluti, perché
così lo esigeva la normativa giuridica degli Istituti
secolari.
Si renderanno pubblici gli statuti dell'Opus Dei?
Sì. Sarà per me un piacere consegnarli a
tutte le autorità competenti - cominciando dai
Vescovi nelle cui diocesi lavoriamo - e non vedo alcuna
difficoltà per renderli di pubblico dominio, con
l'opportuno permesso della Santa Sede. Ciò era
stato già annunziato dal nostro Fondatore durante
un'intervista rilasciata alla stampa più di dieci
anni fa.
La
Società Sacerdotale della Santa Croce
Nei documenti firmati da lei, e che sono stati pubblicati
da un quotidiano spagnolo nel 1979, si diceva che l'Opus
Dei desiderava essere riconosciuto come Prelatura personale
cum proprio populo. Finora invece lei mi ha parlato solo
di una Prelatura personale. Si trattaa della stessa cosa,
o invece l'Opus Dei ha cambiato il contenuto della sua
richiesta in questi ultimi due anni?
Le spiego questo punto in quanto si tratta di una
pura questione terminologica. Nel 1979, data dei documenti
da lei menzionati, gli studiosi di diritto canonico distinguevano
tra Prelature personali e Prelature personali cum proprio
populo. Le prime erano quelle composte solo dal Prelato
e dai sacerdoti, come la Prelatura de Pontigny o Mission
de France, della quale avrà sentito parlare. Le
seconde, invece, quelle chiamate cum proprio populo, erano
Prelature personali che comprendevano anche laici, cioè
con fedeli incorporati.
Era
logico, quindi, che essendo l'Opus Dei composto da una
grandissima maggioranza di laici, impiegassimo l'espressione
cum proprio populo, altrimenti si sarebbe potuto pensare
che richiedevamo l'erezione in Prelatura di una sola parte
dell'Opera e cioè del clero, come se si desiderasse
che i laici (più di 60.000, allora) continuassero
nella loro condizione di Istituto secolare.
Nello
stesso tempo, in quei documenti inviati alla Santa Sede
fin dall'inizio dello studio ed in altri, si diceva che
- anche se veniva impiegata l'espressione "cum proprio
populo", per evitare l'equivoco al quale ho appena
fatto riferimento - non si pretendeva in nessun modo (perché
non era mai stata questa la volontà del nostro
Fondatore) che i fedeli della Prelatura restassero sotto
la completa ed esclusiva dipendenza del Prelato, e cioè,
indipendenti o esenti dalla giurisdizione che il Diritto
comune attribuisce ai Vescovi diocesani.
Fortunatamente,
nel dicembre del 1980, la Commissione Pontificia per la
revisione del Codice di Diritto canonico, nell'informare
sulla sua rivista Communicationes intorno ai lavori che
la Commissione compiva in relazione alla figura giuridica
delle Prelature personali, fece sapere che era stata soppressa
nei progetti dei canoni l'espressione cum proprio populo,
dato che essa per varie ragioni tecniche risultava inadatta.
Logicamente - e aggiungerei, con soddisfazione - ci siamo
adeguati allora a questa norma di precisione giuridica
e terminologica, senza necessità alcuna di cambiare
il contenuto della nostra richiesta, che è rimasta
quindi la stessa che la Santa Sede ha ora definitivamente
sanzionato.
I sacerdoti incardinati nelle diocesi possono divenire
soci dell'Opus Dei?
Il presbiterio della Prelatura Opus Dei è composto
unicamente ed esclusivamente dai sacerdoti dell'Opus Dei,
provenienti dai laici della Prelatura che dopo aver terminato
gli studi ecclesiastici ricevono gli ordini sacri ai quali
sono chiamati dal Prelato.
Ma
esiste anche - inseparabilmente unita all'Opus Dei - la
Società Sacerdotale della Santa Croce, della quale
è Presidente Generale il Prelato dell'Opus Dei.
A questa Associazione possono appartenere con un vincolo
di carattere meramente associativo i sacerdoti incardinati
in qualsiasi diocesi, senza che ciò li ponga sotto
la potestà giuridica del Prelato, e senza che si
perda o si debiliti minimamente il vincolo che essi posseggono
con le loro rispettive diocesi e con il proprio Ordinario.
Come
lei saprà, il Concilio Vaticano II, nel Decreto
sui presbiteri, elogia e stimola le Associazioni dirette
a fomentare la santità dei sacerdoti nell'esercizio
del loro ministero. Questo è appunto il fine della
Società Sacerdotale della Santa Croce, che offre
ai suoi soci l'opportuna cura spirituale ed ascetica,
che non solo conserva integra ma anzi rafforza l'obbedienza
canonica che essi devono al loro Vescovo.
Non
si presenta pertanto alcun problema di doppia obbedienza
che possa creare conflitti, e ciò non avviene per
la semplice ragione che, con la nuova formula che ha consentito
l'erezione dell'Opus Dei in Prelatura, questi sacerdoti
non vengono ad avere un duplice superiore - il proprio
Vescovo, cioè, e un superiore interno dell'Opus
Dei -, ma ne hanno uno solo: ciascuno il proprio Vescovo.
Questa
soluzione, sempre desiderata dal nostro Fondatore, ma
che non fu possibile adottare fintanto che l'Opus Dei
rimase di diritto un Istituto secolare, è perfettamente
chiara. Mi permetterei perciò di dire, anche per
l'esperienza di tanti anni, che con ciò migliora
e si potenzia enormemente il servizio pastorale che questi
sacerdoti prestano alle loro diocesi, dato che l'aiuto
spirituale ed ascetico che ricevono dalla Società
Sacerdotale della Santa Croce li porta, tra l'altro, a
mantenere una disponibilità esemplare di fronte
alle richieste dei loro Ordinari e di fronte alle necessità
delle diocesi.
Con il nuovo status giuridico l'Opus Dei non corre il
rischio di isolarsi e di convertirsi in un gruppo di cristiani,
anche di ottimi cristiani se si vuole, ma che vivono al
margine degli altri membri della Chiesa? Voglio chiederle
se con ciò non si viene a favorire la costituzione
di una "chiesa d'élite", chiusa in se
stessa.
Mi sembra di aver già risposto, o per lo meno
in parte, a questa domanda. Comunque non ho alcuna difficoltà
ad insistere sul tema. Le dicevo qualche momento fa che
la nuova situazione giuridica non ci separa minimamente
dai Vescovi, e le aggiungo adesso che non ci trasforma
per nulla in un gruppo separato dagli altri sacerdoti
e laici della Chiesa. Questa nuova forma viene a sanzionare
ciò che è una realtà vissuta e cioè
che i sacerdoti dell'Opus Dei sono pienamente secolari
- sia per la loro formazione che per il loro spirito e
la loro mentalità, sia per il modo in cui svolgono
il loro ministero, ecc. - e inoltre si sentono portati
ad esercitare e a stimolare l'unità fraterna con
gli altri sacerdoti del rispettivo presbiterio diocesano,
al quale anch'essi appartengono.
I
laici, da parte loro, sono comuni fedeli che dipendono
dal Vescovo, né più né meno come
tutti gli altri fedeli della diocesi, per ciò che
concerne il diritto comune della Chiesa. La loro dipendenza
dal Prelato dell'Opus Dei, per ciò che riguarda
gli impegni ascetici, formativi ed apostolici assunti
con la loro incorporazione alla Prelatura, rafforza la
loro unione al rispettivo Vescovo diocesano, dato che
l'Opera li aiuta a lottare per essere dei fedeli e dei
cittadini cattolici esemplari.
Risulta
pertanto evidente che non esiste il rischio che lei segnalava
che l'Opera possa rinchiudersi in se stessa. Anzi le dirò
che i frutti del lavoro dell'Opus Dei restano proprio,
nella loro assoluta maggioranza, nelle diocesi in cui
noi lavoriamo, ed è un gran dono di Dio per qualsiasi
diocesi poter contare su un buon numero di cristiani di
prestigio per la loro professione o mestiere, che s'impegnano
a condurre una vita d'intensa orazione e ad offrire una
sincera testimonianza cristiana pur attraverso le proprie
limitazioni personali. Tenga anche conto che tutti questi
uomini, e queste donne, cercano costantemente di trasmettere
i loro ideali ai parenti, ai colleghi ed agli amici, avvicinandoli
ai sacramenti e alla vita della grazia e facendoli partecipare
più intensamente alle attività delle rispettive
comunità parrocchiali.
Le
diocesi traggono gran beneficio dalle famiglie cristiane
che questi uomini e queste donne costituiscono e per le
vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa che sbocciano
dai loro focolari cristiani. Inoltre, tutta la comunità
civile godrà anche delle iniziative assistenziali,
educative, di promozione sociale, ecc. che i membri dell'Opus
Dei suscitano in tutto il mondo e sempre in collaborazione
con molte altre persone, anche non cattoliche e non cristiane.
Ma
neppure da un punto di vista sociologico la Prelatura
potrebbe costituire una "chiesa d'élite"
dato che all'Opus Dei possono appartenere - e di fatto
vi appartengono - persone di tutte le professioni, mestieri
e condizioni sociali.
La Commissione pontificia per la riforma del Codice di
Diritto canonico è intervenuta nello studio della
richiesta presentata dall'Opus Dei?
No. La nostra richiesta non si fondava su norme del
futuro Codice di diritto canonico, ma sulla normativa
conciliare e post-conciliare già in vigore nella
vita della Chiesa. A questo proposito, voglio chiarire
il seguente errore: si è detto, e si è ripetuto,
che l'Assemblea plenaria della Commissione pontificia
per la riforma del Codice di Diritto canonico, riunita
a Roma alla fine dell'ottobre del 1981, aveva respinto
la richiesta dell'Opus Dei di essere trasformato in Prelatura.
Ciò non è vero.
La
Commissione Pontificia per la revisione del Codice di
Diritto canonico, infatti, non poteva occuparsi della
nostra petizione, né nella sua riunione plenaria
di ottobre, né in nessun'altra occasione, per evidenti
ragioni di competenza, dato che il suo compito è
di preparare una legge generale - il nuovo Codice -, e
pertanto in nessun modo cerca soluzioni per casi particolari
il cui studio non le era stato affidato. E poi, come le
ho detto, la richiesta di trasformazione giuridica dell'Opus
Dei non si fondava su possibili norme del futuro Codice,
ma sulla normativa vigente.
In
quanto Presidente dell'Opus Dei, e in quanto Consultore
della stessa Commissione pontificia per la revisione del
Codice di Diritto canonico, sapevo bene che era falso
che l'Assemblea plenaria di tale Commissione avesse respinto
la richiesta dell'Opus Dei di essere eretto in Prelatura
personale. Ma preferii tacere, perché non potevo,
né volevo aprire una polemica.
A
parte ciò, e perché lei si renda ben conto
che queste due cose - l'Assemblea plenaria della Commissione
del Codice e la richiesta dell'Opus Dei alla Santa Sede
- non erano questioni in relazione tra loro o che si condizionassero
negativamente, le aggiungerò un dato di calendario
abbastanza eloquente: il Santo Padre decise che si muovessero
i passi necessari per giungere ai risultati che oggi stiamo
commentando, il 7 novembre 1981 - così mi fu comunicato
ufficialmente -, cioè solo una settimana dopo che
ebbe luogo la citata sessione plenaria e precisamente
nei giorni in cui apparvero su alcuni giornali quelle
informazioni errate.
Bilancio
& previsioni
Con questo cambiamento giuridico si può dire che
si chiude una fase della vita dell'Opus Dei. Vorrebbe
fare un bilancio delle attività e dell'espansione
dell'Opera durante questi anni trascorsi, ed una previsione
sul lavoro del prossimo futuro?
Anche se, come ripeto, il cambiamento è stato
solo di veste giuridica e nulla quindi che appartenga
all'essenzialità dell'Opus Dei è mutato,
posso egualmente affermare che è stato compiuto
un passo molto importante per il quale il nostro Fondatore
ha pregato ed ha fatto pregare con grande fede durante
molti anni, anche quando tutti i cammini giuridici erano
ancora chiusi. Ma da ora in poi i membri dell'Opus Dei
potranno lavorare al servizio della Chiesa e della società
con molta più pace e naturalezza.
Mi
chiede un bilancio e delle previsioni. Nell'Opus Dei non
siamo molto amici delle statistiche sul lavoro apostolico.
Anche se rispetto assolutamenute l'opinione contraria,
ritengo comunque che nelle opere di apostolato bisogna
attribuire un'importanza molto secondaria a questi dati.
E
ciò perché da una parte le cifre possono
offrire - quando il lavoro è fruttuoso - una certa
sensazione di potenza umana, di superbia collettiva -
per dir così -, che potrebbe allontanarci da Dio
e renderci sgradevoli davanti agli uomini. Dall'altra
perché nelle realtà soprannaturali ciò
che importa è lo spirito e la fedeltà alla
Volontà di Dio. Il Signore, che è onnipotente,
agisce con efficacia attraverso questi strumenti - poveri,
sì, ma fedeli - anche se agli occhi degli uomini
essi appaiono come inutili o di scarso valore. La storia
abbonda di esempi ben noti, per cominciare dai dodici
Apostoli, che senza alcun dubbio non erano certo, umanamente
parlando, gli strumenti più idonei ad evangelizzare
il mondo intero.
Comunque,
per aiutare i suoi lettori a farsi un'idea, le dirò
che attualmente i membri dell'Opera superano i 70.000,
dei quali più di un migliaio sono sacerdoti; e
le dirò anche che dalla morte del Fondatore abbiamo
notato sempre con maggior forza la sua intercessione e
la sua spinta apostolica.
Rispetto al futuro, le ripeterei solo che ciò che
veramente importa è mantenere la fedeltà
allo spirito fondazionale dell'Opus Dei, la vibrazione
apostolica, l'ansia di trattare Dio e la sua Madre Santissima,
la generosa dedizione personale - realizzata con sacrifìcio
- al servizio degli altri; e, perché no, il coraggio
d'impostare e di realizzare le opere d'apostolato, senza
fermarsi davanti alle difficoltà, che non mancheranno
mai, e senza attribuire molta importanza alle chiacchiere.
Di tutto il resto - e cioè di inviarci le persone
disposte a sobbarcarsi il peso di servire la Chiesa e
le anime - si occuperà il Signore, come ha fatto
finora.
Dalle
cifre che le ho fatto, lei stesso potrà dedurre
che siamo solo agli inizi e, anche se non siamo così
pochi, l'Opera è ancora giovane. Ma dovendo veramente
distinguere fra Paesi in cui l'Opus Dei è già
più sviluppato ed altri dove stiamo appena cominciando,
a grandi linee le posso confermare che l'Opera ha già
gettato radici profonde in quasi una cinquantina di Paesi,
ove conta su uomini e donne locali disposti a lavorare
per Gesù Cristo servendo la società e cercando
di santificare le proprie attività secondo lo spirito
dell'Opus Dei.
Come
vede il lavoro non manca, e per portarlo avanti come Dio
vuole abbiamo bisogno di contare anche sulle sue preghiere
e su quelle dei suoi lettori.