Che
cos'è l'Opus Dei
Intervista a cura di Zuppi e Fugardi, pubblicata
su L'Osservatore della Domenica (Città del V.),
nn. 20,21,22 (1968).
D
- L'Opus Dei occupa un posto di primo piano nel moderno
processo di evoluzione del laicato. Per questo vorremmo
chiederle anzitutto quali sono, a suo avviso, le caratteristiche
più notevoli di questo processo?
R
- Ho sempre pensato che la caratteristica di base
del processo di sviluppo del laicato è la presa
di coscienza della dignità della vocazione cristiana.
La chiamata di Dio, il carattere battesimale, la grazia,
fanno sì che ogni cristiano possa e debba incarnare
pienamente la fede. Ogni cristiano deve essere alter Christus,
ipse Christus presente fra gli uomini. È una verità
che il Santo Padre ha illustrato in termini assai espliciti:
"Bisogna ridare al fatto d'aver ricevuto il Battesimo,
e cioè di essere stati inseriti, mediante tale
sacramento, nel Corpo Mistico di Cristo che è la
Chiesa, tutta la sua importanza... L'essere cristiani,
l'aver ricevuto il santo Battesimo, non dev'essere considerato
come cosa indifferente o trascurabile, ma deve marcare
profondamente e felicemente la coscienza di ogni battezzato".
(Paolo VI, Enc. Ecclesiam suam, parte I).
Tutto
ciò comporta una visione più profonda della
Chiesa, vista come comunità formata da tutti i
fedeli, per cui siamo tutti solidalmente responsabili
di una stessa missione, che va compiuta da ciascuno d'accordo
con le circostanze personali.
I
laici, grazie agli impulsi dello Spirito Santo, sono sempre
più consapevoli di "essere Chiesa", e
di avere quindi una missione specifica, sublime e necessaria
perché voluta da Dio. E sanno che questa missione
deriva dalla loro stessa condizione di cristiani, e non
necessariamente da un mandato della Gerarchia; anche se
evidentemente dovranno compiere questa missione in unione
con la Gerarchia ecclesiastica e d'accordo con gli insegnamenti
del Magistero: perché senza unione con il Corpo
episcopale e con il suo Capo, il Romano Pontefice, non
ci può essere, per un cattolico, unione con Cristo.
Il
modo specifico che hanno i laici di contribuire alla santità
e all'apostolato della Chiesa è la loro libera
e responsabile azione all'interno delle strutture temporali,
nelle quali essi infondono il lievito del messaggio cristiano.
La testimonianza di vita cristiana, la parola che illumina
nel nome di Dio, l'azione responsabile per servire gli
altri contribuendo a risolvere i comuni problemi: ecco
come si manifesta questa presenza, attraverso la quale
il comune cristiano compie la sua missione divina.
Da
tanti anni a questa parte, fin dalla stessa fondazione
dell'Opus Dei, io ho meditato e ho fatto meditare quelle
parole di Cristo riportate da san Giovanni: Et ego, si
exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,
32). Cristo, morendo sulla Croce, attrae a Sé l'intera
creazione; e, nel Suo nome, i cristiani, lavorando in
mezzo al mondo, devono riconciliare tutte le cose con
Dio, situando Cristo sulla vetta di tutte le attività
umane.
Vorrei
aggiungere che, accanto a questa presa di coscienza dei
laici, si sta producendo un'analoga sensibilizzazione
dei pastori. Essi si rendono conto di quanto sia "specifica"
la vocazione dei laici, che va suscitata e favorita con
una pastorale che porta a scoprire in mezzo al Popolo
di Dio il carisma della santità e dell'apostolato,
nelle infinite e svariatissime forme in cui Dio lo concede.
Questa
nuova pastorale è molto impegnativa, ma, a mio
avviso, assolutamente necessaria. Richiede il dono soprannaturale
del discernimento degli spiriti, la sensibilità
per le cose di Dio, l'umiltà di non voler imporre
le proprie scelte e di servire ciò che Dio suscita
nelle anime. In poche parole, l'amore per la legittima
libertà dei figli di Dio, che trovano Cristo e
sono resi portatori di Cristo, percorrendo strade diverse,
ma tutte ugualmente divine.
Uno
dei maggiori pericoli che minacciano oggi la Chiesa potrebbe
essere proprio questo: non riconoscere le istanze divine
della libertà cristiana, e sotto la spinta di falsi
criteri di efficacia, pretendere di imporre ai cristiani
un'azione uniforme. Alla radice di questi atteggiamenti
c'è qualcosa di legittimo, anzi di lodevole: il
desiderio che la Chiesa offra una testimonianza capace
di scuotere il mondo moderno.
Ma
temo proprio che questa non sia la strada giusta, perché
da una parte induce a compromettere la Gerarchia nelle
questioni temporali, cadendo in un clericalismo diverso
da quello dei secoli scorsi, ma non meno funesto; e d'altra
parte induce a isolare i laici, i comuni cristiani, dal
mondo in cui vivono, per farli diventare porta-voci di
decisioni o di idee concepite all'esterno di questo loro
mondo.
Mi
pare che a noi sacerdoti venga chiesta l'umiltà
di imparare a non essere di moda; dobbiamo essere veramente
servi dei servi di Dio - ricordando il grido di Giovanni
Battista: Illum oportet crescere, me autem minui (Gv 3,
30), bisogna che Cristo cresca e che io diminuisca -,
per far sì che i comuni cristiani, i laici, rendano
presente Cristo in tutti gli ambienti della società.
La
missione di addottrinare, di aiutare a scoprire sempre
meglio le esigenze personali e sociali del Vangelo, di
indurre a riconoscere i segni dei tempi, è e sarà
sempre uno dei compiti fondamentali del sacerdote. Ma
ogni funzione sacerdotale deve compiersi nel massimo rispetto
della legittima libertà delle coscienze: chi deve
rispondere liberamente a Dio è la singola persona.
Del resto, qualsiasi cattolico, oltre all'aiuto da parte
del sacerdote, ha anche delle ispirazioni personali che
riceve da Dio, una grazia di stato che gli consente di
portare a compimento la sua missione specifica di uomo
e di cristiano.
Chi
ritiene che, per far sentire la voce di Cristo nel mondo
di oggi, sia necessario che il clero parli o intervenga
sempre, non ha ancora capito bene la dignità della
vocazione divina di tutti e di ciascuno dei fedeli.
D
- In questo quadro, qual è il compito che ha svolto
e che intende svolgere l'Opus Dei? Quali rapporti di collaborazione
mantengono i soci con altre organizzazioni che operano
in questo campo?
R
- Non spetta a me il giudizio storico su quello che
l'Opus Dei ha realizzato, con la grazia di Dio. Posso
solo affermare che la finalità cui tende l'Opus
Dei è di favorire la ricerca della santità
e l'esercizio dell'apostolato da parte dei cristiani che
vivono in mezzo al mondo, qualunque sia il loro stato
e la loro condizione.
L'Opera
è nata per contribuire a far sì che questi
cristiani inseriti nel tessuto connettivo della società
civile - con la loro famiglia, gli amici, il lavoro professionale
e le loro nobili aspirazioni - comprendano che la loro
vita, così come è, può essere l'occasione
di un incontro con Cristo, ed è pertanto una strada
di santità e di apostolato. Cristo è presente
in qualsiasi onesto impegno umano: la vita di un comune
cristiano - che ad alcuni forse sembra una vita scialba
e meschina - può e deve essere una vita santa e
santificante.
In
altri termini: per seguire Cristo, per servire la Chiesa,
per aiutare gli altri a riconoscere il loro destino eterno,
non è indispensabile abbandonare il mondo o allontanarsi
da esso, e nemmeno c'è bisogno di dedicarsi a un'attività
ecclesiastica; la condizione necessaria e sufficiente
è di compiere la missione che Dio ha assegnato
a ciascuno, nel luogo e nell'ambiente voluti dalla Sua
Provvidenza.
E
siccome la maggior parte dei cristiani riceve da Dio la
missione di santificare il mondo dal di dentro, rimanendo
in mezzo alle strutture temporali, l'Opus Dei si dedica
a far loro scoprire questa missione divina, mostrando
che la vocazione umana - vale a dire, la vocazione professionale,
famigliare, sociale - non si oppone alla vocazione soprannaturale,
ma anzi è parte integrante di essa.
L'Opus
Dei ha come unica ed esclusiva missione la diffusione
di questo messaggio - che è un messaggio evangelico
- in mezzo a tutte le persone che vivono e lavorano nel
mondo, in qualsiasi ambiente e professione. E a coloro
che comprendono questo ideale di santità, l'Opera
fornisce i mezzi spirituali e la formazione dottrinale,
ascetica e apostolica necessaria per realizzarlo nella
propria vita.
I
soci dell'Opus Dei non agiscono in gruppo ma individualmente,
con libertà e responsabilità personali.
L'Opus Dei non è quindi un'organizzazione chiusa
o che comunque raggruppi i suoi soci per isolarli dagli
altri uomini. Le attività apostoliche collettive
proprie dell'Opus Dei - che sono le uniche che l'Opera
dirige e delle quali si rende responsabile - sono aperte
a ogni tipo di persona, senza discriminazioni di alcun
genere, né sociale, né culturale, né
religiosa. E i soci, proprio perché devono santificarsi
nel mondo, collaborano sempre con tutte le persone con
cui sono in contatto attraverso il lavoro e la partecipazione
alla vita civica.
Parte
essenziale dello spirito cristiano è vivere non
solo in unione con la Gerarchia ordinaria - Romano Pontefice
ed Episcopato - ma anche sentendo l'unità con gli
altri fratelli nella fede. Da molto tempo ho visto che
una delle maggiori iatture della Chiesa ai nostri giorni
è l'ignoranza che hanno molti cattolici della vita
e delle opinioni dei cattolici degli altri Paesi e degli
altri ambienti della società. Bisogna far rivivere
quella fraternità che i primi cristiani sentivano
così profondamente.
In
tal modo ci sentiremo uniti, amando al tempo stesso la
varietà delle vocazioni personali. E si eviteranno
molti apprezzamenti ingiusti e offensivi che determinati
gruppetti diffondono nell'opinione pubblica - in nome
del cattolicesimo! - contro i loro fratelli nella fede
che in realtà agiscono con rettitudine di intenzione
e spirito di sacrificio, tenendo conto delle circostanze
concrete del loro Paese.
È
molto importante che ognuno si sforzi di essere fedele
alla chiamata divina, perché solo così potrà
contribuire al bene della Chiesa con il suo apporto specifico,
in virtù del carisma ricevuto da Dio. Il compito
proprio dei soci dell'Opus Dei - che sono dei comuni cristiani
- è di santificare il mondo dal di dentro, partecipando
alle più diverse attività umane. Dato che
la loro appartenenza all'Opera non modifica in modo alcuno
la loro situazione nel mondo, essi prendono parte, nel
modo suggerito dalle diverse circostanze, alle celebrazioni
religiose collettive, alla vita parrocchiale e così
via. Anche sotto questo profilo essi sono dei comuni cittadini
che vogliono essere dei buoni cattolici.
Ma
in genere i soci dell'Opera non si dedicano ad attività
confessionali; soltanto in casi eccezionali, dietro espressa
richiesta della Gerarchia, qualcuno presta la propria
collaborazione. E non bisogna credere che questo atteggiamento
nasca dal desiderio di fare gli originali, e meno ancora
dalla mancanza di considerazione per le attività
confessionali; è semplicemente la conseguenza della
necessità di occuparsi di ciò che è
proprio della vocazione all'Opus Dei. Ci sono già
molti religiosi e molti chierici, come anche molti zelanti
laici, che si occupano di queste altre attività,
dedicandovi i loro migliori sforzi.
Il
lavoro proprio dei soci dell'Opera - il compito a cui
si sanno chiamati da Dio - è diverso. Nell'ambito
della vocazione universale alla santità, i soci
dell'Opus Dei ricevono inoltre una vocazione specifica,
che li induce a dedicarsi liberamente e responsabilmente
alla - ricerca della santità e all'esercizio dell'apostolato
in mezzo al mondo, impegnandosi a incarnare una spiritualità
determinata e a ricevere, per tutta la vita, una formazione
peculiare.
Se
trascurassero il proprio lavoro nel mondo per occuparsi
delle attività ecclesiastiche, renderebbero sterili
i doni divini che hanno ricevuto; con l'illusione di un'efficacia
pastorale immediata, arrecherebbero un danno effettivo
alla Chiesa: perché non ci sarebbero tanti cristiani
che si dedicano a santificarsi in tutte le professioni
e i mestieri della società civile, nel campo sconfinato
del lavoro secolare.
Oltretutto,
la pressante necessità di una ininterrotta formazione
professionale e di una seria formazione religiosa, contando
anche il tempo che ognuno personalmente dedica alle pratiche
di pietà, alla preghiera e al compimento sacrificato
dei doveri di stato, occupa tutta la vita: non ci sono
ore libere.
D
- Sappiamo che all'Opus Dei appartengono uomini e donne
di ogni condizione sociale, sia celibi che coniugati.
Qual è l'elemento comune che caratterizza la vocazione
all'Opera? Quali sono gli impegni che ciascuno assume
per realizzare i fini dell'Opus Dei?
R
- Posso dirlo in poche parole: cercare la santità
in mezzo al mondo, nel bel mezzo della strada. Chi riceve
da Dio la vocazione specifica all'Opus Dei, ha la convinzione,
e la vive, che la santità deve raggiungerla nel
proprio stato, nell'esercizio del proprio lavoro, in una
professione liberale o in un mestiere manuale. Ho detto
che "ha la convinzione e la vive", perché
non si tratta di accettare un postulato teorico, ma di
realizzare questo ideale giorno per giorno, nella vita
ordinaria.
Impegnarsi
a cercare la santità, malgrado gli errori e le
miserie personali, vuoi dire impegnarsi, con la grazia
di Dio, a praticare la carità, che è la
pienezza della legge e il vincolo della perfezione. E
la carità non è una cosa astratta; vuol
dire dedizione reale e totale al servizio di Dio, e di
tutti gli uomini; al servizio di Dio che ci parla nel
silenzio della preghiera e nel frastuono del mondo, e
al servizio degli uomini, la cui esistenza si intreccia
con la nostra.
Praticando
la carità - l'Amore - si attuano tutte le virtù
umane e soprannaturali del cristiano, che formano un'unità
e non possono ridursi a una enumerazione completa e definitiva.
La carità richiede la pratica della giustizia,
la solidarietà, la responsabilità famigliare
e sociale, la povertà, la gioia, la castità,
l'amicizia...
Si
vede subito che la pratica di queste virtù conduce
all'apostolato, anzi, è già di per sé
apostolato: infatti, quando uno cerca di vivere così
mentre svolge il suo lavoro quotidiano, la sua condotta
cristiana diventa buon esempio, testimonianza, aiuto concreto
ed efficace; si impara a seguire le orme di Cristo, il
quale coepit facere et docere (At 1,1), cominciò
a fare e a insegnare, unendo l'esempio alla parola. Così
si spiega che, da quarant'anni, quest'apostolato lo chiamo
"apostolato di amicizia e di confidenza".
Tutti
i soci dell'Opus Dei hanno questo medesimo impegno di
santità e di apostolato. Per questo nell'Opera
non ci sono gradi o categorie di soci, bensì una
varietà di situazioni personali - le diverse situazioni
che ciascuno ha nel mondo - alle quali si adatta perfettamente
la stessa e unica vocazione specifica e divina: cioè
la chiamata a una completa dedizione, a un impegno personale,
libero e responsabile, nel compimento della volontà
di Dio su ciascuno di noi.
Come
si può vedere, il fenomeno pastorale dell'Opus
Dei è qualcosa che nasce dalla base, cioè
dalla vita ordinaria del cristiano che vive e lavora assieme
agli altri uomini. Non si trova sulla linea di una mondanizzazione
- dissacralizzazione - della vita monastica o religiosa;
non è l'ultimo stadio del processo di avvicinamento
dei religiosi al mondo.
Chi
riceve la vocazione all'Opus Dei riceve una nuova visione
delle cose che ha intorno a sé, luci nuove nei
suoi rapporti sociali, nella sua professione, nelle sue
preoccupazioni, nelle sue pene e nelle sue gioie. Ma nemmeno
per un istante egli smette di vivere in mezzo a tutte
queste cose; è quindi completamente fuori luogo
parlare di adattamento al mondo o alla società
moderna, perché nessuno si adatta a ciò
che già possiede come cosa propria; nelle cose
che formano il proprio mondo uno ci si trova naturalmente.
La
vocazione che si riceve in questo modo è uguale
a quella che sbocciava nell'animo di quei pescatori, contadini,
commercianti o soldati che si sedevano attorno a Gesù
in Galilea e lo sentivano dire: "Siate perfetti com'è
perfetto il Padre vostro che è nei cicli"
(Mt 5, 48). Ripeto: questa santità - quella che
cerca un socio dell'Opus Dei - è la santità
propria del cristiano, senza altre aggiunte: quella cioè
a cui è chiamato ogni cristiano, e che consiste
nell'attuare integralmente le esigenze della fede.
Non
ci interessa la perfezione evangelica, che è considerata
propria dei religiosi e di alcune istituzioni assimilate
ai religiosi; e meno che mai ci interessa la cosiddetta
vita di perfezione evangelica, che si riferisce canonicamente
allo stato religioso.
La
strada della vocazione religiosa la considero benedetta
e necessaria alla Chiesa, e chi non la stimasse non avrebbe
lo spirito dell'Opera. Ma questa non è la mia strada,
né la strada dei soci dell'Opus Dei. Si può
ben dire che tutti e ciascuno di loro hanno aderito all'Opus
Dei con la condizione espressa di non cambiare di stato;
la nostra caratteristica specifica è appunto questa:
ognuno vuole santificare il proprio stato nel mondo, e
si vuole santificare nel luogo del suo incontro con Cristo.
Questo è l'impegno che ogni socio assume per realizzare
i fini propri dell'Opus Dei.
D
- L'Opus Dei occupa un posto di primo piano nel moderno
processo di evoluzione del laicato. Per questo vorremmo
chiederle anzitutto quali sono, a suo avviso, le caratteristiche
più notevoli di questo processo?
R
- Ho sempre pensato che la caratteristica di base
del processo di sviluppo del laicato è la presa
di coscienza della dignità della vocazione cristiana.
La chiamata di Dio, il carattere battesimale, la grazia,
fanno sì che ogni cristiano possa e debba incarnare
pienamente la fede. Ogni cristiano deve essere alter Christus,
ipse Christus presente fra gli uomini. È una verità
che il Santo Padre ha illustrato in termini assai espliciti:
"Bisogna ridare al fatto d'aver ricevuto il Battesimo,
e cioè di essere stati inseriti, mediante tale
sacramento, nel Corpo Mistico di Cristo che è la
Chiesa, tutta la sua importanza... L'essere cristiani,
l'aver ricevuto il santo Battesimo, non dev'essere considerato
come cosa indifferente o trascurabile, ma deve marcare
profondamente e felicemente la coscienza di ogni battezzato".
(Paolo VI, Enc. Ecclesiam suam, parte I).
Tutto
ciò comporta una visione più profonda della
Chiesa, vista come comunità formata da tutti i
fedeli, per cui siamo tutti solidalmente responsabili
di una stessa missione, che va compiuta da ciascuno d'accordo
con le circostanze personali.
I
laici, grazie agli impulsi dello Spirito Santo, sono sempre
più consapevoli di "essere Chiesa", e
di avere quindi una missione specifica, sublime e necessaria
perché voluta da Dio. E sanno che questa missione
deriva dalla loro stessa condizione di cristiani, e non
necessariamente da un mandato della Gerarchia; anche se
evidentemente dovranno compiere questa missione in unione
con la Gerarchia ecclesiastica e d'accordo con gli insegnamenti
del Magistero: perché senza unione con il Corpo
episcopale e con il suo Capo, il Romano Pontefice, non
ci può essere, per un cattolico, unione con Cristo.
Il
modo specifico che hanno i laici di contribuire alla santità
e all'apostolato della Chiesa è la loro libera
e responsabile azione all'interno delle strutture temporali,
nelle quali essi infondono il lievito del messaggio cristiano.
La testimonianza di vita cristiana, la parola che illumina
nel nome di Dio, l'azione responsabile per servire gli
altri contribuendo a risolvere i comuni problemi: ecco
come si manifesta questa presenza, attraverso la quale
il comune cristiano compie la sua missione divina.
Da
tanti anni a questa parte, fin dalla stessa fondazione
dell'Opus Dei, io ho meditato e ho fatto meditare quelle
parole di Cristo riportate da san Giovanni: Et ego, si
exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,
32). Cristo, morendo sulla Croce, attrae a Sé l'intera
creazione; e, nel Suo nome, i cristiani, lavorando in
mezzo al mondo, devono riconciliare tutte le cose con
Dio, situando Cristo sulla vetta di tutte le attività
umane.
Vorrei aggiungere che, accanto a questa presa di coscienza
dei laici, si sta producendo un'analoga sensibilizzazione
dei pastori.
Essi
si rendono conto di quanto sia "specifica" la
vocazione dei laici, che va suscitata e favorita con una
pastorale che porta a scoprire in mezzo al Popolo di Dio
il carisma della santità e dell'apostolato, nelle
infinite e svariatissime forme in cui Dio lo concede.
Questa
nuova pastorale è molto impegnativa, ma, a mio
avviso, assolutamente necessaria. Richiede il dono soprannaturale
del discernimento degli spiriti, la sensibilità
per le cose di Dio, l'umiltà di non voler imporre
le proprie scelte e di servire ciò che Dio suscita
nelle anime. In poche parole, l'amore per la legittima
libertà dei figli di Dio, che trovano Cristo e
sono resi portatori di Cristo, percorrendo strade diverse,
ma tutte ugualmente divine.
Uno dei maggiori pericoli che minacciano oggi la Chiesa
potrebbe essere proprio questo: non riconoscere le istanze
divine della libertà cristiana, e sotto la spinta
di falsi criteri di efficacia, pretendere di imporre ai
cristiani un'azione uniforme.
Alla
radice di questi atteggiamenti c'è qualcosa di
legittimo, anzi di lodevole: il desiderio che la Chiesa
offra una testimonianza capace di scuotere il mondo moderno.
Ma temo proprio che questa non sia la strada giusta, perché
da una parte induce a compromettere la Gerarchia nelle
questioni temporali, cadendo in un clericalismo diverso
da quello dei secoli scorsi, ma non meno funesto; e d'altra
parte induce a isolare i laici, i comuni cristiani, dal
mondo in cui vivono, per farli diventare porta-voci di
decisioni o di idee concepite all'esterno di questo loro
mondo.
Mi
pare che a noi sacerdoti venga chiesta l'umiltà
di imparare a non essere di moda; dobbiamo essere veramente
servi dei servi di Dio - ricordando il grido di Giovanni
Battista: Illum oportet crescere, me autem minui (Gv 3,
30), bisogna che Cristo cresca e che io diminuisca -,
per far sì che i comuni cristiani, i laici, rendano
presente Cristo in tutti gli ambienti della società.
La missione di addottrinare, di aiutare a scoprire sempre
meglio le esigenze personali e sociali del Vangelo, di
indurre a riconoscere i segni dei tempi, è e sarà
sempre uno dei compiti fondamentali del sacerdote.
Ma
ogni funzione sacerdotale deve compiersi nel massimo rispetto
della legittima libertà delle coscienze: chi deve
rispondere liberamente a Dio è la singola persona.
Del resto, qualsiasi cattolico, oltre all'aiuto da parte
del sacerdote, ha anche delle ispirazioni personali che
riceve da Dio, una grazia di stato che gli consente di
portare a compimento la sua missione specifica di uomo
e di cristiano. Chi ritiene che, per far sentire la voce
di Cristo nel mondo di oggi, sia necessario che il clero
parli o intervenga sempre, non ha ancora capito bene la
dignità della vocazione divina di tutti e di ciascuno
dei fedeli.
D
- In questo quadro, qual è il compito che ha svolto
e che intende svolgere l'Opus Dei? Quali rapporti di collaborazione
mantengono i soci con altre organizzazioni che operano
in questo campo?
R
- Non spetta a me il giudizio storico su quello che
l'Opus Dei ha realizzato, con la grazia di Dio. Posso
solo affermare che la finalità cui tende l'Opus
Dei è di favorire la ricerca della santità
e l'esercizio dell'apostolato da parte dei cristiani che
vivono in mezzo al mondo, qualunque sia il loro stato
e la loro condizione.
L'Opera
è nata per contribuire a far sì che questi
cristiani inseriti nel tessuto connettivo della società
civile - con la loro famiglia, gli amici, il lavoro professionale
e le loro nobili aspirazioni - comprendano che la loro
vita, così come è, può essere l'occasione
di un incontro con Cristo, ed è pertanto una strada
di santità e di apostolato. Cristo è presente
in qualsiasi onesto impegno umano: la vita di un comune
cristiano - che ad alcuni forse sembra una vita scialba
e meschina - può e deve essere una vita santa e
santificante.
In
altri termini: per seguire Cristo, per servire la Chiesa,
per aiutare gli altri a riconoscere il loro destino eterno,
non è indispensabile abbandonare il mondo o allontanarsi
da esso, e nemmeno c'è bisogno di dedicarsi a un'attività
ecclesiastica; la condizione necessaria e sufficiente
è di compiere la missione che Dio ha assegnato
a ciascuno, nel luogo e nell'ambiente voluti dalla Sua
Provvidenza.
E
siccome la maggior parte dei cristiani riceve da Dio la
missione di santificare il mondo dal di dentro, rimanendo
in mezzo alle strutture temporali, l'Opus Dei si dedica
a far loro scoprire questa missione divina, mostrando
che la vocazione umana - vale a dire, la vocazione professionale,
famigliare, sociale - non si oppone alla vocazione soprannaturale,
ma anzi è parte integrante di essa.
L'Opus
Dei ha come unica ed esclusiva missione la diffusione
di questo messaggio - che è un messaggio evangelico
- in mezzo a tutte le persone che vivono e lavorano nel
mondo, in qualsiasi ambiente e professione. E a coloro
che comprendono questo ideale di santità, l'Opera
fornisce i mezzi spirituali e la formazione dottrinale,
ascetica e apostolica necessaria per realizzarlo nella
propria vita.
I
soci dell'Opus Dei non agiscono in gruppo ma individualmente,
con libertà e responsabilità personali.
L'Opus Dei non è quindi un'organizzazione chiusa
o che comunque raggruppi i suoi soci per isolarli dagli
altri uomini. Le attività apostoliche collettive
proprie dell'Opus Dei - che sono le uniche che l'Opera
dirige e delle quali si rende responsabile - sono aperte
a ogni tipo di persona, senza discriminazioni di alcun
genere, né sociale, né culturale, né
religiosa. E i soci, proprio perché devono santificarsi
nel mondo, collaborano sempre con tutte le persone con
cui sono in contatto attraverso il lavoro e la partecipazione
alla vita civica.
Parte
essenziale dello spirito cristiano è vivere non
solo in unione con la Gerarchia ordinaria - Romano Pontefice
ed Episcopato - ma anche sentendo l'unità con gli
altri fratelli nella fede. Da molto tempo ho visto che
una delle maggiori iatture della Chiesa ai nostri giorni
è l'ignoranza che hanno molti cattolici della vita
e delle opinioni dei cattolici degli altri Paesi e degli
altri ambienti della società.
Bisogna
far rivivere quella fraternità che i primi cristiani
sentivano così profondamente. In tal modo ci sentiremo
uniti, amando al tempo stesso la varietà delle
vocazioni personali. E si eviteranno molti apprezzamenti
ingiusti e offensivi che determinati gruppetti diffondono
nell'opinione pubblica - in nome del cattolicesimo! -
contro i loro fratelli nella fede che in realtà
agiscono con rettitudine di intenzione e spirito di sacrificio,
tenendo conto delle circostanze concrete del loro Paese.
È
molto importante che ognuno si sforzi di essere fedele
alla chiamata divina, perché solo così potrà
contribuire al bene della Chiesa con il suo apporto specifico,
in virtù del carisma ricevuto da Dio. Il compito
proprio dei soci dell'Opus Dei - che sono dei comuni cristiani
- è di santificare il mondo dal di dentro, partecipando
alle più diverse attività umane. Dato che
la loro appartenenza all'Opera non modifica in modo alcuno
la loro situazione nel mondo, essi prendono parte, nel
modo suggerito dalle diverse circostanze, alle celebrazioni
religiose collettive, alla vita parrocchiale e così
via. Anche sotto questo profilo essi sono dei comuni cittadini
che vogliono essere dei buoni cattolici.
Ma
in genere i soci dell'Opera non si dedicano ad attività
confessionali; soltanto in casi eccezionali, dietro espressa
richiesta della Gerarchia, qualcuno presta la propria
collaborazione. E non bisogna credere che questo atteggiamento
nasca dal desiderio di fare gli originali, e meno ancora
dalla mancanza di considerazione per le attività
confessionali; è semplicemente la conseguenza della
necessità di occuparsi di ciò che è
proprio della vocazione all'Opus Dei. Ci sono già
molti religiosi e molti chierici, come anche molti zelanti
laici, che si occupano di queste altre attività,
dedicandovi i loro migliori sforzi.
Il
lavoro proprio dei soci dell'Opera - il compito a cui
si sanno chiamati da Dio - è diverso. Nell'ambito
della vocazione universale alla santità, i soci
dell'Opus Dei ricevono inoltre una vocazione specifica,
che li induce a dedicarsi liberamente e responsabilmente
alla - ricerca della santità e all'esercizio dell'apostolato
in mezzo al mondo, impegnandosi a incarnare una spiritualità
determinata e a ricevere, per tutta la vita, una formazione
peculiare. Se trascurassero il proprio lavoro nel mondo
per occuparsi delle attività ecclesiastiche, renderebbero
sterili i doni divini che hanno ricevuto; con l'illusione
di un'efficacia pastorale immediata, arrecherebbero un
danno effettivo alla Chiesa: perché non ci sarebbero
tanti cristiani che si dedicano a santificarsi in tutte
le professioni e i mestieri della società civile,
nel campo sconfinato del lavoro secolare.
Oltretutto,
la pressante necessità di una ininterrotta formazione
professionale e di una seria formazione religiosa, contando
anche il tempo che ognuno personalmente dedica alle pratiche
di pietà, alla preghiera e al compimento sacrificato
dei doveri di stato, occupa tutta la vita: non ci sono
ore libere.
D
- Sappiamo che all'Opus Dei appartengono uomini e donne
di ogni condizione sociale, sia celibi che coniugati.
Qual è l'elemento comune che caratterizza la vocazione
all'Opera? Quali sono gli impegni che ciascuno assume
per realizzare i fini dell'Opus Dei?
R
- Posso dirlo in poche parole: cercare la santità
in mezzo al mondo, nel bel mezzo della strada. Chi riceve
da Dio la vocazione specifica all'Opus Dei, ha la convinzione,
e la vive, che la santità deve raggiungerla nel
proprio stato, nell'esercizio del proprio lavoro, in una
professione liberale o in un mestiere manuale. Ho detto
che "ha la convinzione e la vive", perché
non si tratta di accettare un postulato teorico, ma di
realizzare questo ideale giorno per giorno, nella vita
ordinaria.
Impegnarsi
a cercare la santità, malgrado gli errori e le
miserie personali, vuoi dire impegnarsi, con la grazia
di Dio, a praticare la carità, che è la
pienezza della legge e il vincolo della perfezione. E
la carità non è una cosa astratta; vuol
dire dedizione reale e totale al servizio di Dio, e di
tutti gli uomini; al servizio di Dio che ci parla nel
silenzio della preghiera e nel frastuono del mondo, e
al servizio degli uomini, la cui esistenza si intreccia
con la nostra.
Praticando
la carità - l'Amore - si attuano tutte le virtù
umane e soprannaturali del cristiano, che formano un'unità
e non possono ridursi a una enumerazione completa e definitiva.
La carità richiede la pratica della giustizia,
la solidarietà, la responsabilità famigliare
e sociale, la povertà, la gioia, la castità,
l'amicizia...
Si
vede subito che la pratica di queste virtù conduce
all'apostolato, anzi, è già di per sé
apostolato: infatti, quando uno cerca di vivere così
mentre svolge il suo lavoro quotidiano, la sua condotta
cristiana diventa buon esempio, testimonianza, aiuto concreto
ed efficace; si impara a seguire le orme di Cristo, il
quale coepit facere et docere (At 1,1), cominciò
a fare e a insegnare, unendo l'esempio alla parola. Così
si spiega che, da quarant'anni, quest'apostolato lo chiamo
"apostolato di amicizia e di confidenza".
Tutti
i soci dell'Opus Dei hanno questo medesimo impegno di
santità e di apostolato. Per questo nell'Opera
non ci sono gradi o categorie di soci, bensì una
varietà di situazioni personali - le diverse situazioni
che ciascuno ha nel mondo - alle quali si adatta perfettamente
la stessa e unica vocazione specifica e divina: cioè
la chiamata a una completa dedizione, a un impegno personale,
libero e responsabile, nel compimento della volontà
di Dio su ciascuno di noi.
Come
si può vedere, il fenomeno pastorale dell'Opus
Dei è qualcosa che nasce dalla base, cioè
dalla vita ordinaria del cristiano che vive e lavora assieme
agli altri uomini. Non si trova sulla linea di una mondanizzazione
- dissacralizzazione - della vita monastica o religiosa;
non è l'ultimo stadio del processo di avvicinamento
dei religiosi al mondo.
Chi
riceve la vocazione all'Opus Dei riceve una nuova visione
delle cose che ha intorno a sé, luci nuove nei
suoi rapporti sociali, nella sua professione, nelle sue
preoccupazioni, nelle sue pene e nelle sue gioie. Ma nemmeno
per un istante egli smette di vivere in mezzo a tutte
queste cose; è quindi completamente fuori luogo
parlare di adattamento al mondo o alla società
moderna, perché nessuno si adatta a ciò
che già possiede come cosa propria; nelle cose
che formano il proprio mondo uno ci si trova naturalmente.
La
vocazione che si riceve in questo modo è uguale
a quella che sbocciava nell'animo di quei pescatori, contadini,
commercianti o soldati che si sedevano attorno a Gesù
in Galilea e lo sentivano dire: "Siate perfetti com'è
perfetto il Padre vostro che è nei cicli"
(Mt 5, 48). Ripeto: questa santità - quella che
cerca un socio dell'Opus Dei - è la santità
propria del cristiano, senza altre aggiunte: quella cioè
a cui è chiamato ogni cristiano, e che consiste
nell'attuare integralmente le esigenze della fede.
Non
ci interessa la perfezione evangelica, che è considerata
propria dei religiosi e di alcune istituzioni assimilate
ai religiosi; e meno che mai ci interessa la cosiddetta
vita di perfezione evangelica, che si riferisce canonicamente
allo stato religioso.
La
strada della vocazione religiosa la considero benedetta
e necessaria alla Chiesa, e chi non la stimasse non avrebbe
lo spirito dell'Opera. Ma questa non è la mia strada,
né la strada dei soci dell'Opus Dei. Si può
ben dire che tutti e ciascuno di loro hanno aderito all'Opus
Dei con la condizione espressa di non cambiare di stato;
la nostra caratteristica specifica è appunto questa:
ognuno vuole santificare il proprio stato nel mondo, e
si vuole santificare nel luogo del suo incontro con Cristo.
Questo è l'impegno che ogni socio assume per realizzare
i fini propri dell'Opus Dei.
D
- L'Opus Dei occupa un posto di primo piano nel moderno
processo di evoluzione del laicato. Per questo vorremmo
chiederle anzitutto quali sono, a suo avviso, le caratteristiche
più notevoli di questo processo?
R
- Ho sempre pensato che la caratteristica di base
del processo di sviluppo del laicato è la presa
di coscienza della dignità della vocazione cristiana.
La chiamata di Dio, il carattere battesimale, la grazia,
fanno sì che ogni cristiano possa e debba incarnare
pienamente la fede.
Ogni
cristiano deve essere alter Christus, ipse Christus presente
fra gli uomini. È una verità che il Santo
Padre ha illustrato in termini assai espliciti: "Bisogna
ridare al fatto d'aver ricevuto il Battesimo, e cioè
di essere stati inseriti, mediante tale sacramento, nel
Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, tutta
la sua importanza... L'essere cristiani, l'aver ricevuto
il santo Battesimo, non dev'essere considerato come cosa
indifferente o trascurabile, ma deve marcare profondamente
e felicemente la coscienza di ogni battezzato". (Paolo
VI, Enc. Ecclesiam suam, parte I).
Tutto
ciò comporta una visione più profonda della
Chiesa, vista come comunità formata da tutti i
fedeli, per cui siamo tutti solidalmente responsabili
di una stessa missione, che va compiuta da ciascuno d'accordo
con le circostanze personali. I laici, grazie agli impulsi
dello Spirito Santo, sono sempre più consapevoli
di "essere Chiesa", e di avere quindi una missione
specifica, sublime e necessaria perché voluta da
Dio.
E
sanno che questa missione deriva dalla loro stessa condizione
di cristiani, e non necessariamente da un mandato della
Gerarchia; anche se evidentemente dovranno compiere questa
missione in unione con la Gerarchia ecclesiastica e d'accordo
con gli insegnamenti del Magistero: perché senza
unione con il Corpo episcopale e con il suo Capo, il Romano
Pontefice, non ci può essere, per un cattolico,
unione con Cristo.
Il
modo specifico che hanno i laici di contribuire alla santità
e all'apostolato della Chiesa è la loro libera
e responsabile azione all'interno delle strutture temporali,
nelle quali essi infondono il lievito del messaggio cristiano.
La testimonianza di vita cristiana, la parola che illumina
nel nome di Dio, l'azione responsabile per servire gli
altri contribuendo a risolvere i comuni problemi: ecco
come si manifesta questa presenza, attraverso la quale
il comune cristiano compie la sua missione divina.
Da
tanti anni a questa parte, fin dalla stessa fondazione
dell'Opus Dei, io ho meditato e ho fatto meditare quelle
parole di Cristo riportate da san Giovanni: Et ego, si
exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,
32). Cristo, morendo sulla Croce, attrae a Sé l'intera
creazione; e, nel Suo nome, i cristiani, lavorando in
mezzo al mondo, devono riconciliare tutte le cose con
Dio, situando Cristo sulla vetta di tutte le attività
umane.
Vorrei aggiungere che, accanto a questa presa di coscienza
dei laici, si sta producendo un'analoga sensibilizzazione
dei pastori.
Essi
si rendono conto di quanto sia "specifica" la
vocazione dei laici, che va suscitata e favorita con una
pastorale che porta a scoprire in mezzo al Popolo di Dio
il carisma della santità e dell'apostolato, nelle
infinite e svariatissime forme in cui Dio lo concede.
Questa
nuova pastorale è molto impegnativa, ma, a mio
avviso, assolutamente necessaria. Richiede il dono soprannaturale
del discernimento degli spiriti, la sensibilità
per le cose di Dio, l'umiltà di non voler imporre
le proprie scelte e di servire ciò che Dio suscita
nelle anime. In poche parole, l'amore per la legittima
libertà dei figli di Dio, che trovano Cristo e
sono resi portatori di Cristo, percorrendo strade diverse,
ma tutte ugualmente divine.
Uno
dei maggiori pericoli che minacciano oggi la Chiesa potrebbe
essere proprio questo: non riconoscere le istanze divine
della libertà cristiana, e sotto la spinta di falsi
criteri di efficacia, pretendere di imporre ai cristiani
un'azione uniforme. Alla radice di questi atteggiamenti
c'è qualcosa di legittimo, anzi di lodevole: il
desiderio che la Chiesa offra una testimonianza capace
di scuotere il mondo moderno.
Ma
temo proprio che questa non sia la strada giusta, perché
da una parte induce a compromettere la Gerarchia nelle
questioni temporali, cadendo in un clericalismo diverso
da quello dei secoli scorsi, ma non meno funesto; e d'altra
parte induce a isolare i laici, i comuni cristiani, dal
mondo in cui vivono, per farli diventare porta-voci di
decisioni o di idee concepite all'esterno di questo loro
mondo.
Mi
pare che a noi sacerdoti venga chiesta l'umiltà
di imparare a non essere di moda; dobbiamo essere veramente
servi dei servi di Dio - ricordando il grido di Giovanni
Battista: Illum oportet crescere, me autem minui (Gv 3,
30), bisogna che Cristo cresca e che io diminuisca -,
per far sì che i comuni cristiani, i laici, rendano
presente Cristo in tutti gli ambienti della società.
La missione di addottrinare, di aiutare a scoprire sempre
meglio le esigenze personali e sociali del Vangelo, di
indurre a riconoscere i segni dei tempi, è e sarà
sempre uno dei compiti fondamentali del sacerdote.
Ma
ogni funzione sacerdotale deve compiersi nel massimo rispetto
della legittima libertà delle coscienze: chi deve
rispondere liberamente a Dio è la singola persona.
Del resto, qualsiasi cattolico, oltre all'aiuto da parte
del sacerdote, ha anche delle ispirazioni personali che
riceve da Dio, una grazia di stato che gli consente di
portare a compimento la sua missione specifica di uomo
e di cristiano. Chi ritiene che, per far sentire la voce
di Cristo nel mondo di oggi, sia necessario che il clero
parli o intervenga sempre, non ha ancora capito bene la
dignità della vocazione divina di tutti e di ciascuno
dei fedeli.
D
- In questo quadro, qual è il compito che ha svolto
e che intende svolgere l'Opus Dei? Quali rapporti di collaborazione
mantengono i soci con altre organizzazioni che operano
in questo campo?
R
- Non spetta a me il giudizio storico su quello che l'Opus
Dei ha realizzato, con la grazia di Dio. Posso solo affermare
che la finalità cui tende l'Opus Dei è di
favorire la ricerca della santità e l'esercizio
dell'apostolato da parte dei cristiani che vivono in mezzo
al mondo, qualunque sia il loro stato e la loro condizione.
L'Opera
è nata per contribuire a far sì che questi
cristiani inseriti nel tessuto connettivo della società
civile - con la loro famiglia, gli amici, il lavoro professionale
e le loro nobili aspirazioni - comprendano che la loro
vita, così come è, può essere l'occasione
di un incontro con Cristo, ed è pertanto una strada
di santità e di apostolato. Cristo è presente
in qualsiasi onesto impegno umano: la vita di un comune
cristiano - che ad alcuni forse sembra una vita scialba
e meschina - può e deve essere una vita santa e
santificante.
In
altri termini: per seguire Cristo, per servire la Chiesa,
per aiutare gli altri a riconoscere il loro destino eterno,
non è indispensabile abbandonare il mondo o allontanarsi
da esso, e nemmeno c'è bisogno di dedicarsi a un'attività
ecclesiastica; la condizione necessaria e sufficiente
è di compiere la missione che Dio ha assegnato
a ciascuno, nel luogo e nell'ambiente voluti dalla Sua
Provvidenza.
E
siccome la maggior parte dei cristiani riceve da Dio la
missione di santificare il mondo dal di dentro, rimanendo
in mezzo alle strutture temporali, l'Opus Dei si dedica
a far loro scoprire questa missione divina, mostrando
che la vocazione umana - vale a dire, la vocazione professionale,
famigliare, sociale - non si oppone alla vocazione soprannaturale,
ma anzi è parte integrante di essa.
L'Opus
Dei ha come unica ed esclusiva missione la diffusione
di questo messaggio - che è un messaggio evangelico
- in mezzo a tutte le persone che vivono e lavorano nel
mondo, in qualsiasi ambiente e professione. E a coloro
che comprendono questo ideale di santità, l'Opera
fornisce i mezzi spirituali e la formazione dottrinale,
ascetica e apostolica necessaria per realizzarlo nella
propria vita.
I
soci dell'Opus Dei non agiscono in gruppo ma individualmente,
con libertà e responsabilità personali.
L'Opus Dei non è quindi un'organizzazione chiusa
o che comunque raggruppi i suoi soci per isolarli dagli
altri uomini. Le attività apostoliche collettive
proprie dell'Opus Dei - che sono le uniche che l'Opera
dirige e delle quali si rende responsabile - sono aperte
a ogni tipo di persona, senza discriminazioni di alcun
genere, né sociale, né culturale, né
religiosa. E i soci, proprio perché devono santificarsi
nel mondo, collaborano sempre con tutte le persone con
cui sono in contatto attraverso il lavoro e la partecipazione
alla vita civica.
Parte
essenziale dello spirito cristiano è vivere non
solo in unione con la Gerarchia ordinaria - Romano Pontefice
ed Episcopato - ma anche sentendo l'unità con gli
altri fratelli nella fede. Da molto tempo ho visto che
una delle maggiori iatture della Chiesa ai nostri giorni
è l'ignoranza che hanno molti cattolici della vita
e delle opinioni dei cattolici degli altri Paesi e degli
altri ambienti della società.
Bisogna
far rivivere quella fraternità che i primi cristiani
sentivano così profondamente. In tal modo ci sentiremo
uniti, amando al tempo stesso la varietà delle
vocazioni personali. E si eviteranno molti apprezzamenti
ingiusti e offensivi che determinati gruppetti diffondono
nell'opinione pubblica - in nome del cattolicesimo! -
contro i loro fratelli nella fede che in realtà
agiscono con rettitudine di intenzione e spirito di sacrificio,
tenendo conto delle circostanze concrete del loro Paese.
È
molto importante che ognuno si sforzi di essere fedele
alla chiamata divina, perché solo così potrà
contribuire al bene della Chiesa con il suo apporto specifico,
in virtù del carisma ricevuto da Dio. Il compito
proprio dei soci dell'Opus Dei - che sono dei comuni cristiani
- è di santificare il mondo dal di dentro, partecipando
alle più diverse attività umane. Dato che
la loro appartenenza all'Opera non modifica in modo alcuno
la loro situazione nel mondo, essi prendono parte, nel
modo suggerito dalle diverse circostanze, alle celebrazioni
religiose collettive, alla vita parrocchiale e così
via. Anche sotto questo profilo essi sono dei comuni cittadini
che vogliono essere dei buoni cattolici.
Ma
in genere i soci dell'Opera non si dedicano ad attività
confessionali; soltanto in casi eccezionali, dietro espressa
richiesta della Gerarchia, qualcuno presta la propria
collaborazione. E non bisogna credere che questo atteggiamento
nasca dal desiderio di fare gli originali, e meno ancora
dalla mancanza di considerazione per le attività
confessionali; è semplicemente la conseguenza della
necessità di occuparsi di ciò che è
proprio della vocazione all'Opus Dei. Ci sono già
molti religiosi e molti chierici, come anche molti zelanti
laici, che si occupano di queste altre attività,
dedicandovi i loro migliori sforzi.
Il
lavoro proprio dei soci dell'Opera - il compito a cui
si sanno chiamati da Dio - è diverso. Nell'ambito
della vocazione universale alla santità, i soci
dell'Opus Dei ricevono inoltre una vocazione specifica,
che li induce a dedicarsi liberamente e responsabilmente
alla - ricerca della santità e all'esercizio dell'apostolato
in mezzo al mondo, impegnandosi a incarnare una spiritualità
determinata e a ricevere, per tutta la vita, una formazione
peculiare.
Se
trascurassero il proprio lavoro nel mondo per occuparsi
delle attività ecclesiastiche, renderebbero sterili
i doni divini che hanno ricevuto; con l'illusione di un'efficacia
pastorale immediata, arrecherebbero un danno effettivo
alla Chiesa: perché non ci sarebbero tanti cristiani
che si dedicano a santificarsi in tutte le professioni
e i mestieri della società civile, nel campo sconfinato
del lavoro secolare.
Oltretutto,
la pressante necessità di una ininterrotta formazione
professionale e di una seria formazione religiosa, contando
anche il tempo che ognuno personalmente dedica alle pratiche
di pietà, alla preghiera e al compimento sacrificato
dei doveri di stato, occupa tutta la vita: non ci sono
ore libere.
D
- Sappiamo che all'Opus Dei appartengono uomini e donne
di ogni condizione sociale, sia celibi che coniugati.
Qual è l'elemento comune che caratterizza la vocazione
all'Opera? Quali sono gli impegni che ciascuno assume
per realizzare i fini dell'Opus Dei?
R
- Posso dirlo in poche parole: cercare la santità
in mezzo al mondo, nel bel mezzo della strada. Chi riceve
da Dio la vocazione specifica all'Opus Dei, ha la convinzione,
e la vive, che la santità deve raggiungerla nel
proprio stato, nell'esercizio del proprio lavoro, in una
professione liberale o in un mestiere manuale.
Ho
detto che "ha la convinzione e la vive", perché
non si tratta di accettare un postulato teorico, ma di
realizzare questo ideale giorno per giorno, nella vita
ordinaria.
Impegnarsi
a cercare la santità, malgrado gli errori e le
miserie personali, vuoi dire impegnarsi, con la grazia
di Dio, a praticare la carità, che è la
pienezza della legge e il vincolo della perfezione. E
la carità non è una cosa astratta; vuol
dire dedizione reale e totale al servizio di Dio, e di
tutti gli uomini; al servizio di Dio che ci parla nel
silenzio della preghiera e nel frastuono del mondo, e
al servizio degli uomini, la cui esistenza si intreccia
con la nostra.
Praticando
la carità - l'Amore - si attuano tutte le virtù
umane e soprannaturali del cristiano, che formano un'unità
e non possono ridursi a una enumerazione completa e definitiva.
La carità richiede la pratica della giustizia,
la solidarietà, la responsabilità famigliare
e sociale, la povertà, la gioia, la castità,
l'amicizia...
Si
vede subito che la pratica di queste virtù conduce
all'apostolato, anzi, è già di per sé
apostolato: infatti, quando uno cerca di vivere così
mentre svolge il suo lavoro quotidiano, la sua condotta
cristiana diventa buon esempio, testimonianza, aiuto concreto
ed efficace; si impara a seguire le orme di Cristo, il
quale coepit facere et docere (At 1,1), cominciò
a fare e a insegnare, unendo l'esempio alla parola. Così
si spiega che, da quarant'anni, quest'apostolato lo chiamo
"apostolato di amicizia e di confidenza". Tutti
i soci dell'Opus Dei hanno questo medesimo impegno di
santità e di apostolato.
Per
questo nell'Opera non ci sono gradi o categorie di soci,
bensì una varietà di situazioni personali
- le diverse situazioni che ciascuno ha nel mondo - alle
quali si adatta perfettamente la stessa e unica vocazione
specifica e divina: cioè la chiamata a una completa
dedizione, a un impegno personale, libero e responsabile,
nel compimento della volontà di Dio su ciascuno
di noi.
Come
si può vedere, il fenomeno pastorale dell'Opus
Dei è qualcosa che nasce dalla base, cioè
dalla vita ordinaria del cristiano che vive e lavora assieme
agli altri uomini. Non si trova sulla linea di una mondanizzazione
- dissacralizzazione - della vita monastica o religiosa;
non è l'ultimo stadio del processo di avvicinamento
dei religiosi al mondo.
Chi
riceve la vocazione all'Opus Dei riceve una nuova visione
delle cose che ha intorno a sé, luci nuove nei
suoi rapporti sociali, nella sua professione, nelle sue
preoccupazioni, nelle sue pene e nelle sue gioie. Ma nemmeno
per un istante egli smette di vivere in mezzo a tutte
queste cose; è quindi completamente fuori luogo
parlare di adattamento al mondo o alla società
moderna, perché nessuno si adatta a ciò
che già possiede come cosa propria; nelle cose
che formano il proprio mondo uno ci si trova naturalmente.
La
vocazione che si riceve in questo modo è uguale
a quella che sbocciava nell'animo di quei pescatori, contadini,
commercianti o soldati che si sedevano attorno a Gesù
in Galilea e lo sentivano dire: "Siate perfetti com'è
perfetto il Padre vostro che è nei cicli"
(Mt 5, 48). Ripeto: questa santità - quella che
cerca un socio dell'Opus Dei - è la santità
propria del cristiano, senza altre aggiunte: quella cioè
a cui è chiamato ogni cristiano, e che consiste
nell'attuare integralmente le esigenze della fede.
Non
ci interessa la perfezione evangelica, che è considerata
propria dei religiosi e di alcune istituzioni assimilate
ai religiosi; e meno che mai ci interessa la cosiddetta
vita di perfezione evangelica, che si riferisce canonicamente
allo stato religioso.
La
strada della vocazione religiosa la considero benedetta
e necessaria alla Chiesa, e chi non la stimasse non avrebbe
lo spirito dell'Opera. Ma questa non è la mia strada,
né la strada dei soci dell'Opus Dei. Si può
ben dire che tutti e ciascuno di loro hanno aderito all'Opus
Dei con la condizione espressa di non cambiare di stato;
la nostra caratteristica specifica è appunto questa:
ognuno vuole santificare il proprio stato nel mondo, e
si vuole santificare nel luogo del suo incontro con Cristo.
Questo è l'impegno che ogni socio assume per realizzare
i fini propri dell'Opus Dei.