L'università
al servizio della società attuale
Intervista a cura di A. Garrigò, pubblicata
nella Gaceta Universitaria (Madrid) il 05/10/1967.
D
- Monsignore, vorremmo che ci dicesse quali sono, a suo
avviso, i fini essenziali dell'università, e in
quali termini colloca l'insegnamento della religione nell'àmbito
degli studi universitari.
R
- L'università deve assumere una posizione di primaria
importanza nello sforzo per promuovere il progresso umano:
lo sapete bene, perché ne state facendo esperienza
o quanto meno lo desiderate. I problemi attuali della
vita dei popoli, infatti, sono molteplici e complessi
- di ordine spirituale, culturale, sociale, economico,
ecc. - ed è necessario che la formazione che l'università
deve dare abbracci tutti questi aspetti.
Non
basta il desiderio di lavorare per il bene comune; la
strada per rendere operante questa aspirazione è
la formazione di uomini e di donne capaci di acquistare
un'adeguata preparazione, e capaci di comunicare agli
altri i frutti della pienezza da essi raggiunta.
La
religione è la più grande ribellione dell'uomo
che non si rassegna a vivere come una bestia, dell'uomo
che non si adatta - non si dà pace - finché
non conosce e non stabilisce una comunicazione con il
suo Creatore: lo studio della religione è una necessità
fondamentale. Un uomo privo di formazione religiosa non
è del tutto formato. Per questo la religione deve
essere presente nell'università; e deve essere
insegnata al livello più alto, scientifico, di
buona teologia. Un'università in cui la religione
è assente, è un'università incompleta:
perché ignora una dimensione fondamentale della
persona umana, che non esclude - anzi richiede - le altre
dimensioni.
D'altro
canto, nessuno può violare la libertà delle
coscienze: l'insegnamento della religione deve essere
libero, anche se il cristiano sa che, se vuole essere
coerente con la sua fede, ha il grave obbligo di raggiungere
una buona formazione in questo campo, l'obbligo quindi
di possedere una cultura religiosa: una dottrina, cioè,
che sorregga la sua vita e gli consenta di essere, con
l'esempio e la parola, testimone di Cristo.
D
- In questa tappa storica vi è un'acuta preoccupazione
per la democratizzazione della scuola, per facilitarne
l'accesso a tutte le classi sociali, e non si concepisce
l'università senza una proiezione o una funzione
sociale. Come intende lei questa democratizzazione? Come
può svolgere l'università la sua funzione
sociale?
R
- È necessario che l'università formi
negli studenti una mentalità di servizio: servizio
alla società promuovendo il bene comune con il
lavoro professionale e con la loro azione nella vita pubblica.
Gli universitari hanno bisogno di sentirsi responsabili
e di vivere una sana inquietudine per i problemi di tutti,
e di essere animati da un senso di generosità che
li spinga ad affrontare questi problemi e a collaborare
alla loro soluzione. Offrire tutto questo agli studenti
è un compito dell'università.
Tutti
coloro che sono veramente capaci devono poter accedere
agli studi superiori, qualunque sia la loro estrazione
sociale, la situazione economica, la razza o la religione.
Finché sussisteranno barriere di questo genere,
la riforma democratica della scuola sarà soltanto
una frase priva di contenuto.
In
breve, l'università deve essere aperta a tutti,
e d'altro canto deve formare i suoi studenti in modo che
il loro futuro lavoro professionale si svolga al servizio
di tutti.
D
- Di fronte al panorama, che si osserva in tutto il mondo,
di tanta gente che soffre nel corpo e nello spirito o
che giace nella miseria, molti studenti si sentono chiamati
in causa e vorrebbero intervenire attivamente. Quali sono
gli ideali sociali che lei proporrebbe a questi giovani
intellettuali di oggi?
R
- L'ideale è, anzitutto, la realtà di
un lavoro ben fatto, la preparazione scientifica adeguata
durante gli anni di università. Su questa base,
si può pensare poi ai mille ambienti di tutto il
mondo che hanno bisogno di braccia, che attendono un contributo
personale, impegnativo e sacrificato. L'università
non deve formare uomini che poi si dedichino a godere
egoisticamente dei benefici ottenuti con gli studi, ma
deve prepararli a un lavoro di generoso appoggio al prossimo,
di fraternità cristiana.
Tante
volte questa solidarietà si limita a manifestazioni
verbali o scritte, se non a chiassate sterili o dannose:
io misuro la solidarietà sul metro delle opere
concrete di servizio, e conosco migliaia di casi di studenti
di tante nazioni che hanno rinunciato a costruirsi il
loro piccolo mondo privato, dandosi agli altri mediante
un lavoro professionale che si sforzano di realizzare
con perfezione umana, in attività di istruzione,
di assistenza, di promozione sociale e cosi via, con uno
spirito pieno di gioventù e di gioia.
D
- Di fronte alla situazione politico-sociale del nostro
Paese e delle altre nazioni di fronte alla guerra, all'ingiustizia
o all'oppressione, qual è, secondo lei, la responsabilità
dell'università e quale quella dei docenti e degli
studenti? Può l'università, in qualsiasi
caso, ammettere nel proprio territorio lo svolgimento
di attività politiche da parte di studenti e di
docenti?
R
- Innanzitutto desidero chiarire che in questo colloquio
espongo la mia opinione, quella cioè di una persona
che dai sedici anni - ora ne ho sessantacinque - a oggi
non ha mai perso contatti con l'università. Esprimo
su questo argomento il mio modo personale di vedere, non
quello dell'Opus Dei che, in tutto ciò che riguarda
gli affari temporali e opinabili, non vuole né
può fare nessuna scelta - ogni socio dell'Opera
adotta e manifesta liberamente il proprio parere personale,
di cui assume personalmente la responsabilità -,
giacché il fine dell'Opus Dei è esclusivamente
spirituale.
Tornando
alla vostra domanda, mi pare che sarebbe necessario, in
primo luogo, mettersi d'accordo su che cosa intendiamo
per "politica". Se dicendo politica intendiamo
l'interesse e l'impegno per la pace, la giustizia sociale,
la libertà di tutti, allora, in questo senso, tutti
coloro che fanno parte dell'università, e l'università
come tale, hanno il dovere di ispirarsi a questi ideali
e di promuovere l'impegno per risolvere i grandi problemi
della vita umana.
Se
per politica invece intendiamo la soluzione concreta di
un determinato problema, scartando altre soluzioni possibili
e legittime, in contrapposizione a quanti propongono il
contrario, allora penso che non è l'università
la sede in cui debba prendersi una decisione in merito.
L'università
è il luogo in cui ci si prepara a risolvere questi
problemi; è la casa comune, il luogo di studio
e di amicizia; il luogo in cui debbono convivere in pace
persone di diverse tendenze che esprimono in ogni momento
il legittimo pluralismo esistente nella società.
D
- Nell'ipotesi che le circostanze politiche di una nazione
arrivassero a una tale situazione, per cui un docente
o uno studente universitario, vedendosi privato degli
strumenti legittimi per evitare il danno generale del
Paese, ritenesse in coscienza preferibile la politicizzazione
dell'università, non potrebbe agire in tal senso,
facendo uso della propria libertà?
R
- Nell'ipotesi che in una nazione non esista la benché
minima libertà politica, forse l'università
potrebbe snaturarsi, cessando di essere la casa comune
per diventare il campo di battaglia di opposte fazioni.
Ma
io ritengo tuttavia che sarebbe preferibile dedicare questi
anni a una seria preparazione, all'acquisto di una mentalità
sociale, per far si che coloro che domani avranno un ruolo
direttivo - ossia gli studenti di oggi - non finiscano
essi stessi per cadere in questa malattia che è
l'avversione per la libertà personale. Se l'università
si trasforma in una tribuna di discussione e di decisione
su problemi politici concreti, è facile che si
finisca per perdere la serenità accademica e che
gli studenti acquistino una mentalità faziosa;
e così l'università e il Paese si trascinerebbero
sempre dietro la piaga cronica del totalitarismo, poco
importa di quale marca.
Sia
ben chiaro che quando dico che l'università non
è il luogo adatto per far politica, non escludo,
bensì auspico, sbocchi politici normali per tutti
i cittadini. Il mio pensiero a questo riguardo, è
ben preciso: ma non voglio aggiungere altro, perché
la mia missione non è politica ma sacerdotale.
Le cose di cui parlo rientrano invece nella mia competenza,
perché mi considero uomo d'università: e
tutto ciò che concerne l'università mi appassiona.
Non faccio politica, non voglio né posso farla;
ma la mia mentalità di giurista e di teologo -
nonché la mia fede cristiana - mi spingono a schierarmi
sempre a favore della legittima libertà di tutti
gli uomini.
Nessuno
può pretendere di imporre nelle questioni temporali
dogmi che non esistono. Di fronte a un determinato problema,
qualunque esso sia, la soluzione è questa: prima
studiare a fondo, e poi agire in coscienza, con libertà
personale e con responsabilità altrettanto personale.
D
- Quali sono, a suo avviso, le funzioni che spettano alle
associazioni od organismi rappresentativi studenteschi?
Come dovrebbero essere impostati i rapporti con le autorità
accademiche?
R
- Mi domanda un parere su una questione molto vasta.
Non scenderò quindi ai particolari: mi limiterò
ad alcune idee generali. Penso che gli organismi rappresentativi
studenteschi debbano intervenire negli affari specificamente
universitari. Ci devono essere dei rappresentanti - liberamente
eletti dai loro colleghi - che curino i rapporti con le
autorità accademiche, nella consapevolezza di dover
lavorare in armonia, in un'impresa comune: ecco un'altra
buona occasione di offrire un vero servizio.
Ci
vuole uno statuto che assicuri l'efficacia di questo servizio,
secondo criteri di giustizia e di razionalità:
le questioni devono essere ben elaborate e attentamente
meditate; se le soluzioni che vengono proposte nascono
da uno studio serio, dall'impegno di edificare e non dalla
smania di sollevare opposizioni, acquistano autorevolezza
e si impongono da sole.
Ma
per raggiungere questi obiettivi è indispensabile
che i dirigenti degli organismi rappresentativi siano
dotati di una seria preparazione: bisogna che amino anzitutto
la libertà degli altri, e poi la propria libertà
con la responsabilità che ne consegue; bisogna
che non cerchino il successo personale e non si attribuiscano
competenze che non hanno, ma che perseguano il bene dell'università,
che è il bene dei loro colleghi di studio.
E
bisogna infine che gli elettori scelgano i loro rappresentanti
in base a queste doti, e non in base a criteri estranei
al buon funzionamento della loro Alma mater: solo in questo
modo l'università sarà un luogo di pace,
un'oasi di sereno e nobile fermento, capace di favorire
lo studio e la formazione di tutti.
D
- Come concepisce lei la libertà d'insegnamento,
e in quali condizioni la ritiene necessaria? In tal senso,
quali compiti devono essere riservati allo Stato in materia
di istruzione superiore? Lei è del parere che l'autonomia
sia un principio fondamentale dell'organizzazione dell'università?
Potrebbe indicarci a grandi linee la base sulla quale
dovrebbe poggiare un sistema universitario autonomo?
R
- La libertà d'insegnamento non è se
non un aspetto della libertà generale. Ritengo
la libertà personale necessaria a tutti e in tutto
ciò che è moralmente lecito. Libertà
di insegnamento, dunque, a tutti i livelli e per tutte
le persone. Ciò significa che ogni persona o ente
idoneo deve avere la possibilità di istituire centri
di istruzione a parità di condizioni, senza limitazioni
inutilmente restrittive.
La
funzione dello Stato dipende dalla situazione sociale:
è diverso il caso della Germania da quello dell'Inghilterra,
del Giappone da quello degli Stati Uniti, tanto per citare
dei Paesi con strutture educative assai differenti. Lo
Stato ha delle evidenti funzioni di promozione, di controllo,
di vigilanza. E ciò comporta che all'iniziativa
privata e a quella statale siano offerte le stesse possibilità:
la funzione di vigilanza non consiste nel porre ostacoli,
né nell'impedire o restringere la libertà.
E'
per questo che ritengo necessaria l'autonomia dell'insegnamento:
dire autonomia equivale a dire libertà d'insegnamento.
L'università, come ente, deve avere l'indipendenza
di un organo in un corpo vivo: la libertà di compiere
la sua funzione specifica al servizio del bene comune.
Alcuni
aspetti di un'effettiva realizzazione di questa autonomia
possono essere: la libertà di scelta dei docenti
e degli amministratori, la libertà di elaborazione
dei piani di studio; la facoltà di costituire un
proprio patrimonio e di amministrarlo. In altri termini,
favorire tutte le condizioni necessarie per far sì
che l'università viva di vita propria. Se avrà
in sé questa vita, potrà anche trasmetterla,
a beneficio di tutta la società.
D
- Si avverte nell'opinione pubblica studentesca una critica
sempre più crescente contro l'istituto della cattedra
vitalizia. Lei ritiene giustificata questa opinione?
R
- Sì. Pur riconoscendo l'alto livello scientifico
e umano dei docenti spagnoli, preferisco il sistema del
libero contratto. Penso che il libero contratto non arrechi
danno economico al docente, mentre costituisce uno stimolo
per far si che il titolare di cattedra non abbandoni mai
il lavoro di ricerca e l'approfondimento della sua materia.
In tal modo si evita anche che la cattedra sia considerata
come un feudo, piuttosto che come un posto di servizio.
Non
escludo la possibilità che l'istituto della cattedra
vitalizia possa dare dei buoni risultati in qualche Paese,
e nemmeno che con questo sistema vi siano cattedratici
molto competenti, e capaci di fare della loro cattedra
un autentico servizio universitario. Ma ritengo che il
sistema del libero contratto favorisca il moltiplicarsi
di casi del genere, fino a permettere di raggiungere la
meta ideale, e cioè che questi casi rappresentino
la quasi totalità.
D
- Lei non crede che - dopo il Vaticano II - siano ormai
sorpassati i concetti di "scuole della Chiesa",
"scuole cattoliche", "università
cattoliche", ecc.? Non le sembra che tali concetti
compromettano indebitamente la Chiesa o diano l'impressione
di situazioni di privilegio?
R
- Non sono di questo avviso, se per scuole della Chiesa,
scuole cattoliche, ecc., intendiamo il risultato del diritto
che hanno la Chiesa, gli Ordini e le Congregazioni religiose
di istituire centri di istruzione. Creare un collegio
o una università non è un privilegio ma
un onere, quando si vuole che sia un centro aperto a tutti
e non solo alle persone dotate di un certo reddito.
Il
Concilio non ha preteso di dichiarare superate le istituzioni
scolastiche confessionali; ha solo voluto far capire che
c'è un'altra forma - che è anzi più
necessaria e più universale, ed è praticata
da tanti anni dai soci dell'Opus Dei - di presenza cristiana
nella scuola: e cioè la libera iniziativa dei cittadini
cattolici che hanno come professione l'attività
educativa, sia nelle istituzioni promosse dallo Stato
che altrove. È questa un'altra prova della piena
consapevolezza che la Chiesa oggi ha della fecondità
dell'apostolato dei laici.
Devo
riconoscere, d'altro canto, che non nutro simpatia per
espressioni come "scuola cattolica", "collegi
della Chiesa", e simili, anche se rispetto quanti
pensano il contrario. Preferisco che le cose si riconoscano
dai loro frutti, non dal nome che portano. Una scuola
sarà effettivamente cristiana quando, pur essendo
una delle tante, ma sforzandosi di elevare costantemente
il proprio livello, svolge un'opera formativa completa
- anche sotto il profilo cristiano -, nel rispetto della
libertà personale e adoperandosi per risolvere
gli urgenti problemi di giustizia sociale. Purché
si raggiungano questi obiettivi, poco importa il nome.
Personalmente, ripeto, preferisco evitare queste qualifiche.
D
-Vorremmo che lei, nella sua qualifica di Gran Cancelliere
dell'Università di Navarra, ci parlasse dei criteri
cui si è ispirato nel fondarla e ce ne illustrasse
il significato nell'attuale quadro dell'università
spagnola.
R
- L'Università di Navarra nacque nel 1952 -
preceduta da anni di preghiera, lo dico con vera gioia
- con il proposito di avviare un'istituzione universitaria
in cui venissero a realizzarsi gli ideali culturali e
apostolici di un gruppo di docenti che sentivano profondamente
la missione dell'insegnamento. Oggi come allora, aspira
a contribuire, in stretta collaborazione con le altre
università, a risolvere un grave problema educativo:
quello della Spagna e di tanti altri Paesi che hanno bisogno
di uomini ben preparati per l'edificazione di una società
più giusta.
Quando
fu fondata, gli iniziatori non erano persone estranee
all'università spagnola: erano docenti che si erano
formati, come alunni e come maestri, a Madrid, a Barcellona,
Siviglia, Santiago, Granada e in tante altre università.
Questa stretta collaborazione - certo più stretta
di quella esistente fra università anche geograficamente
vicine - non è venuta mai a mancare: sono frequenti
gli scambi, le visite, i congressi internazionali in cui
si lavora assieme, e via dicendo.
Lo
stesso contatto è stato stabilito e viene mantenuto
con le migliori università degli altri Paesi: può
confermarlo il recente conferimento delle lauree honoris
causa a docenti della Sorbona, di Harvard, di Coimbra,
di Monaco e di Lovanio.
L'Università
di Navarra è servita anche a inalveare la collaborazione
di tante persone che scorgono negli studi universitari
un elemento basilare nel progresso del Paese, quando questi
studi sono aperti a tutti coloro che meritano di studiare,
indipendentemente dalle loro condizioni economiche.
È
una realtà viva l'associazione degli Amici dell'Università
di Navarra, che con il suo contributo generoso è
riuscita già ad assegnare un notevole numero di
sussidi e di borse di studio. Questo numero aumenterà
sempre più, come è destinato ad aumentare
l'afflusso di studenti afro-asiatici e latino-americani.
D
- Alcuni hanno scritto che l'Università di Navarra
è un'università per i ricchi, e che ciononostante
riceve forti sovvenzioni dallo Stato. Quanto al primo
aspetto, sappiamo che non è vero, perché
siamo studenti pure noi e conosciamo i nostri colleghi;
ma rispetto alle sovvenzioni statali, che c'è di
vero?
R
- Ci sono dati precisi, a portata di tutti, perché
sono stati diffusi dalla stampa, che dimostrano che, pur
essendo il costo di gestione dell'Università di
Navarra all'incirca lo stesso di quello delle altre università,
il numero di universitari che usufruiscono di agevolazioni
economiche per i loro studi è superiore a quello
di qualsiasi altra università della Spagna.
Posso
dirvi che questo numero aumenterà ancora, fino
a superare o almeno a raggiungere il livello delle università
non spagnole più impegnate sul terreno della promozione
sociale.
Io
capisco che possa destare meraviglia vedere l'Università
di Navarra come un organismo vivo, che funziona ottimamente,
e che ciò possa far pensare che si disponga di
ingenti mezzi economici. Ma ragionando a questo modo si
dimentica che non bastano i mezzi materiali perché
le cose funzionino a dovere. La vita di questo centro
universitario dipende principalmente dall'impegno, dalla
dedizione e dal lavoro seriamente compiuto dai docenti,
dagli studenti, dagli impiegati, dagli uscieri, dalle
benemerite donne delle pulizie. Se non fosse per questo,
l'Università non si sosterrebbe.
Sotto
il profilo economico, l'Università riceve delle
sovvenzioni. Vi è in primo luogo quella dell'amministrazione
provinciale di Navarra, per spese di gestione. Bisogna
poi ricordare il comune di Pamplona, che ha ceduto i terreni
per costruirvi gli edifici, secondo una prassi abituale
delle amministrazioni municipali di tanti Paesi. Sapete,
per esperienza, quali vantaggi morali ed economici comporta
per una regione come la Navarra, e in particolare per
la città di Pamplona, l'esistenza di un'università
moderna, che apre a tutti la possibilità di ricevere
una buona istruzione superiore.
Mi
domandate se ci sono sovvenzioni statali. Lo Stato spagnolo
non contribuisce a sostenere le spese di gestione dell'Università
di Navarra. Ha concesso qualche sovvenzione per nuovi
posti di studio, alleggerendo il grave onere economico
richiesto dalla creazione delle nuove installazioni.
Un'altra
fonte di entrate, espressamente per la Scuola Tecnica
Superiore di Ingegneria Industriale, che ha sede a San
Sebastián, è data dai contributi della locale
Cassa di Risparmio.
Particolare
importanza ha avuto, fin dagli inizi dell'Università,
l'aiuto fornito da fondazioni spagnole o straniere, statali
e private: posso citare un cospicuo donativo ufficiale
degli Stati Uniti per le installazioni scientifiche della
Scuola di Ingegneria Industriale; il contributo offerto
dall'ente assistenziale tedesco Misereor per la costruzione
dei nuovi edifici; quello della fondazione Huarte per
le ricerche sul cancro; quello della fondazione Gulbekian,
ecc.
Poi
bisogna parlare dell'aiuto che, in un certo senso, è
il più gradito: mi riferisco alle migliaia di persone
di ogni classe sociale, spesso di condizioni disagiate,
che in Spagna e altrove contribuiscono, nella misura delle
loro possibilità, al sostenimento dell'Università.
Bisogna
infine ricordare quelle aziende che si interessano alle
attività di ricerca dell'Università, o che
comunque le appoggiano. Magari penserete che con tutti
questi contributi ci siano fin troppi soldi. E invece
no: l'Università di Navarra continua a essere in
passivo. Vorrei che ci aiutassero ancora più persone
e altre fondazioni, per poter dare ulteriore estensione
a quest'opera di servizio e di promozione sociale.
D
- Nella sua qualità di fondatore dell'Opus Dei
e di animatore di una vasta serie di istituzioni universitarie
in tutto il mondo, potrebbe dirci per quali motivi l'Opus
Dei ha dato vita a tali istituzioni e qual è, nelle
linee essenziali, l'apporto dell'Opus Dei a questo grado
di istruzione?
R
- Lo scopo dell'Opus Dei è di far sì che
molte persone, in tutto il mondo, sappiano, in teoria
e in pratica, che è possibile santificare le loro
attività ordinarie, il loro lavoro di ogni giorno;
che è possibile tendere alla santità cristiana
nel bel mezzo dalla strada, e cioè senza dover
abbandonare gli impegni ai quali il Signore ci ha voluto
chiamare.
Pertanto,
l'apostolato più importante dell'Opus Dei è
quello che ciascuno dei soci svolge individualmente, per
mezzo del lavoro professionale realizzato con la massima
perfezione umana - nonostante che né io né
gli altri siamo esenti da errori personali -, in tutti
gli ambienti e in tutti i Paesi: perché appartengono
all'Opus Dei persone di circa settanta nazioni, di ogni
razza e condizione sociale.
Oltre
a questo, l'Opus Dei, come istituzione, in collaborazione
con tantissime persone che non appartengono all'Opera
- e che spesso non sono cristiane -, promuove delle attività
d'apostolato sue proprie, con le quali cerca di contribuire
alla soluzione di tanti problemi che affliggono il mondo
attuale. Si tratta di istituzioni educative o assistenziali,
centri di promozione sociale e di qualificazione professionale,
e così via.
Fra
tutte queste attività ci sono anche le istituzioni
universitarie di cui mi parlate. Le caratteristiche che
esse presentano potrebbero ridursi a queste: in primo
luogo, l'educazione alla libertà personale e alla
responsabilità anch'essa personale. Con libertà
e responsabilità è un piacere lavorare,
i risultati non mancano e non c'è bisogno di controlli
o di vigilanza: perché tutti si sentono a casa
propria, e un semplice orario è più che
sufficiente. In secondo luogo, lo spirito di convivenza,
senza discriminazioni di nessun genere.
È la convivenza che forma la personalità;
nella convivenza ciascuno impara che, per poter esigere
il rispetto della propria libertà, deve saper rispettare
la libertà altrui. E infine, lo spirito di fraternità
umana: i talenti personali debbono essere messi al servizio
degli altri, altrimenti servono a ben poco. Le opere apostoliche
che l'Opus Dei ha creato in tutto il mondo sono sempre
al servizio di tutti: perché sono un servizio cristiano.
D
- Nel maggio scorso, durante un suo incontro con gli studenti
dell'Università di Navarra, lei promise che avrebbe
pubblicato un libro su argomenti studenteschi e universitari.
Potrebbe dirci quando uscirà?
R
- Concedete a una persona che ormai ha più di sessant'anni
questa piccola vanità: nutro la speranza che il
libro uscirà e che potrà essere utile a
professori e studenti. Perlomeno ci metterò tutto
l'affetto che ho per l'università, un affetto che
non è mai venuto meno da quando ci entrai per la
prima volta..., tanti anni fa!
Forse
bisognerà aspettare ancora un po', ma arriverà.
In un'altra occasione ho promesso agli studenti di Navarra
una statua della Madonna da collocare in mezzo al campus,
da dove avrebbe dovuto benedire l'amore puro, sano, della
vostra giovinezza. La statua tardò un po' ad arrivare,
ma alla fine arrivò: è l'immagine di Santa
Maria, Madre del Bell'Amore, benedetta proprio per voi
dal Santo Padre.
Riguardo
al libro vi dirò di non aspettarvi che piaccia
a tutti. Vi esporrò le mie opinioni, che spero
saranno rispettate da chi pensa diversamente, come io
rispetto tutte le opinioni diverse dalla mia, come rispetto
tutte le persone di cuore grande e generoso, anche se
non hanno in comune con me la fede di Cristo. Vi racconterò
un episodio che si è ripetuto tante volte, e l'ultima
qui, a Pamplona. Mi si avvicinò uno studente che
voleva salutarmi.
-
Monsignore, io non sono cristiano, - mi disse - sono maomettano.
-
Tu sei figlio di Dio come me - gli risposi. E lo abbracciai
con tutto il cuore.
D
- Per finire, potrebbe dire qualcosa a noi che lavoriamo
nella stampa universitaria?
R
- È una gran cosa il giornalismo, anche quello
universitario. Voi potete offrire un grosso contributo
alla diffusione fra i vostri colleghi dell'amore per gli
ideali più elevati, dello zelo di superare l'egoismo
individuale, della sensibilità per i compiti comunitari,
della fraternità. E ora, ancora una volta, non
posso tralasciare di invitarvi ad amare la verità.
Non
vi nascondo che mi disgusta il sensazionalismo di certi
giornalisti, che dicono la verità solo a metà.
Informare non vuol dire fermarsi a mezza strada fra la
verità e la menzogna. Questo non è né
informazione né moralità, e non meritano
il nome di giornalisti quelli che mescolano poche mezze
verità con tante falsità o addirittura con
calunnie premeditate: non meritano il nome di giornalisti
perché non sono altro che una rotella - più
o meno lubrificata - nell'ingranaggio di una delle tante
organizzazioni che si dedicano a diffondere il falso,
sapendo che verrà ripetuto a sazietà, senza
mala fede, dall'ignoranza e dall'insipienza di non pochi.
Vi
devo dire che, per quanto riguarda me personalmente, questi
pseudo-giornalisti ci guadagnano: perché non passa
giorno senza che preghi con affetto per loro, chiedendo
al Signore di rischiarare la loro coscienza. Vi chiedo
quindi di diffondere l'amore per il buon giornalismo,
quello che non si accontenta di rumori infondati, dei
si dice nati da immaginazioni surriscaldate. Informate
con i fatti, con i risultati, senza giudicare le intenzioni,
considerando con obiettività la legittima diversità
di opinioni, senza scendere all'attacco personale.
È
difficile che ci sia vera convivenza là dove manca
vera informazione; e la vera informazione è quella
che non ha paura della verità e non si lascia guidare
da interessi di potere, di falso prestigio o di lucro.