Maestro,
sacerdote e padre
Profilo umano e
soprannaturale del Beato Josemaría Escrivá
Secondo
la visione cristiana del mondo, la Provvidenza divina governa gli
avvenimenti della natura e degli uomini senza ledere la legittima
autonomia delle realtà terrene. Questa certezza vale in modo
speciale e misterioso per la persona: l'intervento divino, definito
tradizionalmente come «forte e soave» (1), fa
sì che l'Onnipotenza di Dio agisca nel più
delicato rispetto per la libertà dell'uomo. In altre parole,
l'essere umano non è dominato da un destino cieco,
bensì dalla sollecita premura di un Padre che ci orienta
— consapevoli o meno — verso il meglio, per la Sua
Gloria e per il bene di ciascuno di noi.
Di
più: è propria della visione cristiana della vita
la convinzione che l'esistenza personale risponda a un disegno amoroso
di Dio, che «ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto, nella
carità» (2). Questo invito universale alla
santità assume per ogni individuo la forma di una chiamata
unica e irripetibile, che ciascuno va scoprendo progressivamente nel
corso degli anni, e che si manifesta quando la creatura cerca davvero
di compiere la Volontà di Dio, deponendo ogni egoismo.
Tale
condizione vocazionale della vita umana implica che Dio, nella Sua
paterna bontà, conceda gratuitamente a ognuno di noi i doni
naturali e soprannaturali che ci permettano di realizzare perfettamente
i Suoi disegni, ovvero il compimento di una missione nel mondo.
Pertanto,
la vocazione — con le sue esigenze e le grazie necessarie per
portarle a compimento — non va attribuita esclusivamente a
pochi eletti o privilegiati, ma si estende a tutte le persone create da
Dio a Sua immagine e somiglianza. Allo stesso tempo, il progetto divino
non toglie che la struttura vocazionale dell'esistenza sia
particolarmente visibile in alcune persone che hanno ricevuto da Dio un
incarico esplicito che le associa in modo singolare alla missione
redentrice del suo Figlio, rendendole strumenti scelti per diffondere
in modo efficace il regno di Cristo nelle anime. Questo è
ciò che si avverte con molta chiarezza nella vita dei santi.
Sullo
sfondo della dottrina evangelica della chiamata universale alla
santità e all'apostolato — ora meglio conosciuta
dai fedeli della Chiesa cattolica, in seguito agli insegnamenti del
Concilio Vaticano II —, si staglia la personalità
unica del Beato Josemaría Escrivá de Balaguer.
Da
una parte perché questo sacerdote santo è uno dei
più rilevanti portavoce contemporanei nella diffusione di
questo messaggio, soprattutto per quanto riguarda i laici.
Josemaría Escrivá è stato infatti un
pioniere nel proclamare — fin dal 1928, con la fondazione
dell'Opus Dei — che la volontà di Dio per tutte le
anime è la santificazione personale (3),
ovvero la pienezza della vita cristiana; compito di ciascuno, da
adempiere nelle circostanze ordinarie nelle quali la Provvidenza divina
lo ha posto, nel proprio lavoro professionale che diventa
così mezzo e strumento di santità e di apostolato.
D'altra parte, perché la biografia stessa del Beato
Josemaría costituisce un chiaro esempio di come Dio
elargisca le grazie necessarie per compiere la missione ricevuta.
Così come la chiamata alla quale questo sacerdote ha
risposto fedelmente contiene un significato straordinario nella storia
del mondo e della Chiesa, non deve apparire strano che nella sua
esistenza traspaiano alcuni doni eccezionali, umani e soprannaturali,
che egli, nella sua umiltà, cercava di nascondere, nel
desiderio di passare inavvertito.
Il primo Prelato dell'Opus Dei, mons. Álvaro del Portillo,
ha usato queste parole nell'omelia della Santa Messa di ringraziamento
alla Trinità Beatissima, celebrata in Piazza San Pietro il
giorno successivo alla beatificazione di Josemaría
Escrivá: «La santità raggiunta dal
Beato Josemaría non rappresenta un ideale impossibile;
è un esempio che non si rivolge soltanto a poche anime
elette, bensì a innumerevoli cristiani, chiamati da Dio a
santificarsi nel mondo: nell'àmbito del lavoro
professionale, della vita familiare e sociale. È un esempio
illuminante di come le occupazioni quotidiane non siano un disturbo per
lo sviluppo della vita spirituale, ma possono e debbono trasformarsi in
orazione: egli stesso costatava per iscritto nei suoi appunti
personali, con una certa sorpresa, che vibrava d'Amore per Dio proprio
per la strada, tra il rumore delle automobili, dei mezzi pubblici,
della gente, persino leggendo il giornale! (J. Escrivá de
Balaguer, 26.1.1932, in Appunti intimi, n. 673).
È
un esempio particolarmente vicino, poiché il Beato
Josemaría è vissuto fra di noi: siete in molti,
qui presenti, ad averlo conosciuto di persona. Egli ha partecipato
intensamente alle ansie della nostra epoca, e proprio nelle
attività di ogni giorno, mediante il compimento fedele dei
doveri quotidiani nello Spirito di Cristo (4), ha raggiunto la
santità» (5).
1.
Virtù umane
Alla fine di agosto del 2000 si è compiuto il centenario
della morte di Friedrich Nietzsche. A motivo della ricorrenza, sono
stati pubblicati molti libri e molti articoli, a dimostrazione del
fatto che, nonostante i suoi squilibri umani e le sue lacune
filosofiche, il pensatore tedesco ha lasciato una profonda traccia
nella mentalità dell'ultimo secolo. Una delle sue tesi
più note è la denuncia che i cristiani, dando un
valore esclusivo — che egli giudica ipocrita e opportunista
— ai beni celesti, disprezzerebbero ciò che
è umano, diventando i «nemici della
vita».
L'accusa
di Nietzsche è chiaramente ingiusta e, come tante altre sue
posizioni, risulta infondata ed eccessiva. Per duemila anni i cristiani
hanno stimato più che mai la dignità della
persona, hanno promosso in larga parte lo sviluppo delle scienze
positive e ispirato culture e civiltà che hanno dato i
natali a grandi ingegni delle arti e del pensiero,
personalità di straordinario vigore e prestigio. Tutto
ciò è stato possibile perché la Chiesa
si è mantenuta fedele alla verità centrale
dell'Incarnazione del Verbo: Gesù Cristo, che restaura tutte
le cose nella Verità, è stato, è, e
sarà sempre vero Dio e vero uomo (6).
Dalla
vita e dagli insegnamenti del Beato Josemaría emerge con
chiarezza la rilevanza delle virtù umane, fondamento di
quelle soprannaturali; è un aspetto che non sempre veniva
ribadito dalle opere ascetiche tradizionali, alle quali egli attingeva
durante la sua prima formazione cristiana e sacerdotale. Un'omelia
pronunciata nel 1941 toglie ogni sorta di dubbio; diceva infatti:
«Se accettiamo la responsabilità di essere suoi
figli, vedremo che Dio ci vuole molto umani. La testa deve arrivare al
cielo, ma i piedi devono poggiare saldamente per terra. Il prezzo per
vivere da cristiani non è la rinuncia a essere uomini o la
rinuncia allo sforzo per acquisire quelle virtù che alcuni
posseggono, anche senza conoscere Cristo. Il prezzo di ogni cristiano
è il Sangue redentore di Gesù nostro Signore che
ci vuole — ripeto — molto umani e molto divini,
costanti nell'impegno quotidiano di imitare Lui, perfectus Deus,
perfectus homo» (7).
Per
riferirsi all'armonia che procede dalle virtù, il Fondatore
dell'Opus Dei usava a volte un'espressione energica; parlava infatti
della formazione dei giovani come di «formazione di una
personalità tutta d'un pezzo». I primi a riceverla
direttamente da lui — e i molti che seguirono poi questo
cammino — non la percepirono come una teoria morale o uno
stile pedagogico. La toccarono con mano nell'agire quotidiano di questo
sacerdote che li orientava nella vita cristiana. Le testimonianze del
lavoro pastorale, dagli inizi del suo ministero fino alla sua morte
avvenuta nel 1975, confermano che Josemaría
Escrivá era una persona in cui dottrina e vita formavano
un'unità indissolubile. Non era un maestro freddo, un
teorico dell'etica naturale e della morale cristiana; né un
leader entusiasta che trascinava con espedienti emotivi. Era invece un
sacerdote innamorato di Cristo, dedicato per amore al servizio degli
altri e aveva una personalità forte e armoniosa, il cui
comportamento — nel quale l'umano e il soprannaturale si
potenziavano a vicenda — era vivace e attraeva per la sua
indubbia autenticità, per l'impegno leale, per la coerenza
che non cedeva a compromessi.
Il
Signore lo aveva dotato di qualità singolari che
—coltivate dall'esempio e dall'insegnamento dei suoi genitori
— gli spalancarono l'immenso panorama del cammino cristiano.
Fin da bambino ebbe una grande capacità di accogliere e di
fare suo tutto ciò che riceveva dall'ambiente umano e
spirituale circostante. In tutta normalità apprese il valore
delle virtù cristiane, nelle quali avrebbe affondato le
radici la sua vita interiore, di bambino, ragazzo, adolescente,
universitario. Colpisce la sua capacità di osservazione e di
intuizione.
Non
vede nel mondo intorno a lui niente che gli si imponga, né
soltanto aiuti o vantaggi; contempla come si fanno le cose in famiglia,
all'asilo, a scuola, e ne trae le conseguenze.
Non
dimenticherà il sorriso amabile di suo padre, che non
perdeva mai la pace e si interessava delle persone che aveva accanto
come di chi fa parte integrante della propria vita. Ho sentito
direttamente da lui molti aneddoti che rivelano l'amicizia e la
lealtà di don José Escrivá, vissute
addirittura con maggior vigore nell'ambiente familiare, con la moglie e
i figli. Josemaría scoprì in suo padre il
significato umano e divino dell'amicizia e della giustizia. Da quando
inizia a rendersi conto di ciò che lo circonda, il ragazzo
osserva la puntualità e la responsabilità nel
lavoro dei suoi genitori, che compiono il proprio dovere con
generosità, allegria, senza perdite di tempo. Cercano sempre
di svolgerlo fino in fondo, volendo servire tanto i superiori quanto
chi dipende da loro.
Tanta
sollecitudine deriva da un profondo senso della libertà.
Proprio grazie al clima di fiducia sperimentato nel proprio focolare
— clima che in seguito trasmetterà a tutti gli
ambienti in cui si muoverà —, egli si assume la
responsabilità dei propri doveri e sa chiedere aiuto, quando
ne ha bisogno, a chi lo può consigliare. Nella sua famiglia
si rende anche conto del valore dell'autentica sincerità, e
impara a non farsi portare dalla critica o dalla mormorazione,
né dal risentimento o dal rancore. Con il crescere della
consapevolezza della propria libertà la sa riconoscere agli
altri, senza ombra di sospetti.
L'atmosfera
di casa sua è di educazione, pudore e buone maniere. Nel
convivere impara ad ascoltare, aspettare, apprendere, aiutare. Osserva
la comprensione nei confronti degli anziani, dei malati e dei poveri;
fa tesoro di questo comportamento, sapendo che nessuno può
essergli indifferente. Sente che il personale di servizio che collabora
in casa fa parte della famiglia e s'impegna perciò a
ringraziare sempre e a mostrare il suo rispetto senza lasciarsi servire
quando non è necessario. Molti hanno poi potuto sperimentare
che il Beato Josemaría li tratta da fratelli, con la
più sincera amicizia, e grazie a questo rapporto sono usciti
dal tunnel della tristezza o della solitudine. Molti altri riconoscono
che, pur non avendo nulla da offrire a questo sacerdote, uscivano dagli
incontri con lui paghi della carità con cui li trattava; si
sentivano trattati con una tale naturalezza soprannaturale che pareva
loro il comportamento più normale. Non esagero se dico che
con la sua amicizia e la sua paternità sacerdotale ha
colmato di ricchezza spirituale e di speranza molti bisognosi,
innumerevoli malati, persone che altri tendevano a emarginare,
lavoratori impiegati in mansioni umili e quanti non avevano
sperimentato la protezione di una famiglia.
Non
mi è possibile descrivere la grandezza della sua rettitudine
nel prendere sul serio — da cristiano, da sacerdote e da uomo
— la propria vita e quella degli altri. Per questo motivo,
infatti, fino alla fine del suo percorso sulla terra si è
distinto per la voglia di imparare da tutti, dai luoghi in cui si
trovava e dai sani interessi di chi gli stava accanto.
Prestava attenzione al bene che facevano gli altri e per questo era
molto grato, persuaso che tutti lo arricchivano. Mostrava inoltre una
spiccata capacità di intuire la bontà, la
bellezza, la nobiltà, i grandi ideali e anche le esigenze
del prossimo. Fin da bambino alimentò il desiderio di
sapere, di conoscere meglio la dottrina, di arricchire la sua
preparazione umana, culturale e professionale.
La
ricchezza della personalità traspariva dalla sua
naturalezza, nobile, elegante, semplice. Non faceva mai scena, non
recitava; ciò nonostante si muoveva in pubblico o davanti
alle telecamere, istintivamente, come un vero artista. Non recitava, ma
era dotato di un'ottima comunicativa. Attraevano il suo sorriso
costante, il suo sguardo intelligente, penetrante, comprensivo. Il
gesto composto delle mani non sovrastava mai la parola. Uomo di
intelligenza vivace e pronta, pose tutte le sue doti al servizio della
missione che Dio gli aveva affidato. Non si lasciò
condizionare dalle preferenze. Ingrandì costantemente il suo
cuore fino ad avere un'attitudine di accoglienza sempre affabile,
capace di mettere sempre in risalto gli aspetti positivi di ogni anima.
Chi
l'ha conosciuto nell'infanzia afferma che la sua allegra simpatia era
coinvolgente.
Mise anche questo aspetto del suo modo di essere a servizio della
missione ricevuta da Dio e fu sin dagli inizi un apostolo allegro, che
contagiava il ricorso a una fede operativa, a una speranza sicura e al
tesoro di saper amare Dio e tutto per Dio. Fino alla fine ha saputo
avvicinarsi al cuore della gente con la stessa energia, facendo
scoprire la ricchezza dell'amicizia di Dio a persone di tutti i Paesi.
2.
Ottimismo e speranza
Non si può attribuire a un unico tratto del carattere del
Beato Josemaría Escrivá la sua
capacità di coinvolgimento perché le
virtù eroiche, che la Chiesa ha riconosciuto nella sua vita,
si intrecciano e si fondono con la sua natura fino a configurare una
personalità unitaria e armonica.
Ciò
nonostante, tra le note distintive del suo carattere, ci furono sempre
lo spirito costruttivo, un'allegria contagiosa e un atteggiamento
ottimista e di incrollabile speranza, con manifestazioni di gioia e
profonde radici teologali. Sono toni brillanti e luminosi che risaltano
vivacemente su uno sfondo culturale tante volte dominato dal pessimismo
o dalla buia visione rinchiusa in orizzonti immanenti. Egli si
accorgeva che un ottimismo non basato sul riconoscimento dell'origine
trascendente dell'uomo può solo essere un sentimento banale,
privo di fondamento. Per questo, occorre dire che l'ottimismo del
Fondatore dell'Opus Dei si trova agli antipodi di un certo
sentimentalismo crepuscolare o del progressismo decadente che non
rinuncia al «progetto moderno» in versione
antropocentrica e secolarista. La visione pienamente positiva di
Josemaría Escrivá sull'essere umano —
«l'unica creatura sulla terra che Dio ha amato per
sé stessa» (8)- possiede un inconfondibile
carattere paolino, poiché l'uomo e la donna sono chiamati a
identificarsi con Cristo (9): a essere alter Christus, ipse
Christus, come gli piaceva riassumere (10).
Una
profonda comprensione dei misteri della creazione e dell'incarnazione
stanno alla radice di questo atteggiamento decisamente positivo che
configura la personalità del Beato Josemaría; ne
è una bellissima manifestazione il suo richiamo ad
«amare il mondo appassionatamente». Così
intitolò l'omelia pronunciata nel Campus
dell'Università di Navarra l'8 ottobre 1967, nella quale
rivolse parole vibranti alle migliaia di persone che partecipavano alla
santa Messa celebrata all'aperto: «Dio vi chiama a servirlo
nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della
vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in
caserma, nella cattedra universitaria, nella fabbrica, nell'officina,
nei campi, nel focolare familiare e in tutto lo sconfinato panorama del
lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno [...]. Sappiatelo bene:
c'è qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni
più comuni, che tocca a ognuno di voi scoprire [...]. Non vi
è altra strada figli miei: o sappiamo trovare il Signore
nella nostra vita ordinaria o non lo troveremo mai.
Per
questo vi posso dire che la nostra epoca ha bisogno di restituire alla
materia e alle situazioni che sembrano più comuni, il loro
nobile senso originario, metterle al servizio del Regno di Dio,
spiritualizzarle, facendone mezzo e occasione del nostro incontro
continuo con Gesù Cristo (11).
Con un'affermazione ardita, che colpì molto gli astanti,
Josemaría Escrivá de Balaguer fece riferimento a
«un materialismo cristiano che si oppone audacemente ai
materialismi chiusi allo spirito» (12).
La sicurezza che gli derivava dalla sua passione per l'umano, e la
profonda fede nella presenza salvifica di Cristo tra i fedeli, lo
portavano a condurre la sua predicazione sullo stesso terreno in cui il
cattolicesimo era più attaccato in quel tempo.
Se
il materialismo riduzionista, nelle sue più svariate
versioni, pretende di sradicare la dimensione spirituale dalla
realtà, il Beato Josemaría ridefinisce il giusto
significato del concetto stesso di materia, per affermare fermamente
che l'idea di una materia chiusa in sé stessa e refrattaria
a qualsiasi apertura verso il trascendente, è un'astrazione
ideologica che non ha niente a che vedere con la multiforme e complessa
realtà nella quale si svolgono ogni giorno le
attività umane: per questo motivo essa impoverisce
l'immagine dell'uomo, fino al punto di rinchiuderlo nella mera
fatuità, nel meccanicismo, con il pericolo di condurlo a una
disperata tristezza, a un'abulia esistenziale.
Al contrario, se la cultura si apre alla ragione sapienziale, il
panorama si allarga e l'uomo si libera. Chi si avvicina alla dottrina
del Fondatore dell'Opus Dei nutre un'impressione, quasi fisica, di
liberazione e di apertura, di ampliamento di orizzonti; avverte
un'esperienza di arricchimento gioioso, di dilatazione delle
possibilità esistenziali, perché può
scoprire il mistero inesauribile della realtà santificabile
e gli infiniti panorami di santificazione — di autentica
realizzazione — che la fede cristiana offre alle donne e agli
uomini di tutti i tempi.
Questa
stessa sensazione emergeva anche nel rapporto personale —
assiduo o sporadico — con il Beato Josemaría, per
quella sua unità di vita e di dottrina a cui facevo cenno
prima. Migliaia di persone, anche non cristiane o lontane dalla pratica
della fede, scoprirono — dopo un incontro con questo
sacerdote santo e brillante, simpatico e semplice — un
ottimismo e un'allegria che li spingeva a cambiare il corso della loro
esistenza. Vi posso assicurare che continua a succedere a coloro che
vengono in contatto con la sua vita attraverso i suoi insegnamenti e le
numerose testimonianze sulla sua persona.
Il
suo modo di aiutare a materializzare la vita spirituale (13)
attraverso delle immagini particolarmente espressive; la sua maniera di
rettificare con spontaneità questioni che provocano
inquietudine e sconcerto; la facilità nel dare esempi che
illuminano ciò che è più abituale, o
nel dare consigli realisti ed esigenti; la sua capacità di
elevare l'animo degli ascoltatori e dei lettori, riflettono
un'esperienza di autentica speranza, la cui origine — lo si
può ben dire — deriva senza dubbio da una profonda
unione con Cristo. Per questo il suo messaggio ha in sé,
allora come adesso, il segno inconfondibile di una novità,
che non scaturisce tanto da qualcosa di originale quanto
dall'originario, proprio di chi è vicino alla fonte di acqua
viva: al Dio che rende nuove tutte le cose (14).
In
effetti così si mostra la forza trasformatrice della
speranza. Come afferma il Catechismo della Chiesa cattolica,
«...la virtù della speranza risponde
all'aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di
ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività
degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda
dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata
il cuore nell'attesa della beatitudine eterna.
Lo
slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della
carità» (15). Fedele seguace dello spirito
che il Signore gli diede per configurare l'Opus Dei, cammino di
santità in mezzo al mondo, il Beato Josemaría
riusciva, in modo quasi connaturale, a fare sì che le
speranze umane si appoggiassero con perseveranza sulla speranza
soprannaturale e a indirizzarle, corrette e purificate, verso
l'orizzonte escatologico nel quale la felicità ultima
è giungere alla visione diretta del volto di Dio. Quando,
specialmente durante i suoi ultimi anni in terra, pregava di continuo
con le parole del Salmo «Vultum tuum, Domine,
requiram» (16)
— il tuo volto io cerco, Signore —, non celava in
questo anelito nessuna propensione a fuggire dai dispiaceri
dell'esistenza terrena, ma esprimeva il desiderio incontenibile di
incontrare la piena felicità in cielo, la stessa che il
Signore gli anticipava in terra e che egli contribuì a
diffondere intorno a sé, nonostante le difficoltà
e dolori provati nella carne e nello spirito.
La
quiete contemplativa che Dio gli concedeva, premio del suo distacco e
della rettitudine di intenzione, non aveva niente a che vedere con lo
stoicismo. La pace profonda dei figli di Dio, che si alimenta
dell'intima certezza che non può succedere realmente nulla
di male — perché «tutte le cose
cooperano al bene di coloro che amano Dio» (17) -
si trova infatti agli antipodi dello stoicismo. La serenità
che accompagna la santità di vita è molto lontana
dall'indifferenza individualista e dall'attivismo pragmatico. Quando
correvano i tempi nei quali l'utopia marxista e la sua ingannevole
visione di liberazione erano penetrate nella mentalità degli
intellettuali, anche cristiani, il Fondatore dell'Opus Dei promuoveva
la giustizia sociale attraverso l'agire professionale dei laici, mentre
incoraggiava numerose iniziative apostoliche di promozione umana tra
gli emarginati e ricordava che la vera liberazione — quella
che Cristo ha guadagnato per noi con il proprio sangue — non
è se non la liberazione dal peccato, specialmente attraverso
il sacramento della penitenza.
L'immanenza
e la trascendenza si armonizzano nel vissuto della speranza cristiana,
la quale è lontana tanto dal riduzionismo secolarista come
dalla disincarnazione solo apparentemente spirituale. La profonda
unità della sua esperienza induceva il Beato
Josemaría a dare grande valore alle realtà
terrene, riferendole al loro Creatore e Redentore e facendole diventare
occasione di apostolato. In un'omelia affermava: «Il Signore
non ci ha creato per darci quaggiù una Città
definitiva (cfr Eb 13, 14), perché questo mondo è
la via all'altro, alla dimora senza dolore (Jorge Manrique, Coplas, V).
Senza dubbio, noi figli di Dio non dobbiamo disinteressarci delle
attività terrene, nelle quali Dio ci colloca
perché le santifichiamo, perché le impregniamo
della nostra fede benedetta, l'unica che porta vera pace, autentica
allegria alle anime e a tutti gli ambienti. Questa è stata
la mia costante predicazione fin dal 1928: urge cristianizzare la
società, portare a tutti i livelli della nostra
umanità il senso soprannaturale, e poi impegnarci insieme a
elevare all'ordine della grazia il dovere quotidiano, la propria
professione, il proprio mestiere. Così tutte le occupazioni
umane saranno illuminate da una speranza nuova, che trascende il tempo
e la caducità mondana» (18).
Questa unione dinamica, non dialettica, tra attese e speranze dimostra
che Josemaría Escrivá aveva penetrato con
profondità le intime contraddizioni di questa nostra epoca
di tensioni e cambiamenti, per arrivare, con una specie di istinto
soprannaturale, a una sintesi superiore che, in fondo, proveniva dal
suo spirito di filiazione divina.
3.
Unità di vita
Se la filiazione divina — sentirsi figli di Dio e sapere che
realmente lo siamo (19)
-, è il fondamento della vita spirituale del Fondatore
dell'Opus Dei, lo si nota specialmente nell'unità di vita;
essa consiste nella compenetrazione degli aspetti culturali,
professionali e sociali della persona con quelli spirituali e
apostolici, nella relazione dell'anima con il Creatore, al quale tutto
importa della sua creatura. È un'unità che non
deve essere intesa come mescolanza o confusione; non si tratta,
infatti, di una specie di «emulsione» o di additivo
che la lotta ascetica e l'impegno apostolico affiancano al lavoro e
all'impegno quotidiano. Consiste invece in una profonda
unità, nella quale la persona compie le proprie azioni su
livelli diversi ma non separati, né tantomeno contrapposti,
che si intrecciano e concorrono uniti al conseguimento di quella
pienezza mai totalmente raggiungibile su questa terra: la
santità.
Così
si esprimeva il Beato Josemaría: «Vi è
una sola vita fatta di carne e di spirito, ed è questa che
dev'essere — nell'anima e nel corpo — santa e piena
di Dio: questo Dio invisibile, lo troviamo nelle cose più
visibili e materiali» (20).
Nel
corso di incontri informali, persone di qualsiasi provenienza e
condizione gli chiedevano con insistenza come rendere compatibili le
esigenze professionali, sempre più pressanti, con gli
obblighi familiari, i doveri civili e il desiderio di coltivare un
rapporto quotidiano con Dio. In un modo o nell'altro, le sue risposte
riconducevano sempre all'unità di vita, quale soluzione
operativa di fronte allo sconcerto e all'angustia che la
complessità della società genera in uomini e
donne sovraccarichi di occupazioni apparentemente inconciliabili.
Anche
in questo si rivela l'attitudine ottimista quale tratto marcato del suo
profilo intellettuale e umano. Egli non accetta mai la mera
rassegnazione. Non consiglia di sopportare passivamente le
difficoltà. A uno studente universitario che, per esempio,
si lamenta — soprattutto in periodo di esami — che
non può rendere compatibili lo studio intenso con
l'orazione, oltre a dare il consiglio di non abbandonare il tempo
dedicato a frequentare il Signore — risponderà
prontamente: «Un'ora di studio, per un apostolo moderno,
è un'ora di orazione» (21). Un operaio o un imprenditore
che hanno orari molto pesanti, troveranno luce in questo consiglio
pratico e accessibile: «Da' una motivazione soprannaturale al
tuo lavoro professionale, e avrai santificato il lavoro» (22).
Più
complessa e articolata dev'essere la risposta a un problema molto
attuale: come possono le donne conciliare la loro crescente presenza
nelle attività professionali fuori dal focolare domestico,
con l'imprescindibile lavoro che svolgono nell'àmbito
familiare: «Innanzitutto», rispondeva in
un'intervista giornalistica concessa nel 1968, «mi sembra
opportuno non contrapporre i due àmbiti [...]. Come nella
vita dell'uomo, anche in quella della donna, ma con caratteristiche
molto peculiari, il focolare e la famiglia occuperanno sempre un posto
preminente: è evidente che il dedicarsi ai compiti familiari
costituisce una grande funzione umana e cristiana. Tuttavia questo non
esclude la possibilità di svolgere altre attività
professionali — anche quella domestica è
un'attività professionale — in una qualunque delle
mansioni e dei nobili impieghi dignitosi esistenti nella
società in cui si vive. È facile capire che cosa
si intende, impostando così il problema; penso
però che se si insiste troppo sulla contrapposizione
sistematica fra casa e attività esterne, e ci si limita a
spostare l'accento da un termine all'altro, si potrebbe giungere, da un
punto di vista sociale, a un errore maggiore di quello che si cerca di
correggere, giacché sarebbe senz'altro più grave
che la donna abbandonasse il lavoro di casa» (23).
È
significativo che in questa stessa intervista, il Beato
Josemaría menzioni espressamente i nuovi mezzi tecnologici (24)
come strumenti per risparmiare tempo e poter portare avanti varie
faccende. Le «nuove tecnologie» sono uno degli
aspetti più caratteristici di quest'epoca e il Fondatore
dell'Opus Dei percepiva le possibilità che l'era
postindustriale dischiude all'effettiva realizzazione
dell'unità di vita del cristiano.
Mons.
Álvaro del Portillo, nell'omelia del 18 maggio 1992, faceva
eco a ciò che il Beato Josemaría
predicò fin dal 1928: «Sì! È
possibile essere del mondo senza essere mondani; è possibile
rimanere al proprio posto e al tempo stesso seguire Cristo e rimanere
in Lui. È possibile vivere nel cielo e sulla terra, essere
contemplativi in mezzo al mondo trasformando le circostanze della vita
ordinaria in occasione di incontro con Dio; mezzo per condurre altre
anime al Signore e informare dal di dentro la società umana
con lo spirito di Cristo, offrendo a Dio Padre tutte le nostre opere in
unione al sacrificio della croce, che si rinnova sacramentalmente
nell'Eucaristia» (25).
Da
grande universitario qual era, il Beato Josemaría, fu
promotore di centri di ricerca e di insegnamento superiore,
incoraggiò intellettuali, professori e studenti
affinché lavorassero in équipe e con la
prospettiva interdisciplinare, per cercare nuove sintesi tra i saperi,
in accordo con la fede cristiana e la profondità
scientifica. Come Gran Cancelliere dell'Università di
Navarra, sottolineava nell'ottobre del 1967 che
«l'Università ha come sua più alta
missione di servizio agli uomini, quella di essere fermento della
società nella quale vive; per questo deve ricercare la
verità in tutti i campi, dalla teologia, la scienza della
fede, chiamata a considerare verità sempre attuali, fino
alle altre scienze dello spirito e della natura» (26).
Descriveva l'orizzonte dell'Universitas Scientiarum, che deve ampliarsi
sempre di più per rispondere alle nuove realtà ed
esigenze del contesto sociale: «Cosciente di questa
responsabilità ineludibile, l'università si apre
ora in tutti i Paesi a nuovi campi, fino a poco tempo fa sconosciuti,
incorporando al suo patrimonio tradizionale, scienze e insegnamenti di
recente origine, e imprime loro la coerenza e la dignità
intellettuale, che sono il segno imperituro del lavoro
universitario» (27).
Sembra
chiaro che l'impostazione dell'unità di vita non
è, nel pensiero del Beato Josemaría, una specie
di tecnica per aprirsi un varco nell'intricata complessità
che circonda l'uomo. Essa esprime una chiara ispirazione teologica che
penetra in profondità il suo profilo intellettuale. Questo
aspetto si avverte con speciale rilievo in un testo di Solco dove
sintetizza lo stile e le caratteristiche di un intellettuale cristiano:
«Per te, che desideri formarti una mentalità
cattolica, universale, trascrivo alcune caratteristiche:
— ampiezza di orizzonti, e un vigoroso approfondimento in
ciò che riguarda gli aspetti perennemente vivi
dell'ortodossia cattolica;
— anelito retto e sano — mai frivolezza —
di rinnovare le dottrine tipiche del pensiero tradizionale, nella
filosofia e nell'interpretazione della storia;
— una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e
del pensiero contemporanei;
— un atteggiamento positivo e aperto di fronte all'odierna
trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita» (28).
Il
Beato Josemaría diede molta importanza alla formazione umana
dei fedeli dell'Opus Dei, affinché si comportassero in modo
leale e nobile con gli altri senza trascurare la premurosa assistenza
dei più deboli o bisognosi, tanto sul piano materiale come
su quello spirituale. Fece in modo che ricevessero un'intensa
formazione, con speciale riferimento agli studi filosofici e teologici.
Curava attentamente gli aspetti umani e dottrinali e faceva in modo che
si coniugassero armonicamente con quelli ascetici, apostolici e
professionali, nel quadro della più grande
libertà per ciò che riguarda le questioni
opinabili. Si raccomandava di non abbandonare mai i libri, per
migliorare giorno dopo giorno la propria cultura civile e religiosa,
anche attraverso il contatto assiduo con i classici della letteratura
universale e del pensiero cristiano.
Considerava che, per influire cristianamente nella società
civile, è necessaria una formazione ampia, completa,
profonda, acquisita durante tutta la vita. Per questo affermava che la
formazione non termina mai. Solo così i cristiani potranno
accendere il fuoco tra i propri compagni, parenti e amici o, almeno,
elevare la temperatura spirituale del prossimo.
Ripeteva
sempre che l'Opus Dei «è una grande
catechesi»: si limita a formare i fedeli affinché
siano loro, successivamente, ad agire in modo personale e libero,
secondo il proprio criterio negli ambienti in cui si trovano per motivi
di lavoro, di famiglia o di amicizia.
4.
Amore alla libertà
Il pensiero razionalista ha dei paradossi strutturali come il paradosso
della libertà. Da un lato, infatti, difende giustamente la
libertà, dall'altro molti pensatori eredi del razionalismo
finiscono per negare che l'uomo sia realmente libero. In questo clima
culturale, spicca la forte personalità del Beato
Josemaría che — senza badare ai timori
contrapposti di coloro che diffidano di una libertà
apertamente proclamata — fonda sulla capacità
umana di decidere liberamente la manifestazione più evidente
di una dignità che rende capaci di rispondere
volontariamente alle richieste divine, che rende possibile un dialogo
fiducioso con Dio e con gli uomini, senza fare discriminazioni di razza
e di cultura.
Su
questa solida base antropologica, egli riconosce la realtà
di una liberazione incomparabilmente più radicale di quella
sognata dalle utopie ideologiche, poiché essa rappresenta la
libertà con cui Cristo ci ha liberati (29):
la liberazione guadagnata da Cristo sulla Croce.
Come negli altri aspetti della sua vita, il Fondatore dell'Opus Dei
diffuse con naturalezza questa profonda convinzione nel suo stile di
convivenza e di governo. Si fidava pienamente della libera
responsabilità dei fedeli dell'Opera, in modo tale che
preferiva correre il rischio che qualcuno si sbagliasse, piuttosto che
esercitare un controllo pressante.
Apprezzava che i membri dell'Opus Dei fossero diversi fra di loro,
sebbene in tutti si percepiva «il pulsare limpido e
soprannaturale» del sangue di Cristo, del sangue di famiglia.
Benché
attento alle buone maniere, rifuggiva da manifestazioni cerimoniose. Il
suo lavoro giornaliero si svolgeva con la semplicità della
vita ordinaria in una famiglia comune, dove sono superflue le
cerimonie: accettava solamente che lo chiamassimo Padre, come
dimostrazione di affetto e di fiducia, e come manifestazione di una
paternità spirituale che tutti sperimentavamo nel suo
comportamento. Concedeva una grande autonomia a coloro che occupavano
incarichi o funzioni di governo e di formazione nell'Opus Dei ed essi,
proprio per questa autonomia, cercavano sempre di sentire cum Patre; un
Padre che forniva indicazioni pratiche e semplici, mai casistiche
interminabili. Non interferiva per niente nella vita professionale e
sociale dei suoi figli, nelle loro scelte politiche o intellettuali;
essi godevano e godono, come tutti i cristiani, della più
completa libertà nelle proprie attività pubbliche
e private, sempre con piena fedeltà alla fede e alla morale
della Chiesa.
Si
potrebbe insinuare che questa affermazione di libertà sia
incompatibile con l'impegno che anche i comuni cristiani hanno di
donarsi a Dio. Tuttavia il Beato Josemaría non solo
evitò di cadere in questa falsa dialettica, ma
formulò una proposta audace secondo la quale è
proprio la libertà personale a rendere possibile l'impegno:
«Niente di più falso», affermava,
«che opporre la libertà al dono di sé
poiché tale dono è conseguenza della
libertà» (30).
Emerge
qui un punto cruciale del suo pensiero, che lo pone al di là
delle teorie moderne sulla libertà originate dal non aver
saputo scorgere questa precisa relazione. Il Beato Josemaría
non ha nessun timore della retta autonomia del comportamento umano;
colloca anzi la capacità di autodeterminazione alla radice
stessa della suprema dimostrazione di libertà, con la quale,
liberandosi dai vincoli dell'egoismo, una persona si mette con fiducia
nelle mani di suo Padre Dio. Il dono della libertà che il
Signore concede nella creazione e che si restaura e rafforza nella
redenzione, diventa a sua volta dono che la creatura offre al suo
Creatore e Redentore come offerta di un figlio al proprio Padre,
accettabile proprio a motivo del suo carattere libero. Il Beato
Josemaría giunse a una conclusione audacemente paradossale
ma ricca di profondo realismo: la ragione soprannaturale della nostra
scelta è servire perché ne ho voglia.
Cornelio
Fabro ha sottolineato come questa posizione sia innovativa rispetto al
pensiero moderno e alla riflessione tradizionale: «Uomo nuovo
per i tempi nuovi della Chiesa del futuro, Josemaría
Escrivá de Balaguer ha afferrato, per una sorta di
connaturalezza — e anche, senza dubbio, per una luce
soprannaturale — la nozione originale della
libertà cristiana. Immerso nell'annuncio evangelico della
libertà intesa come liberazione dalla schiavitù
del peccato, ha fiducia nel credente in Cristo e, dopo secoli di
spiritualità cristiane basate nella priorità
dell'obbedienza, inverte la situazione e fa dell'obbedienza un
atteggiamento e una conseguenza della libertà, come un
frutto del suo fiore o, più profondamente, della sua radice (31).
Dio
corre il rischio e l'avventura della nostra libertà, ha
sempre proclamato il Fondatore dell'Opus Dei. Non vuole che l'esistenza
terrena sia una finzione prestabilita come se questo mondo fosse un
«gran teatro» nel quale spettri senza
libertà recitassero a essere liberi.
Grazie al suo senso pratico e positivo, il Beato Josemaría
è convinto che la storia di tutti i giorni sia una storia
vera, intessuta di opportunità favorevoli e di frangenti
difficili, di successi e di sconfitte, ma sempre sotto la protezione
amorosa della Provvidenza divina, che non sopprime la
libertà ma la fonda e la rafforza perché giunga
alla pienezza dell'esistenza.
Tutto
ciò implica un margine di incontri imprevisti, di prove, di
rettifiche: l'esigenza profondamente umana di muoversi tra la sicurezza
dell'Onnipotenza del Signore e l'incertezza della debolezza umana. Il
cristiano è un aristocratico della scelta più
libera, un possessore dell'autentica libertà.
La supremazia della scelta è alla base della grandezza e
rilevanza dell'esistenza ordinaria, che costituisce uno dei tratti
più tipici del messaggio dell'Opus Dei. Le decisioni che
ognuno prende quotidianamente — nelle occupazioni
più comuni e anche in quelle straordinarie —
trascendono di gran lunga gli effetti concreti, sia da un punto di
vista umano sia da un punto di vista soprannaturale. Attraverso questa
trama si gioca la splendida partita della santità personale
e dell'efficacia apostolica. Sono le vicissitudini che a volte
consideriamo irrilevanti, e non lo sono; quelle in cui si alternano
l'allegria e il dolore, i successi apparenti e gli altrettanto
apparenti insuccessi; è quando un figlio di Dio risolve le
situazioni con rettitudine soprannaturale e perfezione umana;
è allora che si sta contribuendo al bene dei nostri simili e
alla nuova evangelizzazione alla quale ci spinge il Santo Padre
Giovanni Paolo II. La fede non è un tema da discutere e
neppure solo da proclamare e confessare: è una
virtù che il cristiano deve esercitare ogni giorno nel
compiere i suoi doveri ordinari. I fedeli comuni saranno
così — con un'immagine che il Fondatore dell'Opus
Dei amava ripetere — «come un'iniezione endovenosa
nel torrente circolatorio della società».
Saranno la «consolazione di Dio» e, in un mondo
stanco, porteranno ragioni alla speranza.
«Quanti
di voi mi conoscono da più anni, possono essermi testimoni
che ho sempre predicato il criterio della libertà personale
e della corrispondente responsabilità», assicurava
Josemaría Escrivá nel 1970. «Ho cercato
e cerco la libertà per tutta la terra, come Diogene cercava
l'uomo. L'amo ogni giorno di più, l'amo al di sopra di tutte
le cose terrene: è un tesoro che non apprezzeremo mai
abbastanza» (32).
Non è facile effettivamente incontrare manifestazioni di
autentica libertà in questo nostro mondo. Spesso, ristretti
ambienti di potere dettano l'opinione. La cultura si mantiene in
cenacoli per iniziati. Molti — giovani e non tanto giovani
— si lasciano corrompere dalla febbre consumista e dalla
dissipazione in divertimenti scialbi e scomposti. Per questo il Beato
Josemaría dà tanta importanza a un'educazione che
punti allo sviluppo armonico e completo della persona nella sua
dimensione umana e soprannaturale. La sua pedagogia della
libertà forma «cristiani veri,
uomini e donne integri, capaci di affrontare con spirito aperto le
situazioni che la vita propone, capaci di porsi al servizio dei propri
simili e di contribuire alla soluzione dei grandi problemi
dell'umanità, di testimoniare Cristo nella
società a cui domani apparterranno» (33).
Qualsiasi
istituzione educativa dovrebbe essere una scuola di libertà
responsabile, che confermi i propri alunni nell'amore alla
libertà: affinché ognuno di loro impari a usarla
degnamente e la promuova nei diversi àmbiti della
società.
La
vera libertà è linfa per lo sviluppo di tutto il
tessuto civile, che si screpola inaridito quando manca la
libertà. Avviene quindi, quando si sopprime la
libertà, che la società intera si anchilosa e
l'autorità, che dovrebbe facilitarne l'esercizio e la
diffusione, è invece tentata di autoritarismo. Chiari e
forti sono a questo proposito le parole di Solco: «Se
l'autorità diventa autoritarismo dittatoriale e questa
situazione si prolunga nel tempo, si perde la continuità
storica, muoiono e invecchiano gli uomini di governo, giungono
all'età matura persone senza esperienza per dirigere, e la
gioventù — inesperta e agitata — vuole
prendere le redini: quanti mali! e quante offese a Dio —
proprie e altrui — ricadono su chi usa così male
l'autorità» (34).
Si
può ben dire che le diverse forme di autoritarismo, sfociate
nei terribili esempi del XX secolo, provengono a volte, soprattutto,
dalla irresponsabilità civile. Se non si è
disposti a prendere a cuore i propri doveri civili, a partecipare
attivamente in alcuni settori della vita politica, secondo le personali
possibilità, difficilmente si può giustificare la
successiva protesta contro il mancato rispetto dei diritti o delle
opinioni personali. Il Beato Josemaría dava grande
importanza all'obbligo che hanno i cattolici di essere presenti
— ognuno secondo le proprie convinzioni — negli
àmbiti di naturale aggregazione sociale, dove si forma
l'opinione pubblica. Con ciò non si riferiva solamente,
né forse principalmente, all'attività
politica, ma alla grande varietà di associazioni e
comunità che costituiscono il tessuto sociale, da una
associazione sportiva fino agli organismi internazionali. Con la
propria partecipazione attiva e libera in questi àmbiti, il
cristiano difende la dignità dell'uomo, persona e figlio di
Dio; la vita umana, dal suo inizio fino al suo declino naturale; la
giustizia, i diritti dei singoli e delle famiglie; le grandi cause
dell'umanità ...
Una
delle conseguenze tangibili della libertà è il
pluralismo. Se l'individuo e i gruppi sociali propongono il valore
delle proprie convinzioni, è naturale che compaiano opzioni
diverse, tra le quali si stabilisce un dialogo aperto, nel rispetto
delle opinioni contrarie, senza tuttavia dover cedere in quei punti
intangibili che derivano dalla stessa natura umana, e sono costitutivi
dell'uomo e della società. Si evita così l'errore
di confondere il pluralismo con il relativismo, la libertà
con la spontaneità irrazionale, la democrazia con la
mancanza di punti fermi di riferimento.
L'autentico
pluralismo non può esser basato sul relativismo,
perché altrimenti le convinzioni diverrebbero semplici
convenzioni con il pericolo di giungere a non rispettare la
diversità: atteggiamenti che si considerano di minoranza
(anche se spesso non lo sono) vengono posti in secondo piano da chi ha
il controllo dell'opinione pubblica, dal potere economico o dalla
burocrazia ufficiale. E questo riguarda oggi specialmente la ricerca
scientifica, con particolare attenzione ai problemi biotecnologici. Le
chiare connotazioni etiche che posseggono alcune delle indagini in
corso devono spingere gli scienziati di buona volontà, in
primo luogo i cristiani, a prendere delle posizioni decise in difesa
della vita umana. Infatti, come affermava il Beato Josemaría
in un discorso accademico del 1974, «la necessaria
obiettività scientifica respinge giustamente qualsiasi
neutralità ideologica, qualsiasi ambiguità,
qualsiasi conformismo, qualsiasi codardia: l'amore per la
verità impegna la vita e l'intero lavoro dello scienziato e
sostiene il suo atteggiamento onesto innanzi a possibili situazioni
scomode, dato che a questo atteggiamento responsabile non corrisponde
sempre un'immagine favorevole nell'opinione pubblica» (35).
Con
queste precisazioni si riafferma il carattere positivo del pluralismo
in una società libera. Il Beato Josemaría si
preoccupò di chiarire che i fedeli dell'Opus Dei possono
difendere, e di fatto difendono, posizioni diverse e anche opposte in
tutto ciò che è opinabile, nella vita sociale di
ogni Paese. Esprimeva questa sua convinzione decisamente,
sottolineandone la portata positiva e universale: «Come
conseguenza del fine esclusivamente divino dell'Opera, il suo spirito
è uno spirito di libertà, di amore per la
libertà personale di tutti gli uomini. E siccome questo
amore per la libertà è sincero e non è
solo un enunciato teorico, noi amiamo anche la conseguenza necessaria
della libertà: cioè il pluralismo.
Nell'Opus
Dei, il pluralismo è voluto e amato, non semplicemente
tollerato e meno che mai osteggiato» (36).
Qualsiasi persona che conosca anche solo minimamente la Prelatura
dell'Opus Dei, ha potuto confermare questa realtà in tutti i
Paesi nei quali sviluppa il suo lavoro.
Si
contribuisce così a diffondere nella società un
atteggiamento positivo di dialogo e di apertura e a evitare che il
gioco delle pressioni contrapposte renda endemica la
caparbietà di coloro che vogliono sempre avere ragione e
cercano ingiustamente di imporre i loro criteri agli altri. Per questo
il Beato Josemaría esortò, senza mai stancarsi, a
«diffondere dappertutto una vera mentalità laicale
che deve condurre a tre conclusioni:
— a essere sufficientemente onesti da addossarsi
personalmente il peso delle proprie responsabilità;
— a essere sufficientemente cristiani da rispettare i
fratelli nella fede che propongono, nelle materie opinabili, soluzioni
diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi;
— a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della
Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane (37).
La
libertà risulta essenziale per la vita del cristiano. Solo
così, godendo di questa capacità di scegliere
— inseparabile dalla dignità degli uomini e delle
donne creati a immagine e somiglianza di Dio —, si
può capire fino in fondo il programma centrale del Beato
Josemaría: vivere santamente la vita ordinaria.
5.
La grandezza della vita ordinaria
Chi si affaccia alla vita del Beato Josemaría
Escrivá nota come il suo messaggio tenda a sottolineare, in
maniera originale e forte, la possibilità che i cristiani
hanno di raggiungere la pienezza della vita cristiana in mezzo al
mondo, proprio attraverso le circostanze ordinarie e le occupazioni
quotidiane. La sua predicazione ha aperto a innumerevoli persone, e non
solo a migliaia di fedeli che fanno parte della Prelatura dell'Opus
Dei, ampi e diversi cammini per incontrare nostro Padre Dio nelle
situazioni più comuni. La santità non
è considerata come qualcosa di riservato a coloro che sono
stati scelti da Dio per svolgere il ministero sacerdotale,
né solo per servirlo nella vita consacrata, vocazioni
peraltro sempre necessarie che meritano gratitudine da parte di tutti.
La santità è un'esigenza per tutti i figli di Dio.
La
riproposta di questa dottrina, che universalizza la chiamata alla
santità, è una chiara dimostrazione del carattere
aperto e ottimista della personalità umana ed ecclesiale del
Fondatore dell'Opus Dei; implica infatti un'alta considerazione per
ogni persona, di qualunque formazione intellettuale, di qualunque
lavoro o professione; e implica pure che tutti gli interessi nobili
della terra, anche quelli che appaiono modesti o senza importanza,
vengano riconosciuti come parte integrante del cammino dell'anima verso
Dio.
In
buona parte grazie all'amplissima mobilitazione apostolica sollecitata
e portata avanti dal Beato Josemaría, questa dottrina della
grandezza della vita ordinaria è giunta a milioni di persone
del mondo intero. Tuttavia quando questo dinamismo
incominciò a manifestarsi, circa 75 anni fa, la sua
realizzazione risultava nuova e piuttosto insolita per molti cattolici.
Nel Decreto pontificio sulle virtù eroiche, si esprime
questa realtà nei seguenti termini:
«Già dalla fine degli anni '20,
Josemaría Escrivá, autentico pioniere di una
solida unità di vita cristiana, avvertì la
necessità di portare la ricchezza della vita contemplativa
per tutti i cammini della terra, e spinse i fedeli a partecipare
attivamente all'azione apostolica della Chiesa, rimanendo ognuno al suo
posto, nelle proprie condizioni di vita» (38).
Questo grande servitore di Dio e degli uomini è stato
definito, nello stesso documento, un contemplativo itinerante,
perché la sua esistenza riflette l'intima unione con Dio
attraverso un'attività apostolica instancabile, svolta tra
persone diversissime; egli le incoraggiò a una lotta allegra
e decisa, per essere «contemplativi in mezzo al
mondo», vale a dire, donne e uomini che percorrono i sentieri
della terra alla ricerca dell'intimità con Cristo, per
giungere in Lui al Padre, attraverso lo Spirito Santo.
Grande
fu la gioia del Fondatore dell'Opus Dei quando il Concilio Vaticano II
insegnò questa dottrina sul valore del carattere secolare,
che definisce lo stato proprio e peculiare dei laici. Secondo
l'espressione della Costituzione Dogmatica Lumen gentium,
«per loro vocazione è proprio dei laici cercare il
regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.
Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli doveri
e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni ordinarie di vita
familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come
intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno,
a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio
del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in
questo modo a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la
testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede,
della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente
spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali alle quali sono
strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e
crescano e siano di lode al Creatore e Redentore (39).
L'orizzonte
culturale degli anni venti e trenta, non incoraggiava il giovane
sacerdote Josemaría Escrivá a lanciare la sua
proposta sulla necessità di restituire alle circostanze di
ogni giorno il loro nobile e originario significato. Nemmeno in
ambiente propriamente cattolico egli incontrava un solido punto di
appoggio per sviluppare il paradigma dell'unità tra la vita
ordinaria e il vivere un cristianesimo assunto seriamente. La diagnosi
del Concilio Vaticano II riconosce precisamente questa drastica
frattura: «La separazione tra la fede che professano e la
vita quotidiana di molti deve essere considerata come uno degli errori
più gravi del nostro tempo» (40).
Da parte sua, Paolo VI giunse a definire la rottura tra il Vangelo e la
cultura, il dramma della nostra epoca (41). Sono queste due dimensioni
disgiunte, il soprannaturale e l'umano, ciò che il Beato
Josemaría si impegnò a conciliare senza
confonderle.
Un
panorama così attraente fu descritto con vigore dal Santo
Padre Giovanni Paolo II nell'omelia pronunciata durante la cerimonia di
beatificazione del Fondatore dell'Opus Dei. «Con
soprannaturale intuizione il Beato Josemaría
predicò instancabilmente la chiamata universale alla
santità e all'apostolato. Cristo chiama tutti a santificarsi
nella realtà della vita
quotidiana; per questo il lavoro è anche mezzo di
santificazione personale e di apostolato quando si vive in unione con
Gesù Cristo, dato che il Figlio di Dio, nell'incarnarsi, si
è unito in un certo modo a tutta la realtà
dell'uomo e a tutta la creazione (cfr Dominum et vivificantem, 50). In
una società nella quale la sete sfrenata di possedere le
cose materiali le converte in idolo ed è causa di
allontanamento da Dio, il nuovo beato ci ricorda che queste stesse
realtà, creature di Dio e dell'ingegno umano, se si usano
rettamente per la Gloria del Creatore e al servizio dei fratelli,
possono essere cammino per l'incontro degli uomini con Cristo. "Tutte
le cose della terra — insegnava — anche le
attività terrene e temporali degli uomini, devono essere
portate a Dio" (Lettera 19-III-1954)» (42).
Di
conseguenza, il programma di «santificare il lavoro,
santificarsi nel lavoro e santificare con il lavoro» implica
una profonda novità nel concetto e nella realtà
del lavoro umano, rispetto al modo in cui è stato concepito
da buona parte della cultura contemporanea.
Poco
significato avrebbe tale impresa se il lavoro fosse esclusivamente una
realtà economica, al servizio del proprio arricchimento,
attraverso l'utilizzazione di materie prime o lo scambio di prodotti
con la mediazione di strumenti finanziari. Questa riduzione
immeschinita dell'economia sarebbe una mera manifestazione di
materialismo pratico, presente anche nelle ideologie che enfatizzano la
libertà in modo parziale e distorto. Infatti la ricerca di
un profitto egoista come strada per determinare — grazie
all'azione di una «mano invisibile» — il
benessere di tutti, non corrisponde al senso ultimo della condizione
umana. Non si può prescindere dalla nozione
classica— ribadita oggigiorno dalla dottrina sociale della
Chiesa — secondo cui il bene comune non coincide con la mera
somma di interessi particolari. Se manca la solidarietà, il
vero servizio al prossimo, si priva il lavoro della dignità
umana, così come si sminuisce il valore delle occupazioni
quotidiane se la funzione di coloro che le realizzano si equipara a
quella di meri strumenti materiali, sostituibili più
vantaggiosamente dalle macchine.
In
un testo del Beato Josemaría, che vale la pena riproporre
per esteso, si apprezza fino a che punto la sua visione intellettuale e
soprannaturale supera le concezioni frammentarie e deboli del lavoro.
Appartiene a un'omelia pronunciata nella festa di San Giuseppe del
1963: «È tempo che i cristiani dicano ben forte
che il lavoro è un dono di Dio e che non ha alcun senso
dividere gli uomini in categorie diverse secondo il tipo di lavoro;
è testimonianza della dignità dell'uomo, del suo
dominio sulla creazione; promuove lo sviluppo della sua
personalità, è vincolo di unione con gli altri
uomini, fonte di risorse per sostenere la propria famiglia, mezzo per
contribuire al miglioramento della società in cui si vive e
al progresso di
tutta l'umanità.
«Per
il cristiano queste prospettive si dilatano. Il lavoro appare infatti
come partecipazione all'opera creatrice di Dio, il quale, avendo creato
l'uomo gli diede la sua benedizione: "Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra"
(Gn 1, 28). E inoltre il lavoro, essendo stato assunto da Cristo,
diventa attività redenta e redentrice: non solo è
l'àmbito nel quale l'uomo vive, ma strada di
santità, realtà santificabile e santificatrice.
«Non
bisogna pertanto dimenticare che tutta la dignità del lavoro
è fondata sull'Amore. Il grande privilegio dell'uomo
è di poter amare, trascendendo così l'effimero e
il transitorio.
L'uomo può amare le altre creature, può dire un
tu e un io pieni di significato. E può amare Dio, che ci
apre le porte del cielo, ci costituisce membri della sua famiglia, ci
autorizza a dare del tu anche a Lui, a parlarGli faccia a faccia.
«L'uomo,
pertanto, non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il
lavoro nasce dall'amore, manifesta l'amore, è ordinato
all'amore. Riconosciamo Dio non solo nello spettacolo della natura, ma
anche nell'esperienza del nostro lavoro, del nostro sforzo.
Sapendoci posti da Dio sulla terra, amati da Lui ed eredi delle sue
promesse, il lavoro diviene preghiera, rendimento di grazie.
È giusto che ci venga detto: sia dunque che mangiate, sia
che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la
Gloria di Dio (1 Cor 10, 31)» (43).
Nel
cercare la santificazione del lavoro e delle altre attività
quotidiane, imitiamo i trent'anni di vita nascosta trascorsi da Cristo
con Maria e con Giuseppe, esempi luminosi di come la più
alta santità esige l'umiltà di non voler essere
niente di speciale agli occhi del mondo.
Il
profondo valore della vita quotidiana implica la cura amorosa dei
minimi particolari, di queste cose piccole che a volte vengono omesse
senza avvertirne la portata di eternità. Rimanendo al
proprio posto, il cristiano santifica il mondo dal di dentro,
contribuisce a superare il disordine del peccato, svolge un lavoro
apostolico immediato con parenti, amici, vicini e compagni di lavoro.
La sua orazione tradotta in opere si rivela come un tesoro nascosto,
una grande forza spirituale capace di sostenere i fratelli che lavorano
nei diversi campi delle complesse realtà umane.
Una
caratteristica di spicco del Fondatore dell'Opus Dei fu il suo amore
per l'ordine, virtù che s'impegnò a praticare con
eroica perseveranza fino alla fine dei suoi giorni: il suo terminare
con cura e puntualità sia il lavoro, come il riposo,
aprì nella sua anima la convinzione che per realizzare le
grandi imprese non si richiedono ordinariamente intelligenze eccelse:
sono sufficienti l'impegno per coronare con perfezione le diverse
esigenze umane e soprannaturali, e lo sforzo per mettere a frutto tutti
talenti che il Creatore concede a ogni persona.
Per questo motivo e per molti altri, niente distingue esteriormente i
comuni fedeli cristiani dai propri simili, con i quali convivono gomito
a gomito nella città degli uomini.
Non
certo perché nascondono la loro unione con Dio; al
contrario, la rendono evidente, senza timidezze né
ostentazioni, a quanti li circondano, cercando di avvicinarli alle
meraviglie della grazia divina. Non si comportano come gli altri: sono
radicalmente uguali agli altri, senza mentalità da eletti,
condividendo con tutti le speranze e le inquietudini che la vita su
questa terra comporta.
In
questo modo la mentalità laicale si fonde armonicamente con
l'anima sacerdotale, con la coscienza pratica del sacerdozio regale dei
fedeli (44),
con la missione profetica di annunciare il regno di Cristo in ogni
situazione e circostanza. Il Beato Josemaría, che si
dedicò intensamente alla sua vocazione ministeriale e che
desiderò sempre comportarsi come sacerdote di
Gesù Cristo, amava ed esercitava la mentalità
laicale che lo portava a rispettare con cura le leggi civili e a non
cercare per sé alcun vantaggio materiale, seppur minimo,
derivante dalla sua condizione di sacerdote. Non voleva privilegi, e
sollecitava noi tutti con il suo esempio e la sua parola, a rimanere
uniti alla Croce, sapendola scoprire non in situazioni immaginarie ma
nelle vicissitudini giornaliere e nel servizio effettivo agli altri:
«Quanti di coloro che si lascerebbero inchiodare a una croce,
davanti allo sguardo attonito di migliaia di spettatori non sanno
soffrire cristianamente le punzecchiature di ogni giorno! Pensa allora
che cosa è più eroico!» (45).
La
gioia cristiana «ha le radici a forma di croce» (46):
questa convinzione spiega come il Beato Josemaría, dotato,
come già detto, di una simpatia travolgente, fosse una
persona straordinariamente allegra. Percepiva in ogni momento il lato
positivo di persone e avvenimenti, anche quando sembravano a prima
vista sfavorevoli. Me ne resi subito conto quando cominciai a lavorare
accanto a lui negli anni '50. Come ho raccontato in altre occasioni,
avevo la consapevolezza di stare davanti a una persona ricca di
qualità, che lo rendevano amabile, affabile, affettuoso,
servizievole, attento agli altri, capace di percepire
ciò
di cui avevamo bisogno e di andare incontro alle nostre preoccupazioni:
davanti a un buon maestro che sapeva insegnare, incoraggiare e
correggere, offrendo tutta la sua fiducia ai collaboratori; e
soprattutto davanti a un sacerdote e un Padre che giorno dopo giorno,
istante dopo istante, con il suo lavoro si dedicava a servire Dio e le
anime, immerso in costante orazione.
La
sua unità di vita lo portava a essere umano e
soprannaturale. «Dobbiamo essere molto umani»,
insisteva, «perché altrimenti non potremmo essere
divini» (47).
Non mi stanco di ripetere di nuovo che fu una persona forte, vigorosa,
comprensiva e ottimista, che visse eroicamente la carità. Si
comportava sempre in modo responsabile, generoso, ricco di zelo per le
anime, santamente intransigente per quanto riguarda il deposito della
fede e santamente transigente nei confronti delle persone: lavoratore
instancabile, sincero, leale e buon amico; dimostrò con
tutti, senza distinzione di alcun tipo, uno spirito di servizio
completo, coraggioso e carico d'affetto.
A
queste qualità si aggiungono quelle proprie di un buon
sacerdote: amante dell'Eucaristia, capace di vivere con una delicatezza
straordinaria la liturgia; devoto, colto, sapiente, identificato col
suo ministero, grande predicatore e direttore di anime; studioso,
mortificato, distaccato da sé stesso e dalle sue
occupazioni, ordinato e con una grande visione soprannaturale; umile,
forte nella preghiera, appassionato di tutto ciò che si
riferisce a Dio, alla Vergine, alla Chiesa e al Papa; obbediente,
sicuro nella dottrina, praticante le virtù teologali e
cardinali; ogni giorno più innamorato della sua vocazione,
per avvicinarsi di più al Signore e, nel Signore, alle anime.
Fu
di temperamento fervido e penso che lo si notava in modo particolare
quando parlava di nostra Madre la Vergine, o nel descrivere la sua
speranza nella visione beatifica.
Tutto
il suo essere respirava l'allegria di chi riceverà un
tesoro, perché suo Padre glielo ha preparato. Parlavano i
suoi occhi penetranti, luminosi, sereni: parlava il suo tono di voce
persuasivo, caldo, di una sicurezza tangibile: parlavano i suoi gesti,
che lasciavano intravedere l'unione con Dio di cui era già
partecipe e che il Papa ha proclamato solennemente in piazza San Pietro
il 17 maggio 1992.