Omelia
del card. Jozef Tomko
Carissimi
fratelli e sorelle in Cristo Signore:
"Alleluja!
- proclama una lettura biblica -, salvezza gloria e potenza
sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono
i suoi giudizi" (Ap 19, 1-2).
Ci
troviamo riuniti in questa chiesa di Sant'Apollinare,
e siamo fedeli di diversi paesi e continenti per ringraziare
la Santissima Trinità, perché attraverso
il Santo Padre Giovanni Paolo li ha voluto introdurre
Josemaría Eserivá de Balaguer, sacerdote
e fondatore dell'Opus Dei, nell'elenco dei Santi della
Chiesa Cattolica.
Egli
è il santo della quotidianità, della vita
ordinaria. Oggi vogliamo considerare come il nostro Santo
percepiva la semplice vita di lavoro, come quella di San
Giuseppe, la vita quotidiana di un cristiano, vita di
amicizia,, di fatica, di riposo, di preghiera e di famiglia,
di sacrificio e di gioia, come la concepiva, come una
vita profondamente eucaristica.
Vita
di lavoro - vita eucaristica
"Devi
ottenere che la tua vita sia essenzialmente, totalmente
eucaristica" ha scritto in Forgia (n.826). Si può
dire che san Josemaría identifica la ricerca della
santità cristiana con lo sforzo di dare uno stile
eucaristico all'intera vita quotidiana e, in maniera particolare,
alla propria attività lavorativa.
Nel
dire questo, egli ricorda che il cristiano non può
santificare la sua vita se non introducendola interamente
nel mistero di Cristo, mistero che si attualizza in modo
sacramentale nell'Eucaristia. Tuttavia, non termina qui
la sua percezione del profilo eucaristico della vita quotidiana
santificata. Egli afferma che, in qualche modo, la Messa
non termina mai. C'è una specie di continuità
tra una Messa e l'altra, che comprende l'intera vita quotidiana
del cristiano, la quale viene convertita in un vero Fatto
di culto", così lo chiama ( Forgia , n.69).
Ma, come avviene il colleganiento, il ponte tra un'Eucaristia
e l'altra, tra l'Eucaristia e la vita di ogni giorno ?
Cristo
che passa, Cristo che rimane
San
Josemaría lo spiega nel contesto della riflessione
su un'espressione che gli piaceva molto: Cristo che passa
e Cristo che rimane. Qui vedeva condensata la vita del
discepolo, del cristiano comune che vive unito a Cristo,
che vive in Cristo e che porta Cristo agli altri. E, applicando
la sua espressione - Cristo che passa, Cristo che rimane
- all'attività che riempie la giornata e la vita
del discepolo, essa si traduce in un triplice sforzo,
triplice ma unificato: "Santificare il lavoro, santificarsi
nel lavoro, santificare gli altri con il proprio lavoro
" (cfr. È Gesù che passa, n. 122).
"Non c'è lavoro umano che non si possa santificare,
che non sia occasione di santificazione personale e mezzo
per collaborare con Dio alla santificazione di coloro
che vi circondano" (Ibid., 10).
Cristo
che passa - leggiamo nel Vangelo di Giovanni, proprio
dove comincia l'Ultima Cena -, Cristo che passa da questo
mondo al Padre (cfr. Gv 13, I); Cristo Eucaristia ci santifica
quando passa di nuovo tra noi ogni volta che celebriamo
o assistiamo al santo Sacrificio dellaltare, dove
il Signore si fa presente a ciascuno di noi, così
come apparve lungo il cammino ai discepoli di Emmaus.
Cristo che passa e che rimane con la sua presenza nell'Ostia
santissima, per amore dei suoi discepoli, proprio perché
il rinnovo del passare di Cristo che è l'Eucaristia
fruttifichi nella loro vita quotidiana, perché
apprendiamo che nel suo nascondimento, nella sua umiltà,
nella sua fedeltà c'è la forza del cristiano.
Cristo che rimane perché desidera continuare ad
essere compagno, ad essere l'amico che non viene mai meno,
del nostro cammino terreno.
Se
abbiamo la fede viva, se tutta la nostra vita cristiana
è intimamente unita a quella di Cristo nell'Eucaristia,
la santificazione della giornata non si presenterà
mai come qualcosa d'impossibile. Noi la vivremo da figli
di Dio: "Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito
di Dio, costoro sono figli di Dio", dice San Paolo
(Rom 8,14). Così, in qualche modo tutto il giorno
e ogni giorno si trasformerà in una Messa, nella
quale il lavoro quasi non si distingue dall'orazione,
perché ambedue - lavoro e orazione - si uniscono
nell'unico sacrificio di Cristo al quale noi aggiungiamo
la quotidiana offerta del nostro lavoro e del nostro sacrificio.
Avviene allora qualcosa di simile come nella Messa; noi
aggiungiamo la nostra goccia d'acqua nel calice di vino
e questa goccia si fonde nell'unica offerta eucaristica
che noi offriamo insieme al sacerdote, come egli ci invita
esplicitamente all'offertorio: "Pregate, fratelli
e sorelle, perché il mio e vostro sacrificio sia
gradito a Dio Padre onnipotente". Così noi
santifichiamo il nostro lavoro offrendolo assieme al sacrificio
del Figlio di Dio al Padre. Il simbolismo eucaristico
non è un semplice rituale: questa goccia d'acqua
dice qualcosa, e dice molto; questa siamo noi, che ci
fondiamo con l'offerta, col sacrificio di Gesù
Cristo.
E
dal sacrificio eucaristico noi torniamo rafforzati alla
vita di lavoro per continuare a santificarlo. Vi incontriamo
- certamente durante la giornata -, la fatica, il sudore,
il sacrificio. Come dice il Santo Padre nell'enciclica
Laborem Exercens: "Nel lavoro umano il cristiano
ritrova una piccola parte della croce di Cristo e l'accetta
nello stesso spirito di redenzione, nel quale il Cristo
ha accettato per noi la sua croce". Ma egli - il
santo Padre - subito aggiungeva: "Nel lavoro, grazie
alla luce che dalla risurrezione di Cristo penetra dentro
di noi, troviamo sempre un barlume della vita nuova, del
nuovo bene, quasi come un annuncio dei "nuovi cieli
e della terra nuova" (cfr. 2Pt 3,13; Ap 21,1), i
quali, proprio mediante la fatica del lavoro vengono,
partecipati dall'uomo e dal mondo" (Laborem Exercens,
n. 27). Ancora una volta è Gesù che passa
con la sua Croce tra tanti lavoratori di ogni tipo - intellettuali
e manuali, uomini e donne - e ci invita a prendere la
sua Croce - e la nostra croce - e caricarcela sulle nostre
spalle; caricare la sua Croce come ha fatto il Cireneo.
Così noi completiamo ciò che manca alle
sofferenze del Signore per il bene del Suo Corpo mistico,
una certa cooperazione alla sua opera redentiva. Il nostro
lavoro umano entra in qualche modo nel mistero della Croce
e della Risurrezione del Signore e nel mistero della redenzione
che Cristo ci procurò (cfr. Ebr 9,12). Una cosa
stupenda!
Santificare
il lavoro
Ma,
come santificare, ancora direi in concreto, il nostro
lavoro? Da queste considerazioni procedono alcune indicazioni
sul come farlo. Vi è anzitutto la comunione con
Cristo, se possibile partecipando al Sacrificio eucaristico,
o al meno per mezzo della comunione spirituale, oppure
unendoci con la Ss.ma Trinità che abita nei cuori
in grazia di Dio: noi non siamo mai soli; noi siamo tabernacoli
di Dio quando siamo in grazia. Una comunione che cerca
di identificarsi con Cristo, ossia di fare proprie, nostre
le ansie che il Cuore di Cristo porta per la salvezza
di tutta l'umanità. Bisogna, come il Santo Padre
dice, accettare il lavoro "con lo stesso spirito
di redenzione, con il quale Cristo ha accettato la sua
croce per noi", e oggi il mondo ha bisogno di nuovo
della Redenzione di Cristo. Quest'unione con Gesù
ci conduce al Padre. Il cristiano si trova alla presenza
di Dio ricco di misericordia, con coscienza di essere
suo figlio adottivo. Ed allora, come insegnava san Josemaría,
"l'esistenza cristiana si svolge in questo clima
di misericordia divina. È questo l'ambito dello
sforzo di chi vuole comportarsi come figlio del Padre"
(È Gesù che passa, n. 8).
E
vi è poi anche, l'offerta del nostro lavoro. Il
lavoro deve essere offerto con "spirito da figli
adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!"
attraverso lo Spirito Santo. Si tratta di porre, per così
dire, il nostro lavoro ai piedi dell'altare, oppure di
versarlo come la goccia d'acqua nel calice, perché
sia unito da Cristo alla sua offerta al Padre nell'Eucaristia,
e noi lo completiamo con il ringraziamento e con brevi
richiami durante la giornata, queste preghiere che sono
come piccole lancie di fuoco, le giaculatorie, che San
Josemaría amava tanto.
L'Eucaristia
rimane il momento più alto della santificazione,
della santificazione del nostro lavoro. Cristo che passa
e Cristo che rimane. Nella Messa, diceva il nostro "santo
del quotidiano" di sé stesso - sacerdote -
e dei fedeli, "ci poniamo tutti accanto a Lui, con
un solo cuore, con un solo sentire, con un solo desiderio
di essere buoni cristiani". Così Cristo "rimane
nei nostri cuori - nel tuo e mio - e nei nostri tabernacoli".
Così vedeva san Josemaría la realtà
della santificazione in mezzo al mondo, vale a dire, come
qualcosa che si realizza nella comunità eucaristica
che è la Chiesa, internamente strutturata attraverso
il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale.
Per
una cultura dei lavoro
Il
Santo Padre invita tutti i cristiani ad arricchire la
società con un'autentica cultura del lavoro. San
Josemaría Escrivá ci offre abbondanti aiuti
per realizzare questa cultura a partire dalla fede cristiana.
Il lavoro, per quanto possa essere difficile e sacrificato,
alla luce della Croce di Cristo, può essere realizzato
con amore e portarci a risorgere, ad alzarci, a vincere
sui nostri peccati e sulle nostre inquietudini, a seminare
la pace e la giogia tra gli uomini. Il Signore, nel Vangelo
odierno ed attraverso la voce del Papa, cinvita
a prendere il largo duc in altum. Impariamo a santificare
il lavoro per santificare la nostra vita e per prendere
molti pesci, molti frutti del nostro lavoro. Fratelli
e sorelle, che lintercessione di san Josemaría
ci aiuti in questo senso assieme a quella di san Giuseppe,
linfaticabile lavoratore di Nazaret, e sopratutto
a quella di Santa Maria, sposa castissima di Giuseppe
e Madre nostra benedetta. Amen.