Padre,
lei ha vissuto per quarant'anni accanto a nostro Padre.
Mi rendo conto che è praticamente impossibile descrivere
l'indole e le qualità di una personalità
ricca di doti umane e di doni soprannaturali quale quella
del fondatore dell'Opus Dei. D'altra parte, chi all'infuori
di lei può darne un' idea il meno incompleta possibile?
La sua personalità era così ricca di
sfaccettature che difficilmente può essere classificata
in base a schemi generali. D'altra parte, egli ricevette
tante grazie dal Signore che, nell'esaminare la sua condotta,
ci si imbatte nella difficoltà di distinguere tra
le qualità naturali del suo carattere e ciò
che è conseguenza della grazia di Dio e della lotta
ascetica. Ho detto intenzionalmente «distinguere»
e non «separare», perché uno dei tratti
fondamentali della sua personalità era la perfetta
unità, la completa compenetrazione tra gli aspetti
umani, quelli apostolici e quelli ascetici della sua vita.
Sarebbe impossibile scinderli.
Egli ha sempre insegnato che le virtù umane sono
il fondamento delle virtù soprannaturali: chi ha
avuto il dono di vivergli accanto ha visto realizzata
in lui quell'«unità di vita» che appassionatamente
predicava.
Per
tracciare un quadro d'insieme si potrebbe dire che sia
per le sue virtù sia per le sue doti naturali
intelligenza, simpatia, carattere... , il Padre
aveva la perfezione dello strumento preparato dal Signore
per la missione di fondare l'Opus Dei.
Per comprendere il carattere del nostro fondatore, bisogna
inoltre tener presente una qualità fondamentale
che pervade tutte le altre: la donazione a Dio e alle
anime per Lui; la disponibilità a corrispondere
generosamente alla Volontà del Signore. Questo
fu il polo orientatore di tutta la sua vita. Da uomo innamorato,
egli aveva scoperto il segreto descritto nel punto 1006
di Forgia: «Vedo con chiarezza meridiana la formula,
il segreto della felicità terrena ed eterna: non
soltanto adeguarsi alla Volontà di Dio, ma aderirvi,
identificarsi con essa, volere in una parola ,
con un atto positivo della nostra volontà, la Volontà
divina. Questo insisto è il segreto
infallibile della gioia e della pace».
La
sua dedizione non era qualcosa di freddo, di «ufficiale».
Scaturiva dall'amore e perciò era accompagnata
da sincere dimostrazioni di affetto e di comprensione:
aveva un cuore grande e nobile. Era aperto a tutti. Amava
appassionatamente il mondo, in quanto creato da Dio. Ogni
realtà umana lo attraeva. Leggeva i giornali, guardava
il telegiornale, gli piacevano le canzoni d'amore, pregava
per gli astronauti che sarebbero scesi sulla Luna... Era
molto affabile, sapeva dare fiducia e capire gli altri.
A
proposito di canzoni: a nostro Padre piaceva sentir cantare,
ed egli stesso, riferendosi ai viaggi apostolici compiuti
per preparare la «preistoria» dell'Opus Dei
nelle diverse nazioni, diceva di aver seminato l'Europa
dì Avemarie e di canzoni...
Sì, cantava spesso, con quella sua voce baritonale
così intonata e piacevole. Non era affatto un uomo
cupo, distaccato; era, al contrario, ricco di umanità,
di cordialità e di allegria. Ci insegnò
che un sorriso è spesso la migliore mortificazione,
perché le nostre mortificazioni non debbono pesare
su quelli che ci stanno attorno. E lui per primo fu fedele
a quest'insegnamento: la sua vita di orazione e di penitenza,
lungi dal rattristare gli altri, infondeva un'autentica
gioia soprannaturale e umana in coloro che gli stavano
accanto.
Torniamo
al temperamento di nostro Padre...
Posso testimoniare che la sua vita fu l'esempio di un
uomo che sa amare con tutto il cuore e che desidera servire
gli altri e renderli felici.
Era dotato di un'intelligenza agile e acuta, cui facevano
da complemento una cultura non comune e aperta a tutti
i rami del sapere, una spiccata mentalità giuridica
e un gusto estetico notevolissimo. La sua personalità
umana era vigorosa e molto marcata; il suo temperamento
era gagliardo e impetuoso, forte ed energico, e seppe
acquisire un pieno dominio su sé stesso. Più
d'una volta mi raccontò un episodio capitatogli
da giovane sacerdote. A causa di una grave contrarietà
aveva per un attimo perso la serenità: «Mi
arrabbiai... e poi mi arrabbiai per essermi arrabbiato».
Camminava in quello stato d'animo per una strada di Madrid
e si imbattè in una di quelle macchine automatiche
che scattano sei foto formato tessera per poche monete:
il Signore gli fece comprendere che aveva a portata di
mano una buona occasione per umiliarsi e ricevere una
lezione ascetica sulla gioia. Entrò nella cabina
e si fece le fotografie: «Facevo proprio ridere
con quella faccia da arrabbiato!». Poi stracciò
le istantanee, tranne una: «La tenni nel portafoglio
per un mese. Ogni tanto la guardavo, vedevo quella faccia
cupa, mi umiliavo dinanzi a Dio e ridevo di me stesso:
Sciocco!, mi dicevo».
Nostro
Padre ci ha insegnato la correttezza nel vestire e una
certa eleganza, secondo le circostanze sociali di ciascuno.
È un modo «secolare» dì intendere
la povertà anche in questo campo. Certamente egli
era il primo a mettere in pratica questi criteri.
Normalmente aveva due tonache, che utilizzava a giorni
alterni affinchè durassero più a lungo;
ma in alcuni periodi, per esempio tra il 1941 e il 1944,
ne ebbe solo una, così quando si strappava era
costretto a chiudersi in camera finché la sorella
Carmen non gliela rammendava. Talvolta anche a Roma abbiamo
dovuto chiedere alle sue figlie di ricucirla, mentre lui
aspettava nella sua stanza in maniche di camicia.
Ogni sera spazzolava con cura la veste e la inumidiva
con un po' d'acqua se c'era qualche macchia: spesso lo
aiutavo in quest'operazione tenendo tesa la stoffa. Quando
bisognava lavarla, la passava alle sue figlie che si occupavano
dell'amministrazione domestica. Ecco perché gli
durava così a lungo.
Fino
alla fondazione dell'Opus Dei, il Padre possedeva l'abbigliamento
sacerdotale necessario, tanto per l'inverno quanto per
l'estate: ogni anno quando era ancora a Saragozza
il 12 ottobre, festa della Madonna del Pilar, indossava
gli abiti invernali; e il 7 marzo, allora festa di san
Tommaso, quelli estivi. Ciò significa che avrà
sofferto caldo in ottobre, e freddo in marzo e aprile.
Dalla fondazione dell'Opus Dei in poi, come ulteriore
segno di sobrietà e di povertà, decise di
usare gli stessi capi di vestiario per tutto l'anno.
Non gli piaceva portare la canottiera, e questo fin da
ragazzo. Ma il 27 novembre 1949, mentre ci trovavamo a
Torino, a causa del gran freddo prese un foltissimo raffreddore.
Allora gli comprai una maglia di lana e gli chiesi di
indossarla. Egli accondiscese, ma, poiché non vi
era abituato, ne tagliò le maniche. Anni dopo,
per combattere i reumatismi i medici gli prescrissero
di usare delle ginocchiere: il nostro fondatore si servì
di quelle maniche come «ginocchiere».
Padre,
qualche altro particolare dì intimità quotidiana...
Il Padre amava la pulizia personale, ma non usava alcun
genere di cosmetici, convinto com'era che per un sacerdote
l'odore migliore è non averne nessuno; solo col
passare degli anni seguì il nostro consiglio di
adoperare un'acqua di lavanda per disinfettare gli eventuali
tagli della rasatura.
Per moltissimi anni si fece aiutare per tagliarsi i capelli
in casa; ad un certo punto ci chiese di comprargli uno
di quei pettini con una lametta fabbricati appositamente
per operare da soli. Ma alla fine gli consigliammo di
ricorrere al barbiere, giacché l'esiguo risparmio
di denaro non compensava il risultato poco soddisfacente.
Siccome era eroicamente distaccato da sé stesso,
non si concedeva nulla di superfluo. Per esempio, dagli
anni quaranta fino al 1970 usò gli stessi occhiali,
benché fossero di modello piuttosto antiquato.
Si decise a cambiarli solo dietro insistenza mia e di
don Javier Echevarría.
Dal
1953 il Padre dormì nella Sede Centrale in una
stanza piccola e fredda, con il pavimento in piastrelle.
Un giorno del 1973, nell'alzarsi al mattino cadde per
terra e rimase per alcuni istanti privo di sensi sulle
fredde mattonelle. Quando lo venni a sapere ne fui preoccupato,
poiché conoscevo la sua predisposizione alle malattie
bronchiali: poco tempo prima era accaduto qualcosa del
genere a un cardinale della Curia romana, il card. Larraona,
il quale contrasse una polmonite e morì repentinamente.
Perciò, approfittando di un viaggio del nostro
fondatore, nel 1974 facemmo rivestire il pavimento di
moquette. Al ritorno si inquietò per quell'iniziativa
presa a sua insaputa e la accettò solo quando gli
dicemmo di averlo fatto dietro consiglio del medico.
So
che nostro Padre non fumava. Aveva smesso da quando era
entrato in seminario, regalando il tabacco e le pipe al
portiere.
Tuttavia visse sempre con persone che fumavano, senza
mai lamentarsene. Anzi, siccome talvolta egli riceveva
in dono da qualche visitatore una scatola di sigari, li
conservava per offrirli agli altri. Li metteva in un armadio
a muro della sua stanza da letto, con accanto un barattolo
d'acqua che sostituiva periodicamente, affinchè
non perdessero l'umidità dovuta. Nei giorni di
festa portava con vera gioia i sigari nella riunione famigliare
dopo pranzo, e accendeva una candela sottile che durava
a lungo, affinchè i fumatori potessero accenderli.
Da
questi simpatici aneddoti, traspaiono la delicatezza,
la semplicità, lo spirito di servizio, l'ordine
e il buonumore di nostro Padre. E, già che siamo
in tema di quotidianità, è possibile tracciare
uno schema della sua giornata abituale?
Propriamente non si potrebbe parlare di una giornata «abituale»
del Padre, poiché la sua attività fu sempre
in funzione di ciò che il Signore gli chiedeva:
servire tutte le anime per amore. La cosa veramente abituale
per il nostro fondatore era la disponibilità ad
assecondare in ogni momento il Volere divino.
E chiaro però che nel corso di tutta la sua esistenza
terrena egli si assoggettò a un piano di vita che
aveva dei punti di riferimento intoccabili: l'orazione
mentale, la santa Messa, la recita del Breviario e del
santo Rosario, e altre pratiche di pietà. Infatti,
contrariamente a quanto potrebbe pensare chi ha sentito
parlare solo di santificazione del lavoro, senza conoscere
bene lo spirito del fondatore dell'Opera, egli ribadiva
costantemente questa verità fondamentale: «L'arma
dell'Opus Dei non è il lavoro, è la preghiera:
per questo trasformiamo il lavoro in preghiera e abbiamo
anima contemplativa».
Pur
conservando questi punti essenziali, la giornata del Padre
ebbe delle caratteristiche molto diverse a seconda delle
varie epoche: per esempio, le sue giornate negli anni
trenta, quando svolgeva un'attività pastorale intensa
e diretta in tutti i quartieri di Madrid, erano molto
differenti da quelle degli anni sessanta, quando risiedeva
a Roma e la sua occupazione fondamentale era costituita
dal governo e dalla cura dello sviluppo dell'Opus Dei.
Parliamo
dunque di una giornata-tipo di nostro Padre, a Roma, negli
ultimi decenni.
Alla fine degli anni sessanta il Padre, obbedendo a ciò
che i medici gli avevano prescritto, ogni notte riposava
tra le sette ore e mezzo e le otto ore: era così
fedele all'indicazione ricevuta che, pur svegliandosi
anche parecchio prima, non si alzava dal letto finché
non glielo diceva uno dei suoi Custodes, cioè don
Javier Echevarría; l'altro Custos ero io. Prima
di questa prescrizione medica, aveva l'abitudine di alzarsi
quando si svegliava o non appena suonava la sveglia, senza
badare al fatto che magari aveva dormito soltanto due
o tre ore: comunque non rimaneva mai a letto più
delle ore prescritte e non si concesse mai la «siesta».
Per non destare preoccupazioni, non gli piaceva parlare
delle sue lunghe ore di insonnia, durante le quali faceva
molta orazione. Mi divertivo molto quando sentivo che
qualcuno gli domandava al mattino se aveva riposato bene.
Il Padre molto spesso rispondeva: «Grazie tante,
ugualmente»; e così, pur sembrando rispondere
alla domanda, di fatto la eludeva.
Appena
sveglio viveva dunque il minuto eroico: cioè saltava
dal letto e baciava per terra, pronunciando come giaculatoria
un vibrante Serviam! Offriva tutta la giornata al Signore
e si tracciava un segno di croce sulla fronte, sulle labbra
e sul petto, mentre ripeteva: «Tutti i miei pensieri,
tutte le mie parole e le opere tutte di questo giorno,
te le offro, Signore, con la mia vita intera, per amore».
Baciava anche il crocifisso e l'immagine della Madonna
che aveva sul comodino.
Mentre
si rassettava era solito ripetere le preghiere imparate
da bambino dalle labbra dei genitori. Spesso, soprattutto
da quando ebbe una stanza personale, e cioè dall'inizio
degli anni cinquanta, recitava queste preghiere ad alta
voce, perfino cantando. Terminata la pulizia personale
si prendeva cura di pulire per bene il bagno, di arieggiare
la stanza e di lasciare tutto in ordine, per delicatezza
nei confronti delle persone che si occupavano delle faccende
domestiche e per facilitare loro il lavoro.
Subito
dopo, continuando l'orazione mentale che faceva durante
le ore in cui rimaneva sveglio a letto, faceva un'altra
mezz'ora di orazione mentale, anche come preparazione
immediata alla santa Messa. A volte predicava la meditazione
per quelli che si trovavano con lui nell'oratorio; devo
dire che tutti aspettavamo, come un gran regalo del Signore,
i momenti in cui il Padre, per così dire, «sollevava
un po' la coperta» e ci confidava alla presenza
del Signore qualcosa della sua vita interiore. Ma il più
delle volte, soprattutto durante gli ultimi anni, utilizzava
dei volumi di Meditazioni che erano stati scritti dietro
sua indicazione.
Per quanto riguarda la santa Messa ci sarebbe da diffondersi
a lungo...
Padre,
su questo punto mi riservo una domanda specifica per quando
parleremo della vita sacramentale di nostro Padre...
Va bene, allora rimandiamo. La sua colazione era frugale
e rapida, in virtù del suo esigente spirito di
mortificazione e della dieta prescrittagli dai medici
in seguito all'insorgenza del diabete. Si limitava a una
tazza di caffellatte senza zucchero e senza pane e a un
frutto, abitualmente una mela o una pera. Ma egli si attenne
alla stessa dieta anche dopo la guarigione dal diabete,
sostituendo la frutta con un pezzetto di pane. Il caffè
era sempre molto diluito e il latte scremato.
Terminata
la colazione, il Padre dedicava alcuni minuti alla lettura
del giornale. Prima divideva le pagine in due metà
separate, e così le passava mano a mano a me, che
facevo colazione assieme a lui. Si vedeva che mentre leggeva
pregava per tanti problemi del mondo e della Chiesa. Negli
ultimi anni invece si può dire che di fatto quasi
non riusciva più a leggere il quotidiano, poiché
spesso gli succedeva di prendere una pagina del giornale,
di cominciare a leggerla e di astrarsi subito dalla notizia,
perché la sua mente si immergeva completamente
in Dio: poggiava la fronte sul palmo della mano destra,
chiudeva gli occhi e pregava, approfittando del fatto
che si trovava solo con me. Guardandolo e vedendolo così
assorto in Dio, pregavo anch'io.
Dopo
la recita del Breviario, che abitualmente faceva con don
Javier Echevarría e con me, prima di accingersi
a lavorare, il Padre dedicava un certo tempo alla lettura
meditata del Nuovo Testamento. Spesso annotava qualche
frase appena letta, per servirsene in seguito nella predicazione,
nello scrivere, nell'orazione mentale del pomeriggio,
ecc; so per certo che terminava sempre traendone per lo
meno un pensiero che avrebbe considerato alla presenza
di Dio durante la giornata.
La
mattinata di lavoro normalmente cominciava con il disbrigo
di pratiche connesse al governo dell'Opus Dei. Nel lavoro
di governo il nostro fondatore vedeva sempre anime dietro
alle carte. Per mantenersi alla presenza di Dio utilizzava
alcuni «accorgimenti umani»: per esempio frequenti
sguardi rivolti al crocifisso appeso alla parete o all'immagine
della Madonna che stava sulla scrivania. Mi ha sempre
colpito il bacio colmo d'affetto che dava a quest'immagine
quando nello spostare qualcosa io la facevo inavvertitamente
cadere.
Poi
veniva l'ora della posta. Al Padre piaceva aprire personalmente
ogni busta, anche se poi me le passava negli ultimi
anni anche a don Javier perché lo aiutassi
a leggerne il contenuto. Separava le lettere di governo,
indirizzate al Consiglio generale, da quelle personali.
Riguardo a queste ultime ci avvertiva che se ce n'era
qualcuna confidenziale, gliela passassimo subito senza
leggerla. Sono sicuro che il Padre non lesse nessuna lettera
senza pregare per la persona che l'aveva scritta e per
il problema che vi era esposto.
Terminata la lettura della posta, a mezzogiorno recitava
l'Angelus. Era un momento importante nella sua giornata,
perché oltre ad essere una conversazione filiale
con la Madonna, esso segnava anche il punto in cui la
sua devozione eucaristica cambiava di segno: infatti mentre
fino ad allora aveva trascorso la mattina ringraziando
il Signore per la Messa che aveva celebrato, dalla recita
dell'Angelus in avanti cominciava già a prepararsi
alla Messa che avrebbe celebrato il giorno dopo.
Quindi
iniziava il tempo dedicato a ricevere persone, che accorrevano
in gran numero, a volte da Paesi molto lontani, per vedere
il nostro fondatore e ricevere da lui consiglio e incoraggiamento.
Stabilì che, tranne in casi eccezionali, ogni visita
durasse dieci minuti: sia per motivi di ordine, perché
erano molti quelli che desideravano conoscerlo, sia per
mortificazione, poiché così evitava di intrattenersi
più a lungo con le persone la cui compagnia, per
qualsiasi motivo, gli era più gradita. Naturalmente,
quando era opportuno, il Padre dedicava alle persone tutto
il tempo necessario e non esitava a prendere anche nuovi
appuntamenti con loro.
Dopo
essersi accomiatato, con una benedizione sacerdotale e
paterna, dall'ultimo visitatore, assieme ai membri del
Consiglio generale recitava le Preci dell'Opera: così,
com'è consuetudine nell'Opus Dei, baciava per terra
dicendo Serviam! e rinnovava interiormente l'offerta delle
azioni che aveva fatto al mattino; poi recitava le invocazioni
di lode e di supplica alla Trinità, a Gesù
Cristo, alla Madonna, a san Giuseppe e agli Angeli custodi;
pregava per il Papa e per il vescovo diocesano
quando era fuori Roma , per l'unità nell'apostolato,
per i benefattori dell'Opera, per i suoi figli e per i
defunti e concludeva con una preghiera e sei invocazioni
ai patroni dell'Opus Dei: tre Arcangeli e tre Apostoli.
Terminate
le Preci il Padre faceva un breve esame di coscienza della
mezza giornata trascorsa e considerava in particolare
il modo in cui aveva compiuto il proposito formulato nell'esame
di coscienza della sera precedente. Se notava che quella
mattina vi era stato qualcosa in cui riteneva di dover
chiedere scusa a qualcuno, agiva con rapidità cercando
subito l'interessato.
Abitualmente pranzavamo con lui solo don Javier Echevarría
e io, per il semplice motivo che il Padre non voleva inibire
altri figli suoi più giovani che forse avevano
bisogno di mangiare di più, perché effettivamente
era molto austero nel mangiare. Anche per questo motivo,
quando riceveva degli ospiti, si industriava per non far
notare la sua frugalità e per non mettere a disagio
gli altri commensali. A pranzo, come a colazione, seguiva
la dieta prescrittagli dai medici, ma inoltre cercava
di aggiungere in ogni piatto il condimento della mortificazione.
Come primo prendeva della verdura, quasi scondita e senza
sale. Per secondo un po' di carne o del pesce, normalmente
ai ferri, con un minimo di contorno. Concludeva con un
frutto. Non prendeva pane né vino e accompagnava
il pasto con uno o due bicchieri d'acqua, ma solo per
precisa indicazione medica, perché da parte sua
egli tendeva a mortificare severamente la sete. Sempre
come mortificazione non cominciava a mangiare finché
non ci eravamo serviti don Javier Echevarría e
io.
Subito
dopo pranzo il Padre si recava a fare la visita al Santissimo.
Poi si intratteneva per trenta o quaranta minuti a conversare
con i suoi figli: fu una consuetudine che il nostro fondatore
praticò sempre, ogni giorno, sin da quando i membri
dell'Opus Dei cominciarono a vivere in famiglia nei nostri
Centri, e volle espressamente che venisse vissuta in ogni
Centro dell'Opera. Nell'ambiente semplice e accogliente
di un soggiorno, come avviene in tutte le famiglie cristiane,
la conversazione verteva sugli avvenimenti quotidiani,
su racconti apostolici, ma anche su argomenti divertenti,
e il Padre ne approfittava per formare in noi un sicuro
criterio dottrinale, per dare un tono soprannaturale alle
notizie del giorno, per far distendere e riposare i suoi
figli. In molte occasioni apriva confidenzialmente la
propria anima e ci trasmetteva il suo spirito, migliorando
la formazione spirituale di coloro che lo ascoltavano.
Ha sempre destato la mia ammirazione vedere come il Padre
si prodigasse in queste riunioni, completamente dimentico
di sé stesso persino quando era estenuato per la
stanchezza, per le notti di insonnia o per aver sofferto
una dura contrarietà.
Terminato
quest'incontro famigliare, faceva la lettura spirituale,
preferibilmente sui trattati classici di ascetica, e si
rimetteva al lavoro: non gli piacque mai la «siesta»,
tanto da disporre che i membri dell'Opera non riposassero
il pomeriggio, se non per prescrizione medica. Il pomeriggio
dunque riprendeva il lavoro del mattino, anche se era
più frequente che chiamasse qualche membro del
Consiglio generale per esaminare assieme un problema specifico.
Dedicava molto tempo a scrivere lettere per noi, sia nei
ritagli di tempo della mattina sia nelle ore pomeridiane.
Durante
il tempo di lavoro che precedeva la mezz'ora di orazione
del pomeriggio, egli si preparava interiormente a quest'appuntamento
con il Signore. Poi, prima di riprendere le occupazioni
interrotte, la merenda, che consisteva in un bicchier
d'acqua e in un frutto, che spesso divideva con don Javier
o con me.
Tutti i giorni recitava e meditava le tre parti del Rosario:
le distribuiva opportunamente nell'arco della giornata,
in modo da recitare quella del giorno per ultima con le
litanie lauretane, dopo l'orazione e la merenda.
La cena era ancor più frugale del pranzo: consisteva
in un piatto di minestra, di brodo o di verdura, senza
pane; negli ultimi anni il medico gli ordinò di
prendere anche un po' di formaggio o un'«omelette»,
con della frutta.
Dopo
cena a volte il Padre vedeva il telegiornale. Anche in
questi momenti si serviva di alcuni «accorgimenti»
per vivere la presenza di Dio: per esempio quando appariva
sullo schermo la sigla con l'immagine del mondo che girava
intorno al proprio asse, ne approfittava per pregare per
l'evangelizzazione nel mondo intero da parte della Chiesa
e per il lavoro apostolico dell'Opera. Posso affermare
che, soprattutto negli ultimi anni, il Padre pregava molto
intensamente mentre vedeva le notizie televisive: raccomandava
al Signore gli avvenimenti che vi venivano commentati
e invocava la pace nel mondo.
Dopo il telegiornale ritornava al lavoro fino alle nove
e mezzo: a quest'ora si intratteneva con i suoi figli
in un altro incontro famigliare simile a quello tenuto
dopo pranzo. Al termine, nell'uscire dalla stanza si fermava
per un istante, in modo quasi impercettibile, prima di
imboccare la porta, «per lasciar passare i suoi
due Angeli»; è un piccolo particolare che
passava inosservato agli altri e che mostra come egli
viveva il rapporto con l'Angelo custode e con l'Arcangelo
ministeriale. Non era una cosa teatrale, poiché
bisognava starci veramente attenti ed essere al corrente
del «segreto» per accorgersene.
Subito
dopo questa riunione con i suoi figli, si ritirava in
profondo silenzio per fare l'esame di coscienza e recitare
le ultime preghiere. Prima di coricarsi recitava tutti
i giorni il salmo Miserere, prostrato per terra; poi,
in ginocchio con le braccia in croce, diceva tre Avemarie
invocando la purezza per tutte le anime e soprattutto
per sé e per i suoi figli nell'Opus Dei. Era solito
mettere nella tasca del pigiama un crocifisso, che baciava
ripetutamente prima di addormentarsi, mentre ripeteva
giaculatorie, comunioni spirituali, ecc, o con l'immaginazione
faceva compagnia al Signore presente nei Tabernacoli di
qualche Paese lontano.
Grazie,
Padre.