A
proposito di mortificazione corporale
Ma
una breve parentesi si impone. Non a caso, in effetti, nell'ultima
citazione abbiamo messo in corsivo le parole "non esclusa la
mortificazione corporale". Non escluso, pertanto, persino il famoso
cilicio, che ha una parte di rilievo nella leggenda della Obra, covo
degli ultimi oscurantisti medievali. Se ricordate, vi abbiamo
già fatto cenno, parlando dello scandalo dei peraltro
sospetti movimenti antisètte. Questa non è forse,
oggi, un'aberrante, morbosa forma di masochismo, indegna, tra l'altro,
di un cristianesimo "adulto", "aperto"? Non è la solita,
cupa Spagna dei fanatismi sanguinosi?
Come
impongono le regole della giustizia, "audiatur et altera pars".
Sentiamo allora la difesa, sostenuta da una persona che, anche se non
lo dice, da sperimentato numerario deve avere usato il famoso
"strumento di tortura" (consistente poi, in sostanza, in una sorta di
cintura di lana ruvida - da portare intorno alla vita o alla gamba -
con dei nodi o, in qualche caso, delle punte non acuminate, che premono
cioè sulla pelle senza penetrarvi):
"Poiché
hanno perso il significato della penitenza e della mortificazione
persino nella vita spirituale, molti uomini di oggi si stupiscono,
quando non si scandalizzano, che - nell'Opus Dei - alcuni membri
includano tra le mortificazioni corporali l'uso del cilicio.
Alcuni,
dico: non la maggioranza; e anche costoro per un tempo limitato. Non
c'è da stupirsi di questo stupore: la croce è
sempre stata motivo di scandalo. Comunque, è certo che oggi
le persone si espongono a grandi sacrifici, se non a sofferenze
corporali (ginnastiche, diete, chirurgie estetiche), per conservare o
recuperare una certa immagine esteriore che gli altri possano ammirare.
È
ugualmente una verità che, per ottenere una certa
soddisfazione fisica, molte altre persone si imbarcano in una
direzione, come quella delle tante droghe, dalla quale finiscono con il
ricevere non piacere ma patimenti, vere e spesso terribili
"mortificazioni" per se stesse e soprattutto per coloro che stanno loro
intorno e che vogliono loro bene. Mentre questo avviene, molti non si
sforzano neppure di capire il senso profondo di una "mortificazione
corporale" che non fa danno alla salute e che esprime il desiderio di
unirsi, almeno per quel poco che un pover'uomo può fare, al
sacrificio di Cristo.
Si
comprende che, in un'epoca nella quale si diffondono messaggi del tipo
"Non privarti di nulla!", sia divenuto oltremodo difficile capire le
ragioni stesse della penitenza e della mortificazione. Se "si
può fare tutto"; se nulla è male, una volta che
è stato deciso in piena autonomia; se, in definitiva, non
esiste il peccato, allora non c'è proprio nulla per cui fare
penitenza. Risulta così inintelligibile la "mortificazione"
(cioè, il profondo paradosso evangelico secondo il quale,
per vivere, bisogna in qualche modo morire: come Cristo, il cristiano
deve scendere nella tomba per, come Cristo, uscirne per la vita
eterna).
Si
noti però bene questo: tra i motti più gridati
della nostra epoca c'è: "II corpo è mio e faccio
con esso quel che mi pare e piace". E perlomeno contraddittorio che si
ammetta la liceità di qualunque comportamento corporale,
inclusi quelli aberranti, e sia motivo di scandalo il fatto stesso
della penitenza cristiana" (Rafael Gómez Pérez).
In
ogni caso, né il cilicio né altri "strumenti di
mortificazione" sono una esclusiva di quest'Opera: fanno parte
dell'antichissima tradizione ascetica della Chiesa e sono stati
impiegati da tutti i santi.
Nella
prospettiva di Escrivà - in linea, qui come altrove, con la
più antica Tradizione della Chiesa - penitenze e
mortificazioni sono "la preghiera del corpo"; il ritrovare,
cioè - in questa partecipazione "materiale" all'orazione -,
l'unità dell'uomo, che non è solo spirito, anima,
cuore. Anche quegli "esercizi ascetici" (sempre discreti, praticati
senza pesare su altri, senza darlo a vedere, senza farne un merito o un
vanto) sono un mezzo per esercitare la volontà, in un mondo
sempre più di svogliati, di indifferenti, di velleitari.
E
possono, debbono essere - quegli "esercizi" - non soltanto "attivi", ma
anche "passivi"; non tanto, dunque, cercare sofferenze, ma accettare
quanto dà, giorno dopo giorno, la vita normale, la
quotidianità che deve caratterizzare in ogni cosa chi si
metta su questa strada: "La battuta che non uscì dalla tua
bocca; il sorriso amabile per colui che ti annoia; quel silenzio
davanti a un'accusa ingiusta; la benevola conversazione con i seccatori
e gli importuni; quel non dare importanza ai mille particolari
fastidiosi e impertinenti delle persone che vivono con te [...]. Tutto
questo è davvero solida mortificazione interiore".
Così
Cammino, nel pensiero 174, cui segue quest'altra esortazione: "Non
dire: quella persona mi secca. Pensa: quella persona mi santifica".